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  • Francia, una settimana cruciale

    Francia, una settimana cruciale

    di Andrea Martini

    La settimana che inizia oggi potrebbe essere decisiva nella partita che si è aperta tra il governo di Macron e Borne e lo straordinario movimento che si è sviluppato in queste ultime settimane contro la riforma delle pensioni.

    Oggi il testo della controriforma previdenziale messa a punto dal ministro francece del Lavoro, Olivier Dussopt, approda nell’aula dell’Assemblea nazionale, dopo essere stato discusso a lungo nelle commissioni. Olivier Dussopt arriva a questo appuntamento fortemente azzoppato dalle indiscrezioni di stampa che hanno denunciato alcuni scandalosi favoritismi nell’assegnare alcuni appalti pubblici nel comune di Annonay di cui era sindaco.

    Inoltre la prima ministra Elisabeth Borne ha dichiarato di non voler utilizzare l’articolo 49.3 della costituzione (la decretazione d’urgenza) per non rivelare ancora di più la situazione di debolezza in cui i macronisti e il loro governo si trovano, non disponendo di una maggioranza in parlamento.

    Ma ha altresì dichiarato solennemente anche la “irrinunciabilità” del progetto di riforma, tanto più dopo le manifestazioni e gli scioperi delle scorse settimane. L’edizione francese dell’Huffington Post riporta la dichiarazione di un non meglio identificato “dirigente della maggioranza” (meglio sarebbe dire della “minoranza governativa”) secondo cui “se il governo dovesse fare marcia indietro domani sulle pensioni, non vedo come potrebbe continuare a proporre riforme per il resto del mandato quinquennale”.

    I deputati della destra tradizionale gollista, i “Repubblicani” di Sarkozy, che Macron vorrebbe reclutare per far passare la “controriforma” sembrano sempre più renitenti. L’evidentissima contrarietà della stragrande maggioranza dell’opinione pubblica sta persino aprendo delle crepe nella compattezza dello stesso gruppo parlamentare del partito di Macron, Renaissance.

    Tutti i gruppi parlamentari (escluse ovviamente le opposizioni dichiarate della NUPES e dell’estrema destra) vogliono “migliorare la riforma”. Infatti, oltre ai quasi 20.000 emendamenti presentati dalla NUPES per sostenere il suo ostruzionismo, alcune migliaia ne sono stati presentati anche dai Repubblicani e circa 400 persino da deputati di Renaissance.

    Macron, sulla carta dispone di 250 deputati (170 Renaissance, 51 Modem, 29 Horizons), ma la maggioranza necessaria è di 289. E questo è al lordo di più che possibili defezioni. Le opposizioni (NUPES e estrema destra) dispongono di 256 deputati. Dunque il comportamento dei 62 deputati del gruppo “repubblicano”, e la tenuta complessiva della minoranza macronista giocheranno un ruolo decisivo.

    Elisabeth Borne, per venire incontro alle perplessità dei “Repubblicani”, ha annunciato la disponibilità del governo a consentire che chi ha iniziato a lavorare a 20 anni possa comunque andare in pensione a 63 e non a 64. Ma alcuni deputati del gruppo repubblicano hanno già annunciato che questa modifica non sarà insufficiente per avere il loro consenso. Anzi, alcuni di loro, evidentemente impauriti dall’evidentissima impopolarità della riforma, hanno definito la proposta di “mediazione” un “inganno”, anche se i vertici del partito “sarkoziano” sembrano più disponibili.

    Naturalmente, l’atmosfera è dominata dall’attesa delle nuove manifestazioni che domani, martedì 7, attraverseranno tutta la Francia. Sarà la terza giornata campale, dopo il 19 e il 31 gennaio, le due giornate di sciopero e di manifestazione indette dall’intersindacale. Ma in questi giorni la Francia è costantemente percorsa tutti i giorni e in tutte le città, grandi, medie e piccole da migliaia di iniziative che tengono viva la tensione sulla questione.

  • Perù, repressione brutale e arresti nella marcia del 4 febbraio

    Perù, repressione brutale e arresti nella marcia del 4 febbraio

    da Twitter e dalla stampa peruviana

    Decine di persone arrestate e ferite nel soffocamento della mobilitazione del #4F a Lima, contro il governo golpista di Dina Boluarte e il Congresso della Repubblica.

    Dai quattro angoli di Lima vari cortei confluivano ieri verso la centrale Plaza 2 de Mayo, 25.000 persone che si sono riunite in questa nuova giornata di proteste contro il governo.

    A metà del percorso la polizia ha iniziato ad attaccare e a disperdere i manifestanti con bombe lacrimogene e truppe motorizzate (vedi il video qui sotto).

    La polizia ha anche eretto sbarramenti per impedire l’accesso alla zona del parlamento, dove i cortei stavano dirigendosi.

    Il Coordinamento nazionale per i diritti umani ha denunciato che nella stazione di polizia di Cotabambas sono detenute almeno 20 persone e che non permettono l’ingresso ai loro avvocati. Hanno anche denunciato che tra i detenuti c’è un minore.

  • Elettra Deiana, un ricordo, 1000 ricordi

    Elettra Deiana, un ricordo, 1000 ricordi

    di Fabrizio Burattini

    Come ormai tutte e tutti sanno, stamattina è morta Elettra Deiana.

    Elettra con Edgardo nella sede della Ligue Communiste francese nel maggio 1971

    Aderimmo sostanzialmente insieme, nel 1969 (lei qualche settimana prima, io qualche settimana dopo) ai Gruppi Comunisti Rivoluzionari (GCR) e alla Quarta Internazionale. I nostri percorsi precedenti erano stati molto diversi, io dalla gioventù comunista, lei dal dissenso radicale cattolico (era stata tra i fermati dalla polizia a Roma, a piazza San Pietro, nel 1968 durante una manifestazione dei cattolici contro la guerra del Vietnam). Ma poi il nostro percorso successivo fu identico, nella costruzione del gruppo romano dei GCR, nelle battaglie interne all’organizzazione, nelle mobilitazioni di quegli anni, nell’animare il collettivo di “Iniziativa Operaia” e il suo intervento di fronte alle fabbriche della zona di Pomezia.

    Affrontammo insieme la ricostruzione nel 1980 dell’organizzazione dopo la crisi semidistruttiva del 1977-78 e la sua trasformazione in Lega Comunista Rivoluzionaria. Lei dal 1980 assunse un ruolo centrale nell’organizzazione, mentre io ero solo uno dei pochi funzionari del minuscolo apparato nazionale con sede a Milano, a Via Varchi. Il nostro rapporto, già molto stretto a Roma, a Milano si intensificò ancora di più, tanto che erano più le notti che passavo nella casa di Quarto Oggiaro dove lei viveva con il suo compagno Edgardo Pellegrini che nella mia casa di Cinisello. Per un periodo non brevissimo fummo persino sostanzialmente accomunati da un legame familiare che mi fece perfino traslocare nella sua pur minuscola casa.

    Per me, lei non era solo la compagna indubbiamente più in vista e più capace dell’organizzazione ma costituiva un vero e proprio punto di riferimento personale, tanto da chiederle consiglio rispetto a scelte importanti che la vita mi proponeva di compiere. Ad esempio, quando la CGIL mi propose di diventare funzionario, fu lei a fugare le mie paure e a darmi il “nulla osta” per accettare la proposta, dicendomi: “Credo di essere una delle persone che ti conoscono meglio e sono certa che questa tua nuova collocazione non ti corromperà”.

    Poi, irruppero nella nostra discussione interna le nuove discussioni interne al movimento femminista. Ovviamente la Quarta Internazionale e anche la sua organizzazione italiana avevano discusso e fatto proprie da tempo le tematiche del femminismo. Ricordo qui il documento La rivoluzione socialista e la lotta per la liberazione delle donne (lo cito qui in francese perché non so se ne esista una versione digitale in italiano), adottato dall’11° congresso mondiale del 1979. Ma ora arrivava, con tutta la sua forza la discussione innescata dalla corrente femminista “della differenza”, a cui Elettra aderì con convinzione e con entusiasmo e di cui diventò rapidamente un’esponente di punta. Fu una discussione difficile che divise a metà le compagne dell’organizzazione (e di conseguenza anche noi compagni).

