di Fabrizio Burattini
Nel 2021 il divario tra ricchi e poveri ha raggiunto un livello mai visto perlomeno dall’inizio del XX secolo. Il rapporto del World Inequality Lab pubblicato a dicembre mostra che oggi il 10% più ricco della popolazione mondiale detiene il 76% della ricchezza, mentre la metà più povera detiene solo il 2%.
All’estremità inferiore, l’anno scorso altri 100 milioni di persone sono precipitate nella povertà estrema, quel territorio sovraffollato del nulla. Nella fascia alta, gli ipermilionari – una manciata di persone – hanno aumentato la loro ricchezza del 14%. Il mondo è ancora più polarizzato, e il covid ha amplificato il fenomeno dell’ascesa dei miliardari e provocato ulteriore povertà.
Disuguaglianze crescenti
L’accelerazione delle disuguaglianze è iniziata negli anni ’80 con la “controrivoluzione” liberale e continua ancora. Dagli anni 1990 (in un mondo ormai omogeneamente capitalistico), sono apparsi gli “zillionari”, astronomicamente ricchi, lo 0,0001% della popolazione mondiale, che hanno aumentato la loro ricchezza ad una media annuale dell’8,1%; quelli leggermente meno ricchi, lo 0,001%, hanno tenuto la media di loro arricchimento annuale “solo” al 5,9%. La regola è: maggiore è la ricchezza, maggiore è il guadagno. Thomas Piketty, co-direttore del World Inequality Lab ha dichiarato, presentando il rapporto: “Quel che possiamo aspettarci è che continuerà così”.
Il rapporto nota che la disuguaglianza aumenterà non solo tra gli individui, ma anche tra le risorse del settore pubblico e di quello privato: “I governi sono molto più poveri oggi che 40 anni fa. È una tendenza secolare che osserviamo: il settore pubblico diventa più povero e il settore privato più ricco”. La pandemia e la sua gestione, il contesto in cui la pandemia ha luogo faranno la loro parte per approfondire il divario, con stati ancora più indebitati e ricchi ancora più ricchi. La rivista Forbes ha stimato che il patrimonio netto combinato delle 500 persone più ricche del mondo (che nel 2021 è complessivamente aumentato di 1000 miliardi di dollari) è più grande del prodotto interno lordo di qualunque stato del pianeta, tranne gli Stati Uniti e la Cina.
Il protagonismo degli zillionari
Non è un caso che sempre più spesso, negli appuntamenti economici più importanti, soprattutto quando di parla di prospettive a medio-lungo termine, sulla sanità o, ancor di più, sui cambiamenti climatici, facciano il pieno le conferenze di alcuni dei ricchi più ricchi del pianeta, come Elon Musk, come Jeff Bezos, come Bill Gates, che concionano proponendo presunte “soluzioni” tecnologiche, favolosamente costose, a drammi di cui loro stessi come pochi altri portano gravi responsabilità.
Di fronte alla pochezza della politica in tutto il pianeta (Biden, Putin, Johnson, Macron, Bolsonaro, Draghi…), non è sorprendente il fatto che siano i miliardari a imporre l’idea secondo cui la sopravvivenza del pianeta dipenderebbe da loro, dai super-ricchi, più ricchi di qualsiasi stato, più potenti di qualsiasi organizzazione internazionale. L’idea che sono loro, e solo loro, ad avere il denaro, il talento, il potere per salvare l’umanità e scongiurare l’apocalisse. E’ il fenomeno Berlusconi moltiplicato per mille e a livello planetario. Come diceva il quotidiano Il Manifesto qualche mese fa “gli ultra-ricchi sono di moda”.
E non a caso, poco dopo il vertice Cop26 di Glascow, il New York Times scrisse così: “Abbiamo bisogno di un po’ meno di Greta Thunberg (la giovane ambientalista svedese) e un po’ più di Elon Musk. La buona notizia è che questo è ciò che sta accadendo”.