    Poi, quando la nostra corrente politica nel 1991 decise di partecipare alla costruzione prima del “movimento” e poi del “partito della rifondazione comunista”, Elettra divenne una delle dirigenti di quel partito e poi una delle sue deputate più intelligenti e attive. Io restavo un semplice funzionario sindacale, sempre attivo anche nel partito, ma certo non in condizione di frequentarla con i ritmi e con l’intensità di un tempo.

    I nostri percorsi rapidamente si allontanarono ma la mia stima per lei, come dirigente politica e come persona, rimase intatta. La ferita di quell’allontanamento, lo confesso facilmente, non si è mai cicatrizzata in me. Ebbi modo di reincontrarla varie volte, portando in parlamento da lei gruppi di lavoratrici tessili negli anni in cui dirigevo il sindacato FILLEA Cgil di Roma (2003-2006) e poi, molto più recentemente, quando un nostro comune compagno e amico (anch’egli scomparso), Sergio D’Amia, presentò un suo libro in una libreria del centro di Roma.

    Ma tutti quei nostri ultimi incontri, nonostante l’emozione che scuoteva entrambi, non riuscirono neanche loro a pacificarci. La notizia di questa mattina, con tutto il dolore che mi ha provocato, è stata capace di far svanire tutti gli interrogativi senza risposta e tutta l’amarezza di decenni di lontananza e di incomprensioni e me la fa di nuovo pensare insieme ad Edgardo e a me in quella casetta di Quarto Oggiaro.

  • Francia, verso la resa dei conti per far cedere Macron

    Francia, verso la resa dei conti per far cedere Macron

    di Léon Crémieux, da alencontre.org

    Dopo le grandi manifestazioni del 19 gennaio, le cui dimensioni erano già paragonabili alle grandi manifestazioni del 1995 e del 2010 (durante le mobilitazioni contro i precedenti attacchi governativi al sistema pensionistico), le manifestazioni del 31 gennaio hanno appena fatto esplodere i contatori: più di 2 milioni di donne e uomini in piazza secondo l’Intersindacale, la CGT annuncia il numero di 2,8 milioni, di cui 500’000 a Parigi. Nella capitale, pur percorrendo i viali principali, il corteo si è dovuto dividere per evitare che la manifestazione rimanesse bloccata nel suo punto di partenza, Place d’Italie.

    In quasi tutte le città – 270 manifestazioni si sono svolte in città grandi, piccole e medie – i cortei sono stati più numerosi rispetto al 19 gennaio. Anche i dati del ministero degli Interni – 1,27 milioni – sono i più alti per una giornata di manifestazioni negli ultimi 30 anni. Si tratta di una vera e propria mobilitazione di massa delle classi lavoratrici con, ovviamente, nei cortei, un maggior numero di lavoratori provenienti dal settore privato, spesso scioperanti. La massa di questa giornata riflette tutti i sondaggi di opinione che mostrano un crescente rifiuto del progetto di controriforma del governo: più dell’80% dei dipendenti, un sostegno maggioritario al movimento di sciopero e la sensazione che sarà necessario andare oltre gli scioperi e bloccare l’attività economica del paese per costringere Macron ed Elisabeth Borne a ritirare il loro progetto.

    I giovani delle scuole, dei licei e delle università sono stati ben presenti: 300 licei mobilitati, di cui 200 bloccati (con l’ovvia volontà della polizia di rompere violentemente i blocchi), decine di università, 150.000 giovani mobilitati secondo il conteggio delle organizzazioni giovanili, quindi tre volte di più rispetto al 19 gennaio.

    Un’unità sindacale senza precedenti

    “Siamo uniti e determinati a far ritirare questo progetto di riforma delle pensioni”, così si conclude la dichiarazione delle 8 confederazioni sindacali che hanno appena annunciato due nuove giornate di mobilitazione: il 7 e l’11 febbraio. Questa dichiarazione intersindacale è importante a due livelli. In primo luogo, viene mantenuto il fronte sindacale tra i sindacati che negli ultimi anni si sono spesso divisi di fronte ai progetti del governo. In secondo luogo, e questo è un precedente da più di 10 anni, i vertici sindacali sono d’accordo nell’imporre un ritiro puro e semplice del progetto del governo, che si basa su due pilastri: il rinvio dell’età pensionabile da 62 a 64 anni e il passaggio rapido a un minimo di 43 anni di lavoro per ottenere una pensione completa.

    È chiaro che ci stiamo dirigendo verso un grande scontro politico e sociale nelle prossime settimane.

    Le donne e le altre vittime della “riforma”

    Nonostante i battaglioni di “esperti” e commentatori che, su tutti i media, cercano di sostenere e spiegare i meriti di questa riforma, nonostante i ministri e i deputati macronisti e repubblicani (Les Républicains-LR) che occupano le piattaforme, il rifiuto della riforma, lungi dall’indebolirsi, non ha smesso di crescere nelle ultime settimane. Eppure Macron non ha esitato a invitare 10 editorialisti di altrettanti media (Le Monde, Les Echos, Le Figaro, BFM-TV, RTL, tra gli altri) per “inculcare” gli elementi di linguaggio in grado di distillare una propaganda efficace sulla riforma delle pensioni. Ogni ulteriore spiegazione non farà altro che aumentare l’ostilità.

    Soprattutto tra le donne, che hanno capito che avrebbero sofferto ancora di più per questa riforma. Se le donne dipendenti in Francia hanno in media un salario inferiore del 22% rispetto a quello degli uomini, hanno una pensione inferiore del 40%, soprattutto a causa di carriere frammentate e incomplete, dato che di solito devono sopportare il lavoro part-time e le dimissioni per occuparsi dei figli e delle faccende domestiche della famiglia, e dato che rappresentano la maggioranza delle famiglie monoparentali. L’effetto meccanico del passaggio a 64 anni di età e 43 anni di servizio pensionabile sarebbe quello di rendere ancora più difficile l’ottenimento di una pensione completa e di annullare i due anni di servizio pensionabile (uno nel settore pubblico) concessi per ogni figlio, che hanno permesso di anticipare l’età pensionabile. I lavoratori precari e i lavoratori poco qualificati o troppo logorati da lavori faticosi sanno anche che sarebbero il gruppo più numeroso a non poter rimanere nel mondo del lavoro tra i 62 e i 64 anni.

    Contrariamente a quanto spiega il primo ministro Elisabeth Borne, il rifiuto massiccio e crescente non deriva da una mancanza di pedagogia, ma piuttosto dalla comprensione del contenuto della riforma da parte della popolazione. Le donne, le carriere lunghe e i più precari soffriranno maggiormente di questa riforma.

    Le donne, le carriere lunghe e i più precari soffriranno maggiormente di questa riforma. Tutto ciò rende ancora più insopportabile l’arroganza di ministri come Gérald Darmanin (ministro degli Interni) e Gabiel Attal (ministro dell’Azione e dei Conti pubblici), tra gli altri, politici di professione fin dalla laurea, che osano castigare chi non vuole lavorare più a lungo e osano affermare, di fronte agli scioperanti, di essere “la Francia che vuole lavorare”.

    Una spesa pensionistica incompatibile per padroni e governo

    Inoltre, come è accaduto durante i precedenti grandi movimenti in difesa delle pensioni, le argomentazioni fallaci del governo sono state ampiamente smontate e combattute dagli attivisti del movimento sindacale e sociale, con un’ampia offerta di argomenti provenienti da economisti antiliberali.

    Così, Macron e Borne affermano ancora di voler “salvare il sistema messo in pericolo dalla demografia”. Secondo loro, l’aumento del numero di pensionati e la diminuzione del numero di lavoratori metterebbero in pericolo il sistema. Ironia della sorte, sono le cifre ufficiali dettagliate dal Conseil d’orientation des retraites (COR) e le dichiarazioni del suo presidente Pierre-Louis Bras – ex direttore della Sicurezza Sociale e Ispettore Generale degli Affari Sociali – a mettere a tacere l’argomentazione ufficiale: “La spesa pensionistica si è complessivamente stabilizzata e anche a lunghissimo termine, è in diminuzione in tre ipotesi su quattro… Quindi la spesa pensionistica non sta scivolando… e nell’unica ipotesi mantenuta dal governo, sta diminuendo pochissimo, ma un po’ a lungo termine. La spesa pensionistica non è in calo, ma non è compatibile con la politica economica e gli obiettivi di finanza pubblica del governo”, ha dichiarato giovedì 19 gennaio davanti alla Commissione Finanze dell’Assemblea nazionale. Gli obiettivi sono noti: rispettare i criteri di convergenza dell’Unione Europea (UE) e raggiungere un deficit pubblico del 2,9% del PIL nel 2027. Bruno Le Maire (ministro dell’Economia, delle Finanze e della Sovranità industriale e digitale) si è impegnato in tal senso nella “traiettoria di bilancio” inviata alla Commissione europea la scorsa estate. Si impegna ad attuare la riforma del sistema pensionistico per ridurre la sua quota di spesa pubblica.

    Va inoltre osservato che il vero problema che emerge dalla relazione del COR sull’evoluzione finanziaria del sistema pensionistico non deriva dalle spese ma dalle entrate, e in particolare dai contributi dei dipendenti e dei datori di lavoro dei 2,2 milioni di dipendenti pubblici del settore locale e ospedaliero, che rappresentavano 22 miliardi di euro di entrate nel 2021. Nei dati sulla massa salariale pubblica comunicati al Comitato dal ministero dei conti pubblici, è sorprendente notare che il numero complessivo del personale di questi due servizi pubblici rimarrà più o meno lo stesso fino al 2027, con un virtuale congelamento degli stipendi. Pertanto, per questi 2,2 milioni di dipendenti pubblici non sono previste assunzioni (ad eccezione di 15.000 lavoratori ospedalieri) o aumenti salariali. Ciò significherebbe, se queste cifre dovessero diventare effettive, un calo dell’11% del salario reale dei dipendenti pubblici entro il 2027. L’ammanco per il sistema pensionistico derivante da queste cifre sarebbe di circa 3 miliardi all’anno, che sarebbero disponibili per il sistema se le retribuzioni del pubblico impiego seguissero le proiezioni utilizzate per tutte le retribuzioni. Le cifre comunicate al Comitato dal governo per giustificare gli squilibri finanziari entro il 2027 sono quindi una deliberata sottostima delle risorse del fondo pensione.

    Le imprese incassano sempre più e pagano sempre meno

    Lo stato sta drammatizzando i conti del regime pensionistico per far pagare ancora una volta ai dipendenti il ritorno ai criteri di Maastricht per la spesa pubblica, definendo irresponsabili coloro che sono disposti a lasciar crescere il cosiddetto deficit. È quindi interessante il rapporto dei ricercatori dell’IRES di Lille. Nel 2019, l’importo totale degli aiuti alle imprese, delle spese di bilancio, della riduzione dei contributi sociali, delle esenzioni fiscali e di altre “nicchie” ammonta a 157 miliardi. 157 miliardi di euro sono il 6,4% del PIL, più del 30% del bilancio dello Stato. Tutti gli aiuti alle imprese rappresentavano solo il 2,4% del PIL nel 1979. Quindi, se ci preoccupiamo dell’equilibrio del sistema di sicurezza sociale, che dovrebbe basarsi sui contributi dei datori di lavoro e dei lavoratori, va notato che nel 1995 le imprese hanno rappresentato il 65,2% del finanziamento della sicurezza sociale. La quota è scesa al 46,9% nel 2020, “grazie” ai tagli contributivi volti ad “abbassare il costo del lavoro”. Nel bilancio 2023, l’importo dei regimi di esenzione fiscale è di 85 miliardi [Vedi il Dossier di Alternatives Economiques de febbraio 2023].

    Le manovre della “minoranza parlamentare” macronista

    Il governo si è ovviamente reso conto di trovarsi di fronte alla doppia ostilità dell’intero movimento sindacale, dell’80% dei lavoratori e della popolazione in generale, e di non essere più in grado di convincerli. Vuole quindi muoversi rapidamente, con due obiettivi: cercare di scoraggiare i lavoratori ed esaurire il movimento proclamando: che ogni mobilitazione è e sarà inutile (“il rinvio a 64 anni non è più negoziabile” ha dichiarato Elisabeth Borne lunedì scorso); che la riforma sarà votata rapidamente, senza alcuna modifica; che non ci sarà alcun aggiustamento sui punti fondamentali. Tuttavia, non vuole apparire isolato all’Assemblea nazionale e al Senato.

    Inserendo la sua riforma nel disegno di legge di rettifica del finanziamento della previdenza sociale (PLFSS), l’articolo 47-1 della Costituzione, attraverso una manipolazione istituzionale, ne consentirà il rapido svolgimento, limitando i dibattiti in Assemblea a 20 giorni e l’insieme dei dibattiti a 50 giorni. Il governo si assume così il diritto, se il voto non avviene entro i tempi previsti, di legiferare per ordinanza e decreto, scavalcando il parlamento. Inoltre, se necessario, dispone dell’articolo 49-3, che gli consente di imporre la propria presenza senza votazione, mettendo in gioco la fiducia al governo.

    Perciò va veloce, mentre cerca di siglare l’accordo con la leadership dei Repubblicani (LR), i cui deputati e senatori possono dargli la maggioranza in entrambe le camere. Ma anche in questo campo della destra macronista e repubblicana le cose non sono ancora definite. Ad oggi, 16 deputati repubblicani e affini su 62 si rifiutano di votare il progetto e gli alleati di Macron all’Assemblea (Horizon-29 seggi di Edouard Philippe e MODEM-51 seggi di François Bayroux) dichiarano diversi disaccordi. Non vogliono lasciare il ruolo di maggioranza ai soli repubblicani (Renaissance, il partito di Macron e Borne, ha solo 169 seggi su 577 e deve raccogliere 289 voti per ottenere la maggioranza). I negoziati saranno tanto più intensi in quanto tutti questi parlamentari sono sempre più in contrasto con gran parte della loro base elettorale, anch’essa ostile alla riforma.

    La posta in gioco per tutti questi partiti e i loro rappresentanti eletti è il loro posizionamento nel contesto delle prossime elezioni (presidenziali e legislative) del 2027. Nel governo, Bruno Lemaire si gioca la credibilità contro Gérard Darmanin, candidato a succedere a Macron all’interno del partito presidenziale. Ci sono troppi coccodrilli nella palude del neoliberismo capitalista. Ogni corrente della maggioranza rischia di suonare il proprio spartito su questa legge, indebolendo l’a ‘impostura sulla falsa serenità del governo, già destabilizzata dalla mobilitazione popolare.

    Inoltre, il campo di Macron sta giocando una partita pericolosa, sbandierando continuamente nelle ultime settimane che la sua riforma era democraticamente legittima, poiché il candidato l’aveva annunciata durante la campagna presidenziale del 2022. Questo vanto è ancora più rivoltante nel movimento sindacale e tra gli elettori di sinistra, poiché Macron ha vinto, nonostante il suo programma, solo grazie ai partiti NUPES e al movimento sindacale, che avevano chiesto di votarlo per bloccare Marine Le Pen. Al primo turno di votazione, Macron ha ottenuto solo il 20% degli elettori registrati per il suo programma politico. Questo disprezzo per i suoi elettori al secondo turno avrebbe senza dubbio la conseguenza, se si verificasse un’identica configurazione disastrosa nel 2027, che il “fuoco di sbarramento repubblicano” dietro un candidato della destra macronista contro Marine Le Pen non avrebbe più alcuna efficacia.