Le promesse dei super-ricchi
Invece le truffe contenute nei progetti degli “zillionari” sono astronomiche come le loro fortune. I mega piani di rimboschimento di Bezos e le auto elettriche di Musk non sono altro che bufale. Espedienti costosi a cui dedicano una parte minuscola e solo apparentemente favolosa dei loro patrimoni, al fine di spillare megafinanziamenti dagli Stati che non intendono affrontare i nodi di fondo dei cambiamenti climatici.
D’altra parte, uno solo dei viaggi spaziali testati in questi ultimi mesi dalle aziende multimiliardarie emette in pochi minuti tanto gas serra quanto ne emette in una vita un miliardo di persone povere del pianeta. Con un’inchiesta condotta congiuntamente dall’associazione francese Amis de la Terre, dal sindacato Solidaires e dall’associazione ATTAC e pubblicata alla fine dello scorso anno su Mediapart, gli obiettivi ecologici dichiarati dalla multinazionale Amazon sono stati brutalmente sbugiardati. E i mega piani di riforestazione finanziati dal proprietario di Amazon sono altrettanto un miraggio e uno strumento neocoloniale. Ma Emmanuel Macron ha incontrato Bezos dopo Glasgow per ringraziarlo per il suo “dono” di un miliardo di dollari per creare la “Grande Muraglia Verde” in Africa, che il presidente francese sta promuovendo.
Stesso inganno con Musk e le sue auto elettriche. Sul suo sito web, Tesla sostiene che la sua ragion d’essere è quella di “accelerare la transizione globale all’energia sostenibile”, elettrica o solare. Ma la visione di Musk si basa sugli stessi principi che hanno creato il problema: un mondo di sovraconsumo, che lascia le opzioni “sostenibili” a coloro che ne abusano di più, i ricchi, in una società che si fa sempre più duale, sia sui redditi che sugli stili di vita. D’altra parte Musk predica ma (secondo i calcoli del Washington Post) solo nel 2018 ha percorso con il suo aereo privato circa 250.000 chilometri in aereo, compresi i suoi viaggi tra un capo e l’altro di Los Angeles, anche quelli in elicottero per evitare gli ingorghi.
Per quanto riguarda le auto Tesla, che vanno a ruba tra i consumatori ricchi e benestanti, le loro batterie richiedono tonnellate di litio, la cui estrazione ha enormi costi ambientali e sociali. Per l’estrazione del litio si lasciano senza acqua intere comunità delle zone aride dove si trovano le miniere di quel metallo. In America Latina sono in Cile, in Bolivia e in Argentina. Nel deserto di Atacama del Cile si calcola sia sepolto il 40% delle riserve di quello che oggi viene chiamato “oro bianco”, e l’acqua, già naturalmente scarsa, è ancora più scarsa a causa dell’estrazione del litio.
E la realtà del loro comportamento
Costoro che si presentano come “benefattori dell’umanità” (e che troppo spesso vengono creduti) si oppongono al pagamento delle tasse, perché queste ostacolerebbero la “creazione di ricchezza e di posti di lavoro”: Bezos ha preteso di detrarre dalla dichiarazione dei redditi la spesa per l’educazione dei figli. Costoro esigono che i loro dipendenti lavorino di più per meno salario, perché “il mondo è in crisi e c’è bisogno dello sforzo di tutti”. Non molto tempo fa Musk ha dichiarato: “Non ho mai visto nessuno trasformare qualcosa lavorando solo otto ore al giorno”, e ha proposto la settimana lavorativa di 80 ore. Costoro considerano i lavoratori delle loro aziende “anelli sostituibili di una catena”, come disse un dirigente di Amazon per contrapporsi al tentativo poi riuscito di formare un sindacato nell’azienda. Senza considerare che per un posto di lavoro creato da Amazon spariscono 2,2 posti di lavoro nel settore del commercio locale.
Costoro considerano “danni collaterali” gli infortuni e le morti dei loro dipendenti, com’è successo a dicembre nel magazzino Amazon del Kentucky, quando i dirigenti hanno impedito ai dipendenti di lasciare il capannone nonostante l’allarme per l’arrivo del tornado che l’avrebbe poi fatto crollare provocando otto morti: c’erano da fare i pacchi per il Natale. In quei capannoni, visti i ritmi di lavoro e quindi l’impossibilità di andare ai bagni, i lavoratori devono indossare i pannolini. Negli stabilimenti di Musk sanno che se non accelerano i ritmi o si lamentano perderanno il lavoro. “Le persone che mi conoscono normalmente hanno una buona impressione di me. Salvo quelli che ho licenziato”, ha detto una volta Elon Musk pensando di essere autoironico.