    Le lezioni del 2010

    Su un altro piano, i leader macronisti e i loro incensatori mediatici hanno bluffato sostenendo per settimane che il movimento sindacale è così indebolito e diviso che non sarà in grado di unirsi o di agire efficacemente nel lungo periodo, pensando che il corpo sociale ricadrà rapidamente nella rassegnazione e nell’apatia. Nel peggiore dei casi, prevedono una ripetizione dello scenario del 2010. All’epoca, di fronte al progetto di riforma delle pensioni di Sarkozy, che innalzava l’età pensionabile da 60 a 62 anni, la protesta unitaria si esaurì con sette mesi di manifestazioni e scioperi che non paralizzarono mai la vita economica del paese né impedirono l’approvazione della riforma.

    Per cercare di scongiurare un altro scenario più pericoloso per loro, sollevano lo spettro di possibili “blocchi” dei trasporti o delle forniture di carburante, sostenendo che ciò screditerebbe e paralizzerebbe rapidamente gli scioperi. Si tratta di un tentativo di cancellare il fatto che nel 1995 i milioni di lavoratori bloccati da tre settimane di sciopero hanno dato un notevole sostegno agli scioperanti della SNCF e della RATP.

    È inoltre importante ricordare che, negli ultimi giorni, la maggioranza dei lavoratori si è convinta che sia necessario bloccare la vita economica per ottenere il ritiro del progetto. È la convinzione di poter essere abbastanza forti e determinati da vincere che può essere l’elemento migliore per incoraggiare un ampio sostegno popolare agli scioperi che paralizzano i trasporti o la distribuzione di carburante.

    Inoltre, a differenza di oggi, nel 1995 lo sciopero dei trasporti era soprattutto uno sciopero “per procura”, con i ferrovieri e i macchinisti della RATP che erano il punto un po’ troppo solitario del confronto. Inoltre, la leadership confederale della CFDT si è opposta allo sciopero e ha sostenuto il piano del primo ministro Alain Juppé. Tuttavia, “con i piedi per terra”, ha dovuto fare marcia indietro e ritirare il suo piano. Oggi ci sono quindi due fattori più favorevoli: un’ampia unità sindacale, una crescita di potere di diversi settori professionali… e anche un terzo che è proprio l’esperienza del 2010, condivisa da molte squadre sindacali.

    Cresce la consapevolezza della necessità di bloccare il paese

    È quindi possibile fare bene come nel 1995 e anche meglio, evitando gli errori del 2010. Nel braccio di ferro che sta iniziando, potrebbe esserci un’erosione marginale della destra in parlamento ma, nella peggiore delle ipotesi, il governo manterrà l’arma dell’articolo 49-3 e l’approvazione di decreti e ordinanze se, alla fine di marzo, il tempo per il dibattito sarà finito prima del voto finale. Quindi, al di là di una possibile crisi politica dovuta alle pressioni subite all’interno della destra, l’elemento decisivo per vincere, per costringere Macron a ritirare il suo progetto, sarà il blocco economico e la convinzione nella classe dirigente che questa riforma non vale la paralisi industriale e commerciale. Lo stesso MEDEF (Mouvement des entreprises de France, la Confindustria francese) non riteneva in autunno che questa riforma fosse ormai indispensabile, essendo più concentrato su quella dell’indennità di disoccupazione che, da febbraio, si traduce in una riduzione del 25% della durata dell’indennizzo.

    La tempistica imposta da Macron e Borne impone sia la necessità di organizzare un movimento massiccio di manifestazioni sia di creare rapidamente un equilibrio di potere eclatante. L’iter parlamentare non sarà completato entro la fine di marzo.

    La discussione tra i sindacati e tra i lavoratori

    Per questo motivo, il dibattito su come muoversi al meglio verso uno o più scioperi prolungati mantenendo la massa e l’unità del movimento è al centro di molte discussioni. Il compromesso delle decisioni dell’intersindacale della sera del 31 riflette queste contraddizioni.

    La dirigenza della CFDT è decisa a mantenere il fronte sindacale, ma concepisce l’azione come una battaglia di opinione, per conquistare la maggioranza della popolazione al rifiuto della riforma e per ottenere il ritiro attraverso la mobilitazione popolare, le manifestazioni di massa… e convincendo i deputati a non votare il testo. Di conseguenza, si dovrebbe avere un ritmo di mobilitazioni successive, un lavoro di convincimento, per fare pressione sui rappresentanti eletti… senza lanciarsi in scioperi prolungati, in particolare in settori che bloccherebbero la vita economica per diversi giorni o settimane. Tuttavia, avere solo questa strategia come linea guida porterebbe al fallimento registrato nel 2010.

    Per questo motivo un gran numero di attivisti e di squadre combattive sottolineano la necessità di organizzare e preparare uno sciopero ad oltranza. Questo è ciò che guida il ritmo dato dalla federazione dei chimici CGT con diverse giornate di sciopero di durata crescente nella prima metà di febbraio, in particolare nel settore petrolifero. È una tattica identica a quella della CGT Energia, della CGT Porti e darsene, della CGT e della Sud Rail della SNCF. Tutti questi sindacati hanno programmato almeno due giorni di sciopero tra il 6 e l’8 febbraio.

    La decisione dell’intersindacale di avere un giorno di sciopero il 7 febbraio e un giorno di manifestazione sabato 11 febbraio è un compromesso tra queste due posizioni.

    Inoltre, nonostante la portata massiccia degli ultimi due giorni di sciopero, si registra una difficoltà a tenere il passo con l’aumento degli scioperi nel servizio pubblico, nell’energia e nei trasporti, difficoltà che si riflette in un piccolo calo del numero di scioperanti in questi settori. Allo stesso modo, anche alla SNCF, le assemblee generali non sono massicce e non riflettono una crescita dinamica dello sciopero. Ma molti attivisti militanti pensano che per un’autentica crescita dell’azione in questi settori non sarebbe necessario logorare la mobilitazione scaglionando le giornate, ma mostrare chiaramente un calendario che costruisca un confronto intercategoriale per il quale valga la pena di fare diverse giornate di sciopero. Tutti questi parametri sono ancora più difficili da gestire in modo coerente, poiché le diverse tattiche riflettono anche le divisioni nel movimento sindacale, anche all’interno della CGT alla vigilia del suo congresso confederale.

    Questi rischi centrifughi rafforzano la necessità di costruire assemblee generali degli scioperanti, strutture di coordinamento intercategorionali e intersindacali nelle città e nelle zone industriali per creare una dinamica locale unitaria e combattiva. Ciò sta iniziando a verificarsi e talvolta si estende ad altre strutture del movimento sociale, come la Confederazione dei contadini.

    In diversi settori si cercherà di continuare lo sciopero anche dopo il 7 febbraio e le manifestazioni dell’11 febbraio, di sabato, in tutte le città del paese, saranno sicuramente massicce e popolari, in particolare per coloro che non hanno potuto scioperare e/o manifestare il 19 e il 31 gennaio. In ogni caso, i giorni a venire devono servire a convincerci che la vittoria è possibile e che dobbiamo darci tutti i mezzi per raggiungerla.

    Le poste in gioco in questa fase

    La posta in gioco politica di questo movimento è importante per diversi motivi. Chi manifesta e sciopera è motivato dall’attacco alle pensioni, ma anche dagli attacchi del governo ai sussidi di disoccupazione, alla formazione professionale e, naturalmente, alla perdita di salario che, dopo gli anni di Covid, l’inflazione e i bassi aumenti salariali hanno provocato. Quindi, è l’intera politica capitalista di Macron e del suo governo a essere messa in discussione. Questo motiva ancora di più a vincere sulle pensioni e tutti i motivi di rabbia appaiono chiaramente nei cartelli, negli slogan e nelle discussioni nelle manifestazioni.

    Per quanto sia importante mantenere un fronte unito incentrato sul ritiro del progetto Macron-Borne, coloro che fanno parte del movimento capiscono che l’esito di questa prova di forza sarà un miglioramento dei rapporti di forza in caso di vittoria, e un peggioramento in caso di insuccesso, di fronte ai datori di lavoro e al governo. È ancora più importante che emerga questa questione di classe, questo equilibrio di potere da stabilire per una diversa distribuzione della ricchezza, poiché è importante rendere credibili le richieste anticapitaliste per il finanziamento dei beni comuni, la sicurezza sociale, la sanità, la casa e i salari. Ciò avviene in un momento in cui febbraio vedrà giorno dopo giorno la pubblicazione dei risultati annuali delle principali aziende francesi, che promettono, nel complesso, di superare quelli del 2021.

    Sono quindi diverse le questioni in gioco in questa mobilitazione della sinistra anticapitalista. L’NPA sta cercando di prendere il suo posto spingendo per l’unità d’azione con tutte le forze politiche del movimento operaio che si oppongono alla riforma, cercando di costruire iniziative comuni di tutto il movimento operaio, sindacale, associativo e politico, proprio come l’LCR aveva preso il suo posto nel 2006 nella lotta contro il Trattato costituzionale europeo.


    In questo movimento si sta giocando un’altra battaglia tra gli anticapitalisti e l’estrema destra. Il RN (Rassemblement National di Marine Le Pen) sta ancora una volta cercando di sfruttare il malcontento popolare per apparire, con l’aiuto compiacente dei media, come la vera opposizione a Macron e proclamare la sua opposizione alla riforma delle pensioni. Ma l’estrema destra sa di essere persona non gradita nei cortei sindacali (e del resto denuncia i sindacati che hanno invitato a votare Macron contro di essa) e, in Assemblea, la RN rimane senza voce nella battaglia degli emendamenti per contrastare il progetto, lasciando questo spazio alla NUPES di Jean-Luc Mélenchon.

    Va detto che la RN, nel merito, condivide la “necessità che i lavoratori si impegnino per finanziare le pensioni”. La RN, dopo essersi fatta bacchettare dagli economisti liberali che la circondano, ha accantonato il suo programma per il 2017: il ritorno al pensionamento a 60 anni con 40 anni di contributi. A parte le carriere iniziate prima dei 20 anni, dove il suo programma mantiene il ritorno ai 60 anni, il RN è tranquillamente a favore del pensionamento completo tra i 62 e i 67 anni con 42 o 43 anni di contributi. In sostanza, si trovano d’accordo con Macron, anche se denunciano a gran voce il rifiuto del progetto di Macron di posticipare l’età pensionabile a 64 anni. Non ha senso cercare nel loro programma la minima richiesta di giustizia sociale, di distribuzione della ricchezza attaccando i capitalisti, di una politica fiscale e di bilancio che metta fine ai regali alle grandi imprese. Le loro soluzioni per le pensioni, a parte il rinvio dell’età pensionabile per i lavoratori dipendenti, consistono in una politica pro-natalista e nella fine dei regali agli… immigrati! Mettere in discussione il posto della RN in questa mobilitazione non si fa quindi solo nelle strade, ma anche denunciando la doppiezza della sua posizione.

  • Verso lo sciopero ad oltranza

    Verso lo sciopero ad oltranza

    L’intersindacale deve assumersi le proprie responsabilità!

    Comunicato del Nuovo Partito Anticapitalista (NPA)

    Questa seconda fase del movimento può essere considerata in gran parte un successo: il numero di manifestanti continua ad aumentare, sia a Parigi che nelle regioni, raggiungendo i due milioni e mezzo in tutto il paese. In tutte le città il movimento si sta costruendo e sviluppando, sia nel settore pubblico che in quello privato, anche se in alcuni settori le percentuali di sciopero sono un po’ più basse rispetto al 19, il che si spiega con la strategia di prendere permessi senza retribuzione piuttosto che scioperare per durare.

    Tale successo si percepisce nelle decisioni prese dall’intersindacale in merito alla continuazione del movimento. Mentre nei giorni scorsi la CFDT sembrava non voler indire una nuova giornata di sciopero per concentrarsi su una manifestazione nel fine settimana, l’intersindacale chiede ora due giorni di mobilitazione, di cui uno durante la settimana – martedì 7 e sabato 11 febbraio. Sebbene sia una buona notizia e questo calendario ci permetta di continuare a costruire lo sciopero, dobbiamo comunque sottolineare che in questa fase rimane incompleto. Solo una visione strategica complessiva per il prossimo confronto ci permetterà di superare le difficoltà del movimento, che persistono.

    In effetti, possiamo notare che se il livello di mobilitazione in strada è molto importante, il livello di organizzazione degli scioperanti a livello locale, la tenuta delle assemblee generali, il coordinamento tra le diverse forze, in una parola il livello di auto-organizzazione, rimane agli inizi. Molti fattori possono spiegarlo: la rottura forzata della continuità dei legami sociali che il Covid ha prodotto, la perdita dei riflessi militanti associati, più in generale la debolezza delle strutture organizzative militanti e, ancora più ciclicamente nelle grandi città, lo sciopero dei trasporti che rende difficile recarsi sul posto di lavoro per organizzarsi. Tuttavia, la questione sarà decisiva per il proseguimento del movimento: per aggregare i colleghi che non hanno ancora aderito alla mobilitazione, in particolare elaborando rivendicazioni locali, per decidere collettivamente sul proseguimento del movimento, ecc.

    Per alcuni, questo basso livello di auto-organizzazione giustifica un calendario distanziato di appelli alla mobilitazione. Ma è esattamente il contrario: poiché assistiamo sia a un alto livello di determinazione nello scontro, come dimostrano i numeri delle manifestazioni, sia a un basso livello di auto-organizzazione che si traduce in una forma di disorganizzazione, abbiamo tanto più bisogno di un piano d’attacco articolato e chiaro, che solo potrà immettere nel movimento chi esita e dare a tutti noi prospettive per il futuro! A questo proposito, se è positivo avere “due” date, il 7 e l’11, dobbiamo porci il problema di cosa fare tra le due. Dobbiamo spiegare che solo un movimento che continua a crescere, a costruirsi, a bloccare realmente l’economia, sarà in grado di far indietreggiare il governo. E questo comporterà necessariamente un prolungamento dello sciopero. D’ora in poi, localmente dove siamo, nelle assemblee generali a cui partecipiamo, dobbiamo sostenere e fare nostro il calendario proposto dai ferrovieri per tornare a scioperare da mercoledì 8, anche se in alcuni settori è chiaro che lo sciopero non sarà possibile da quella data.

    Naturalmente, dobbiamo evitare di esaurire i settori più determinati nel proseguimento se il resto del movimento non lo segue. Per questo dobbiamo fare pressione sull’intersindacale affinché raccolga l’appello per per il prolungamento dello sciopero. Dobbiamo uscire da una situazione in cui l’intersindacale aspetta che il vapore si accumuli alla base e in cui i settori più determinati aspettano un segnale chiaro dall’intersindacale per partire davvero. È certo che il prolungamento non si costruirà solo a livello locale: sarà il risultato di un’interazione tra la determinazione di alcuni settori che stanno facendo pressione e un chiaro richiamo dell’intersindacale, che da solo sarà in grado di dare fiducia e di mettere tutti in battaglia.

    Il NPA, come partito, in questa fase chiave della mobilitazione, non si accontenta di fare il commentatore del movimento, indicandone i punti di forza e di debolezza: dobbiamo essere una forza di iniziativa e cercare di agire, al nostro livello, proponendo una strategia per vincere. In questo senso, i nostri portavoce devono continuare a prendere una posizione chiara a favore del prolungamento nei media e a proporre il calendario di lotta indicato dai ferrovieri, non in modo vago ponendo la questione del prolungamento, ma concretamente, dicendo che è stato presentato un calendario e che l’intersindacale deve recepirlo. Allo stesso modo, potremmo immaginare di organizzare un grande meeting centrale del NPA la prossima settimana per il prolungamento dello sciopero aperto a tutti i settori in lotta. Questo ci permetterebbe di apparire a pieno titolo nella mobilitazione, di fungere da portavoce delle lotte e di difendere il nostro asse strategico centrale. Questa idea non esaurisce le altre: la cosa più importante è provare!