La scalata di Elon Musk
Elon Musk contende a Jeff Bezos, il proprietario di Amazon, il primo posto nella classifica mondiale della ricchezza. Musk è proprietario di un’infinità di marchi, a partire da Tesla, l’azienda protagonista della cosiddetta “transizione ecologica”, così come l’altro suo gioiello, The Boring Company, impegnata nel progetto di snellire il traffico delle metropoli attraverso colossali infrastrutture sotterranee. Musk poi è salito agli onori della cronaca per aver inaugurato con la sua Space Exploration Technologies Corporation (nota come Space X) l’astronautica privata, con in mente l’obiettivo di impadronirsi di Marte. Pochi mesi fa ha dichiarato: “Sento di non avere limiti, nemmeno il cielo, e andrò oltre, magari su Marte, per portarci entro il 2050 un milione di persone e creare così la prima colonia umana fuori da questa Terra, che potrebbe diventare inabitabile”.
Nel 2016, in una conferenza internazionale di astronautica, Musk ha affermato: “Ci sono solo due strade per l’umanità: o rimane aggrappata alla Terra per sempre e verrà il momento in cui un evento causerà la sua estinzione, o scommette su una civiltà multiplanetaria”, o, in modo ancora più schietto: “È essenziale per la sopravvivenza dell’umanità fondare una società incentrata sui viaggi spaziali”.
Nel 2021, quattro astronauti privati hanno viaggiato nello spazio a bordo di una navicella Space X, la società di Musk. E altri miliardari si sono messi in competizione. Il primo è stato lo zillionario britannico Richard Branson, proprietario di Virgin Galactic, che ha investito 1 miliardo di dollari per dare il via a un programma di turismo spaziale. La sua azienda afferma di avere già 600 biglietti prenotati, ad un costo unitario variabile tra i 200.000 e i 250.000 dollari. C’è poi stato Jeff Bezos. Il proprietario di Amazon è personalmente salito a bordo di una nave Blue Origin nel luglio 2021.
Quella sporca dozzina
Della manciata di magnati che compongono quella che l’Institute for Policy Studies statunitense (IPS) chiama la “dozzina oligarchica”, Musk è quello che ha beneficiato maggiormente della pandemia. Secondo Forbes, ha costruito la maggior parte della sua fortuna in 20 mesi, tra gennaio 2020 e ottobre 2021. Prima del 2020 non era nemmeno tra i 10 più ricchi.
Nella dozzina di oligarchi identificati dall’IPS ci sono, naturalmente, i massimi dirigenti delle GAFAM (le megacorporazioni del settore tecnologico: Google, Amazon, Facebook, Apple e Microsoft), dunque Elon Musk, proprietario di Tesla, Jeff Bezos, proprietario di Amazon e Starlink, Mark Zuckerberg, capo di Facebook, Bill Gates, fondatore di Microsoft e alcuni alti dirigenti di Google, oltre alla famiglia Walton proprietaria della catena di vendita al dettaglio Walmart. Per capire gli effetti perversi della pandemia basti solo questo dato: in sei mesi, tra marzo e agosto 2020, secondo l’IPS, i 12 di questa dozzina di oligarchi hanno aumentato globalmente i loro guadagni del 40%.
Le cifre fornite da Forbes sono particolarmente sbalorditive. A novembre dello scorso anno, i primi 20 magnati statunitensi avevano una ricchezza combinata di 5.300 miliardi di dollari. E’ stato calcolato che uno qualsiasi di questi miliardari guadagna in un anno tanto quanto quello che diverse decine di migliaia di lavoratori europei a reddito medio guadagnano in una vita (Bezos guadagna in un anno quanto guadagnano in una vita circa 50.000 lavoratori, Musk quanto circa 80.000 lavoratori).