  • Francia, verso un’esplosione sociale di proporzioni storiche

    Francia, verso un’esplosione sociale di proporzioni storiche

    di Yorgos Mitralias

    I media internazionali possono anche non dire una parola, ma questo non significa che in questi giorni la Francia non sia scossa dalla più grande esplosione sociale degli ultimi decenni. In particolare, martedì 31 gennaio le manifestazioni contro la riforma delle pensioni di Macron sono state le più imponenti degli ultimi 30 anni nel paese (2,5 milioni di manifestanti in totale, secondo i sindacati), più grandi persino di quelle della storica, vittoriosa e duratura mobilitazione del 1995 che accelerò la caduta del presidente Chirac. Questo non perché lo dicono i sindacati e la sinistra, ma secondo la stima del numero di manifestanti resa pubblica dallo stesso governo del presidente Macron e dalla sua polizia.

    Quindi, se teniamo conto del fatto che tutti si rendono conto che siamo solo all’inizio di un’esplosione sociale “destinata” a radicalizzarsi e a durare, allora possiamo forse comprendere le dimensioni storiche degli eventi che si stanno svolgendo e si svolgeranno in Francia. In questa Francia che, non dimentichiamolo, è stata per alcuni secoli il “barometro” sociale e rivoluzionario permanente di tutta l’Europa.

    Che cosa c’è di inedito nelle manifestazioni francesi?

    Ma cosa rende l’attuale esplosione sociale francese così speciale e promettente? Innanzitutto le sue caratteristiche inedite e specifiche. In particolare, l’unità di tutti i sindacati, che non si vedeva da almeno 20 anni. E non è solo il fatto che le confederazioni operaie di classe, come la storica CGT e la molto più giovane e radicale SUD stanno stanno gestendo la mobilitazione insieme alla CFDT, tradizionalmente molto più moderata. È anche che i sindacati degli impiegati e altri sindacati dei lavoratori si stanno coordinando con loro e, naturalmente, partecipano a scioperi e manifestazioni di massa. Ed è impressionante la partecipazione sempre più massiccia dei salariati del settore privato. E che, accanto a loro, una moltitudine di altri sindacati e associazioni professionali sta partecipando e sostenendo in modo militante – dai contadini della Confederazione dei Contadini ai panettieri che stanno fallendo, perché colpiti da una crisi senza precedenti (la metà di loro dovrebbe chiudere entro il prossimo marzo o aprile). Naturalmente, l’opinione pubblica francese sostiene le mobilitazioni ed è costantemente (tra il 70 e l’80%) contraria alla riforma di Macron, che ha fatto crollare di settimana in settimana la sua già scarsa popolarità.

    È anche che stiamo assistendo al fenomeno – impensabile 20-30 anni fa – delle manifestazioni più massicce che si svolgono nelle province, nei piccoli centri e ancor più nelle città di 10.000-20.000 abitanti che tradizionalmente votano per la destra. Sia nelle prime manifestazioni del 19 gennaio, sia in quelle di 11 giorni dopo, ci sono stati numerosi casi di città di provincia di 10.000-30.000 abitanti in cui un quarto o addirittura un terzo della popolazione ha partecipato alle manifestazioni. E questo in tutta la Francia. [Vedere a questo proposito su Twitter l’hashtag #manifestation31janvier]

    Infine, oltre alle avanguardie più o meno note e ai membri dei sindacati, a queste manifestazioni hanno partecipato persone di tutte le età, professioni e occupazioni, oltre a moltissime persone che si univano a una manifestazione per la prima volta nella loro vita, i cosiddetti “primi dimostranti”.

    Il ruolo di Macron e del suo governo

    Ma cosa rivelano questi eventi senza precedenti e come possono essere spiegati? Innanzitutto, rivelano ciò che è ben noto nella Francia di Macron: l’immenso odio che la stragrande maggioranza dei cittadini nutre nei confronti del presidente e della sua cricca. Non si tratta di un’antipatia o di una furia oppositiva che ci è familiare. Si tratta di un odio abissale, costantemente alimentato dall’arroganza del presuntuoso ed egoista presidente-monarca neoliberista, abituato a umiliare i suoi “sudditi”, e che ora trova un’occasione d’oro per manifestarsi in modo centrale in uno sfogo sociale che ha, inoltre, ottime possibilità di diffondersi e vincere. Questo perché riguarda una questione di dimensioni esistenziali, come l’aumento dell’età pensionabile a 64 anni, che si traduce nell’inventivo ma macabro slogan dei manifestanti di oggi, “metro-boulot-tombeau”, cioè “metro-lavoro-tomba” che fa il verso alla frase popolare “metro-boulot-dodo” (cioè “metro-lavoro-sonno”). Ma anche nella loro conclusione militante e così eloquente, nel gioco di parole ancora più inventivo “Tu nous mets 64-on te mai68”. Ovvero: “Voi ci date il 64, noi vi diamo il 68″…

    Ma ciò che spinge tutti i commentatori e gli “analisti” – anche quelli di destra – a credere che siamo ancora solo all’inizio della mobilitazione sociale e che questa si intensificherà e si radicalizzerà. Innanzitutto, sono tutte le caratteristiche specifiche che abbiamo brevemente menzionato, ovvero la sua rarità. Sono anche le caratteristiche particolari di Macron stesso e del governo del suo primo ministro, Elisabeth Borne, che non li rendono più disposti né in grado di fare la minima concessione sostanziale. Macron, in particolare, è ben consapevole che qualsiasi arretramento significherebbe la sua fine ed è per questo che mostra e dice di essere determinato a non rimangiarsi la sua riforma e che l’innalzamento dell’età pensionabile a 64 anni è “non negoziabile”.

    I timori del padronato

    Il risultato, tra l’altro, è che un vento di panico sta iniziando a soffiare nell’establishment borghese francese di destra, dato che un numero sempre maggiore di suoi agenti (media, varie élite, politici, ecc.), e persino i datori di lavoro francesi, sembrano essere molto preoccupati per il “presidente irresponsabile” che sta “portando il paese alla catastrofe” con un esito totalmente incerto. Come diretta conseguenza, anche i membri del partito presidenziale – assediati dai loro elettori scontenti – cominciano a dubitare e minacciano di non votare a favore della famigerata legge in un parlamento francese in cui – non dimentichiamolo – Macron e il suo partito sono in minoranza e hanno urgente bisogno del sostegno dei deputati della tradizionale destra repubblicana (LR, il partito di Sarkozy), che sembrano anch’essi alleati meno sicuri.

    La conclusione è che le condizioni sono quasi ideali per l’escalation e la radicalizzazione dello storico sfogo della società francese, che può vantare anche un ulteriore e non trascurabile successo politico: il sorprendente isolamento della signora Le Pen e del suo partito di estrema destra, vistosamente assente dalle manifestazioni. Ma è ovvio che il suo ulteriore sviluppo, la sua generalizzazione e la sua radicalizzazione dipenderanno in larga misura da ciò che Macron stesso teme più di ogni altra cosa: il rafforzamento del movimento di massa da parte dei giovani delle scuole superiori e delle università, che stanno già muovendo i primi passi in questa direzione bloccando le scuole, occupando le facoltà universitarie e organizzando assemblee generali che decidano democraticamente il proseguimento della lotta.

    La nostra attenzione si rivolge quindi alla Francia, che comincia ad assomigliare a un vulcano in procinto di eruttare. Già nei prossimi giorni inizieranno scioperi e blocchi nelle raffinerie, nei trasporti e in altri servizi pubblici, che potrebbero portare al blocco del paese. I prossimi scioperi e manifestazioni di piazza in tutta la Francia, decisi congiuntamente dai sindacati, sono previsti per il 7 e l’11 febbraio. Senza dubbio, qualcosa di molto grande sta già iniziando a delinearsi sull’orizzonte sociale della Francia…

  • Facciamo come in Francia

    Facciamo come in Francia

    In Francia, in queste settimane, si sta svolgendo una lotta cruciale. A noi, qui in Italia, dove i sindacati maggioritari hanno accettato e spesso persino sostenuto riforme pensionistiche ancora peggiori di quella che vogliono far passare Macron e il suo governo, dove la devastante “riforma Fornero” del 2011 è passata senza alcuna vera opposizione, né sindacale (solo 3 ore di sciopero con micropresidi in tre o quattro cottà) né politica (approvata da quasi tutto il parlamento dell’epoca), vedere quel che sta accadendo in Francia, vedere tutti i sindacati (compresa la supermoderata CFDT) costretti a scioperare dalla spinta dal basso dei loro iscritti, vedere milioni di lavoratrici, di lavoratori, di giovani e di anziani in piazza, vedere centinaia di manifestazioni in contemporanea in ogni città francese, vedere la sinistra parlamentare scatenata in una dura opposizione al progetto di legge, può sembrare irreale.