L’uomo dell’anno
Alla fine dello scorso anno, come di consueto, la rivista americana Time ha scelto Musk come “persona dell’anno”. Sono significative le considerazioni che hanno accompagnato questa scelta (La sintesi si trova nella didascalia dell’immagine qui a fianco).
“Che ci piaccia o no, oggi siamo nel mondo di Musk”, ha scritto illustrando la scelta il direttore della rivista statunitense su Twitter (dove ha più di 70 milioni di followers). E ha continuato, con una malcelata punta di ammirazione e di invidia: “Questo timido sudafricano con la sindrome di Asperger, che si è sottratto a un’infanzia brutale e ha superato la propria tragedia personale, che solo pochi anni fa era continuamente deriso e trattato come un truffatore pazzo sull’orlo della bancarotta, ora sta sottoponendo i governi e l’industria alla forza della sua ambizione. […] Basta un movimento del suo dito e il mercato azionario sale o sviene e un esercito di devoti pende da ogni sua parola”.
Musk, figlio della elite bianca sudafricana, inizia la sua carriera in California una trentina di anni fa (quando aveva poco più di venti anni) con la creazione di una delle tante startup che allora spuntavano come funghi utilizzando le nuove tecnologie informatiche. Riesce a vendere l’azienda ad una multinazionale e a crearne con il ricavato un’altra ancora più finanziariamente performante, vendendo la quale incassa il suo primo miliardo di dollari. Così, inanellando operazioni finanziarie fortunate con intelligenti intuizioni in gran parte legate al business della “transizione ecologica”, arriva ad accumulare un patrimonio attualmente valutato in 219 miliardi di dollari (208 miliardi di euro).
Ma la sua scalata al successo passa anche attraverso oscure operazioni politiche, come il sostegno al golpe contro il presidente boliviano Evo Morales. E’ pubblica la sua dichiarazione: “la Bolivia ha le riserve di litio più importanti del mondo (quel litio indispensabile per le sue batterie ricaricabili) e un giorno dovremmo poterci metterci le mani sopra. Per il bene dell’umanità”.
Musk acquista Twitter
A Musk piace mettersi in posa, gli piace adottare atteggiamenti istrionici mentre inaugura un nuovo stabilimento Tesla, o mentre annuncia un nuovo viaggio di Space X. La sua ricchezza gli consente di provocare e di fare il buffone. Ma non è un pagliaccio. Il cinquantenne sudafricano appartiene a quella razza di padroni moderni che gestiscono il corso del mondo, come fecero all’inizio del XX secolo i proprietari delle acciaierie, dell’industria del carbone e dell’automobile.
L’investitore Ross Gerber, stretto collaboratore del miliardario, citato da Mediapart, si congratula con Musk: “Lui è ora più potente di molti stati. Controlla il più importante asset tecnologico degli Stati Uniti (Tesla) e probabilmente uno degli asset più strategici del mondo (Space X). Con Twitter, ha anche in suo potere uno degli strumenti di comunicazione più importanti del pianeta”.
In sole tre settimane, Musk ha preso il controllo del social network. Prima ha annunciato che aumentava la sua partecipazione al capitale della società, poi ha detto che l’avrebbe comprata tutta, poi si è tirato indietro e, infine, ha finito per mettere sul tavolo una barca di soldi per realizzare il suo progetto più ambizioso. Il suo arrivo aveva provocato le proteste dello staff di Twitter: Musk ha una meritata reputazione di razzista, di sessista, di sfruttatore. Proclamandosi “difensore assolutista della più illimitata libertà di espressione” aveva provocato reazioni avverse tra gli utenti e gli azionisti, per il timore di vedere l’applicazione invasa da “messaggi di odio e campagne di disinformazione”. Analoghe preoccupazioni sono state espresse dai movimenti antirazzisti, come Black Lives Matter, da organizzazioni per i diritti umani, da movimenti femministi, da organizzazioni delle minoranze.
Quando si è saputo che Musk aveva già preso il controllo del 10% delle azioni (a inizio aprile), la direzione di Twitter ha cercato di sedare i timori e le proteste dichiarando di opporsi ai piani del miliardario. Ma i 44 miliardi di dollari messi sul tavolo da Musk (superando del 38% il valore di mercato) hanno fatto sparire ogni resistenza.