    Qui dove siamo abituati a rassegnarci ad un sistema politico ed economico che vuole cancellare tutte le conquiste dei nostri padri, che vuole peggiorare sempre più le condizioni di vita delle classi popolari, dovremmo interrogarci sul perché di queste diverse situazioni.

    Interrogarci sul perché i sindacati italiani, i “sindacati più forti d’Europa”, abbiano fatto passare tutto e di più e che cosa sia necessario fare perché anche da noi ci si opponga con forza alla politica antipopolare del governo, della Confindustria e di tutte le associazioni padronali.

    La lotta in corso in Francia non esprime solo la sacrosanta difesa del sistema previdenziale messo in discussione dalle scelte del governo Macron-Borne e dalla loro minoranza parlamentare. Si tratta anche di una partita il cui esito peserà sugli equilibri futuri di tutta Europa.

    Dobbiamo esprimere fattivamente il nostro sostegno alla lotta in corso in Francia in tutti i modi, con iniziative di mobilitazione e di propaganda nelle città italiane, con interventi nei social, con ogni mezzo.

    Per sostenere quella lotta occorre conoscerla. Per questo rosarossaonline.it pubblica e pubblicherà in questa pagina un dossier sulla lotta in Francia in continuo aggiornamento.

    Condividetelo, divulgatelo.

    Dossier Francia, la lotta contro la riforma Macron delle pensioni

  • Francia, la tripla rendita di certi “pensionati”

    Francia, la tripla rendita di certi “pensionati”

    A cura dell’Osservatorio sulle multinazionali

    Mentre il movimento sociale contro la riforma delle pensioni guadagna slancio, vale la pena di esaminare il caso dei dirigenti delle 40 aziende francesi più ricche che stanno giungendo alla fine della loro carriera.

    Diversi amministratori delegati emblematici – Antoine Frérot di Veolia, Jean-Paul Agon di L’Oréal, Benoît Potier di Air Liquide, Pierre-André de Chalendar di Saint-Gobain, Martin Bouygues – sono andati in pensione nel 2021 o nel 2022. O, per essere più precisi, hanno ceduto la gestione operativa del gruppo pur rimanendo almeno temporaneamente presidente del consiglio di amministrazione.

    Molti di loro hanno sostenuto esplicitamente la riforma delle pensioni o almeno il principio di dare priorità alla riduzione della spesa sociale.

    Non sorprenderà nessuno se sottolineiamo che, rispetto alla media dei pensionati attuali e futuri, questi neo-pensionati se la cavano bene. Molto bene.

    Innanzitutto, continuano a ricevere una remunerazione fissa di diverse centinaia di migliaia di euro all’anno per la loro posizione nel consiglio di amministrazione.

    Inoltre, ricevono, o possono pretendere, diverse centinaia di migliaia di euro in più in rendite come “pensione integrativa”. Nonostante la graduale eliminazione di questo regime dopo ripetute controversie, i dirigenti più anziani continuano a beneficiarne. Come spesso accade, il primo premio in questo settore va a L’Oréal, dove Jean-Paul Agon può pretendere 1,6 milioni di euro all’anno – ovvero 1.260 volte la pensione media in Francia – in aggiunta alla sua pensione “normale”.

    E non è tutto. Poiché queste super-aziende si sono abituate a pagare i loro capi in azioni (quasi il 50% della loro remunerazione media nel 2021), si ritrovano in possesso di una bella fortuna al momento del pensionamento (si stima che lo stesso Jean-Paul Agon abbia ricevuto 500 milioni di euro in azioni L’Oréal). Queste attività rappresentano anche un’ulteriore fonte di reddito, sotto forma di dividendi. Jean-Paul Agon – caso certamente estremo – ha ricevuto non meno di 6,1 milioni di euro di dividendi nel 2021. Benoît Potier, di Air Liquide, si è accontentato di 1,5 milioni e gli altri di “poche” centinaia di migliaia di euro.

    La generazione di questi dirigenti che oggi va in pensione è proprio quella che ha orchestrato la sottomissione delle grandi aziende francesi ai mercati finanziari, con tutti gli effetti deleteri che ne derivano: priorità ai dividendi, elusione fiscale, riduzione dei costi, delocalizzazione se possibile. Ancora oggi ne raccolgono i frutti. Sono gli altri a farne le spese.

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  • Francia, “ingiusto e inefficiente far pagare le pensioni agli anziani”

    Francia, “ingiusto e inefficiente far pagare le pensioni agli anziani”

    di Jean-Marie Harribey, dal quotidiano cattolico La Croix (in qualche modo l’equivalente francese dell’Avvenire)

    Grafico pubblicato su “Libération”

    Un’ampia maggioranza della popolazione francese percepisce il progetto di riforma delle pensioni del governo come ingiusto. Tuttavia, a fronte di questo progetto, esistono altre soluzioni per finanziare il deficit previsto in dieci anni e che, nel peggiore dei casi, non supererà lo 0,5% del PIL (tra i 12 e i 15 miliardi di euro).

    Dal momento che il rapporto tra contribuenti e pensionati continuerà a diminuire, tutti i calcoli concordano sul fatto che l’aumento dei contributi che sarebbe necessario è piccolo: nell’ordine di 0,8-1 punto dell’aliquota contributiva. Lo stesso risultato si otterrebbe assoggettando a contribuzione tutte le forme di retribuzione che sono esenti da contribuzione: bonus, partecipazione agli utili, eccetera. Ricordiamo anche gli 80 miliardi di esenzioni annuali dai contributi previdenziali. E immaginiamo cosa si otterrebbe assoggettando a contribuzione i dividendi e i riacquisti di azioni pagati agli azionisti (80,1 miliardi di euro nel 2022 per le sole 40 società più quotate).

    Scarso contributo del capitale

    Il nostro sistema a ripartizione merita il suo nome per due motivi. Perché gli uomini e le donne che lavorano contribuiscono alle pensioni degli attuali pensionati. E anche perché, in ogni momento, la ricchezza prodotta dal lavoro è distribuita tra profitti e salari. Tuttavia, questo secondo aspetto viene generalmente ignorato. Infatti, tutte le riforme pensionistiche sono state fatte sulle spalle del lavoro e mai facendo contribuire il capitale.

    L’ipotesi del Conseil d’orientation des retraites (COR) e del governo è che, per il prossimo mezzo secolo, le quote relative di capitale e lavoro rimarranno al livello attuale. Il risultato è inevitabile: l’età pensionabile sarà innalzata, il periodo di contribuzione sarà aumentato e molte persone non saranno in grado di rispettare questi vincoli.

    Un processo ingiusto per i pensionati

    Quindi alcuni vogliono che i pensionati contribuiscano a… pagare le pensioni. Questa è la proposta del think tank Terra Nova [centro-sinistra guidato da Thierry Pech, ndt], basata sul fatto che i pensionati godono di un tenore di vita superiore del 7,8% rispetto alla media della popolazione. Ma questa proposta si scontra con due obiezioni. Da un lato, non tiene conto né della prevedibile evoluzione del tenore di vita dei pensionati nei prossimi decenni né delle disparità tra i pensionati. Il Comitato stima che nel 2070, a seconda dello scenario di crescita della produttività, il tenore di vita dei pensionati scenderà all’87% o al 75% di quello della popolazione.

    D’altra parte, la proposta di attingere all’importo delle pensioni già versate ignora le enormi disparità tra le pensioni dovute a due elementi. Il nostro sistema pensionistico è in gran parte contributivo, cioè dipende dai contributi versati durante la carriera, e sappiamo, ad esempio, quanto il divario salariale e di condizioni di lavoro tra donne e uomini faccia sì che le pensioni delle donne siano inferiori del 40% rispetto a quelle degli uomini. Questi divari salariali dovrebbero quindi essere ridotti e il sistema pensionistico reso ancora più ridistributivo.

    Non mettere le generazioni l’una contro l’altra

    Questo ci porta alla principale obiezione al contributo proposto dai pensionati: occorre stabilire l’origine dell’attuale divario nel tenore di vita tra loro e la popolazione nel suo complesso. È dovuto alla detenzione di attività finanziarie e immobiliari e non alle pensioni stesse. Così, c’è un divario medio mensile di 600 euro tra la pensione (1800 euro) e il reddito totale (2400 euro), cioè un terzo in più fornito dal reddito delle attività del pensionato medio, ma che lascia in ombra coloro che non hanno alcun patrimonio.

    Troviamo così la causa principale delle difficoltà nel progettare un sistema pensionistico equo: quando la struttura per età della popolazione cambia, è essenziale modificare la distribuzione del valore aggiunto a tutti i livelli in cui si verifica. È quindi socialmente ingiusto ed economicamente inefficiente far pagare il costo di questa trasformazione demografica ai giovani (costringendo gli anziani a lavorare più a lungo), a coloro che svolgono lavori più pesanti, alle donne con carriere brevi e agli anziani che hanno solo la loro misera pensione, mentre chi ha un reddito elevato sarebbe esentato dal minimo sforzo.

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  • Francia, ovunque la stessa determinazione in difesa delle pensioni

    Francia, ovunque la stessa determinazione in difesa delle pensioni

    di Pierre Jequier-Zalc, da Politis

    “6000 a Saint-Omer [Pas-de-Calais], 4600 ad Auch [Gers], 9000 a Saint-Quentin [Aisne]. Anche sulla piccola isola di Groix c’erano 300 persone!”. La sera del secondo giorno di mobilitazione intercategoriale contro la riforma delle pensioni, le varie organizzazioni sindacali si sono rallegrate per il grande successo ottenuto.

    Dodici giorni dopo quella del 19 gennaio, che aveva già ampiamente mobilitato, tra 1,27 (secondo il Ministero degli Interni) e 2,8 (secondo i sindacati) milioni di persone hanno manifestato in tutta la Francia, un record dal 1995 per una mobilitazione contro una riforma sociale.

    “E sta aumentando ovunque”, ha sottolineato Catherine Perret, segretaria confederale della CGT, “tra il 15 e il 30% in quasi tutte le città”. “Questo 31 gennaio ha confermato la fortissima determinazione a respingere il progetto di riforma delle pensioni presentato dal governo”, si legge nel comunicato del gruppo intersindacale pubblicato la sera del 31 gennaio, al termine di una riunione che ha riunito i rappresentanti di ciascuna organizzazione.

    “I parlamentari farebbero bene ad ascoltare questa rabbia prima di votare qualsiasi cosa”

    Al termine dell’incontro, tutti hanno sottolineato la fortissima mobilitazione nelle regioni […]. “Dimostra che le persone vogliono mobilitarsi a casa, senza necessariamente andare nelle grandi città”, ha analizzato Marylise Léon, vice segretaria generale della CFDT.

    Soprattutto, dato che il disegno di legge ha iniziato a essere esaminato in commissione in parlamento, i sindacalisti sperano che questa forte partecipazione faccia pressione sui parlamentari. “Sono eletti a livello locale. Sono anche responsabili nei confronti dei loro elettori locali”, ha continuato Marylise Léon. “I parlamentari hanno visto i numeri nelle loro circoscrizioni. Farebbero bene ad ascoltare questa rabbia prima di votare qualcosa”, concorda Catherine Perret della CGT.

    Ecco cosa emerge da questa seconda giornata di mobilitazione: il governo ha perso nettamente la battaglia d’opinione. “Nessuno si è fatto ingannare dalla propaganda del governo”, si legge nel comunicato. Nel corteo parigino, ad esempio, non si è esitato a deridere la piccola frase di Franck Riester [nella sua carriera professionale è proprietario di una grande concessionaria di auto a conduzione familiare], ministro incaricato delle relazioni con il parlamento nel governo Borne, che ha riconosciuto che “le donne saranno penalizzate dal rinvio dell’età legale”.

    “Guardate, sono loro stessi a dirlo”, si legge in un cartello della marcia. “Bisogna solo lasciarli parlare, ogni volta che parlano affondano un po’ di più”, ha riso Simon Duteil, co-segretario di Solidaires, “questa giornata è chiaramente un uppercut nella testa del governo”.

    Appuntamento il 7 e l’11 febbraio

    Per continuare a dare impulso a questa iniziativa, il gruppo intersindacale ha indetto due nuove giornate di mobilitazione interprofessionale, martedì 7 e sabato 11 febbraio. Due date ravvicinate, di cui una di sabato, che Catherine Perret spiega così: “Vogliamo essere in sintonia con il mondo del lavoro. Siamo consapevoli che scioperare, perdendo una giornata di retribuzione, a volte è complicato, soprattutto in questo momento. Questo sabato permetterà alle persone, spesso invisibili, di riunirsi fuori dall’orario di lavoro per opporsi a questa riforma. L’invisibile deve essere in grado di contare in questo movimento”.

    Con il rischio di avere numeri più bassi martedì? “Vedremo, ma dovremo imparare la lezione sabato sera, non prima”, dice Marylise Léon, che ci ricorda l’importanza della “massa”.

    Uno sciopero generale e a oltranza non sembra ancora essere all’ordine del giorno dell’intersindacale. “Probabilmente avremo qualche idea in merito entro la metà di febbraio”, afferma Simon Duteil. “In seguito, potrebbero esserci settori che decidono di fare uno sciopero a oltranza. Sarebbe un ulteriore sostegno”, continua, citando vari avvisi di sciopero, in particolare tra i lavoratori delle ferrovie.

    Un’opinione non necessariamente condivisa dalla CFDT, che teme che l’opinione pubblica possa essere influenzata in caso di un blocco importante, soprattutto durante il periodo delle vacanze. “È normale che non siamo d’accordo su tutto, altrimenti saremmo un’unica organizzazione. Questa intersindacale è stata preparata per mesi. È forte, unita e ognuno assume le proprie differenze”, ha dichiarato Murielle Guilbert, co-segretaria di Solidaires.

    Parole condivise da tutti i rappresentanti sindacali presenti sul posto. Forti di questi due successi consecutivi, ritengono che sia anche la loro unità d’azione a convincere le persone e a preoccupare il governo. “Ci parliamo molto regolarmente e con franchezza. L’atmosfera è davvero buona”, afferma Dominique Corona, vice segretario generale dell’UNSA.

    Silenzio del governo

    Nella serata di martedì 31 gennaio, è soprattutto il silenzio del governo a sollevare interrogativi. Nessuno dei sindacati è stato contattato per eventuali trattative. “Non c’è suono, non c’è immagine” commenta, un po’ sconcertato, Dominique Corona dell’UNSA. “Per il momento la mobilitazione è molto bonaria. Ma se non ci ascoltano, è probabile che le cose si facciano più difficili”. Lo stesso vale per il sindacato CGT: “Abbiamo ancora molto lavoro da fare. Se il governo va con la forza, sarà responsabile dell’incendio del paese”.

    All’inizio della serata, al momento dell’annuncio delle future date di mobilitazione, il primo ministro Elisabeth Borne ha inviato un tweet. “La riforma delle pensioni solleva domande e dubbi. Li ascoltiamo”, ha scritto, continuando: “Il dibattito parlamentare sta iniziando. Ci permetterà, in modo trasparente, di arricchire il nostro progetto con un unico obiettivo: garantire il futuro del nostro sistema a ripartizione. È una nostra responsabilità!”.

    Un tweet intransigente, ma sotto forma di un primo passo verso la discussione da parte del primo ministro, che senza dubbio teme la stessa sfida nell’emiciclo e nella strada.

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