Twitter è la rete più influente tra politici, finanzieri, media, governanti, ma è molto indietro rispetto ai suoi concorrenti per numero di utenti (ha “solo” 231 milioni di account contro i quasi 3 miliardi per Facebook, più di 1 miliardo per Instagram e 1 miliardo per Tiktok).
Ora la proposta di acquisto di Musk sarà esaminata dalla Federal Trade Commission che controlla il rispetto delle norme antitrust. Ma non dovrebbe trovare ostacoli, visto che il miliardario non ha altre proprietà nel mondo delle comunicazioni.
Le conseguenze politiche
Sul piano politico negli Stati Uniti la vicenda rafforza il partito repubblicano. Musk è sempre stato molto vicino a Donald Trump, che invece era stato “cancellato” da Twitter l’anno scorso a causa del contenuto dei suoi messaggi. Suo nonno, un canadese di estrema destra che aveva lasciato il Canada perché ritenuto “troppo comunista”, andò a stabilirsi nel “paradiso” sudafricano all’inizio dell’apartheid. Suo padre, ingegnere, si è arricchito estraendo smeraldi in Zambia. Lui, fedele alle tradizioni di famiglia, è stato considerato da Trump come “un tipo con buoni valori”.
Come Trump, anche Musk si definisce un “libertario”, un neoliberista puro e semplice, che non ama le tasse, pur essendo l’uomo più ricco del mondo. Ha detto: “Noi imprenditori siamo per l’imprenditorialità e per spargere i frutti verso il basso con la nostra iniziativa e non per essere tosati dai burocrati”. Così, ha spostato la sede di Tesla dalla California al Texas per beneficiare delle leggi sociali e di un sistema fiscale molto più favorevole agli “imprenditori”.
Trump nel frattempo, privato dei suoi tweet, ha sponsorizzato la creazione di un nuovo social network, Truth Social, che è stato lanciato a febbraio. Ma la nuova gestione di Twitter potrebbe incoraggiarlo a tornare, anche perché Musk ha già annunciato che “la censura sarà abbandonata, anche per i miei più grandi detrattori”. Ha anche detto che renderà pubblici gli algoritmi della piattaforma, limiterà il più possibile i bot (gli account falsi) e renderà Twitter ”un paradiso libertario”. Laverna Spicer, la candidata trumpiana per il Congresso in Florida nelle prossime elezioni di mezzo termine (novembre 2022), ha twittato che “l’acquisto di Twitter da parte di Musk è l’equivalente del 21° secolo di Lincoln che libera gli schiavi: un trionfo della libertà”.
Bernie Sanders, il senatore della sinistra del Partito Democratico, ha invece dichiarato: “Musk è uno dei rappresentanti per eccellenza del capitalismo da casinò. La libertà per lui è la libertà per i proprietari di denaro”.
Nel 2019, Martín Capparós, un noto scrittore argentino, ha scritto in un suo articolo (“Il modello Bezos”) che tanti anni fa pensava, ingenuamente, che i sindacati di sinistra argentini “dovessero portare i loro lavoratori a Punta del Este affinché, vedendo quelle ville, quelle automobili, quei siliconi, quei prezzi, i lavoratori si riempissero di sacrosanta indignazione di classe e reagissero”. Ma poi si è reso conto del fatto che “forse il risultato sarebbe che molti si ostinerebbero ad ammirare e desiderare quei luoghi, quelle vite”. E ha concluso: “È a questo che servono i Bezos (e oggi aggiungeremmo i Musk) di questo mondo: ti offrono l’illusione di poter essere così. La cosa brutta non è nemmeno che non sia vero; la cosa peggiore è che ti convincono che questo è ciò che vale la pena desiderare, che questo è l’obiettivo. Il business è rotondo: se molte persone vogliono essere come loro, possono continuare ad esserlo senza fermarsi”. Una curiosa forma di sindrome di Stoccolma, un amore verso i responsabili delle nostre sofferenze.