di Fabrizio Ortu, da fiscooggi.it, rivista online dell’Agenzia delle Entrate
Il nuovo report dell’organizzazione promuove un appello per l’approvazione di una Convenzione fiscale delle Nazioni Unite
I contribuenti che si servono dei paradisi fiscali per sfuggire al fisco causeranno una perdita complessiva di 5.000 miliardi di dollari Usa di entrate a livello mondiale nei prossimi 10 anni: una perdita di gettito equivalente alla intera spesa sanitaria pubblica nel mondo in un anno.
Sono queste le conclusioni a cui approda il report di Tax Justice Network pubblicato a luglio. Come invertire la tendenza? L’organizzazione promuove un appello a favore dell’avvio dei negoziati per l’approvazione di una Convenzione Fiscale delle Nazioni Unite presso l’Assemblea generale (vedi l’articolo su Fisco Oggi “Onu: avanza la proposta africana di un Convenzione globale sulla tassazione”).
Il documento dedica, inoltre, un’attenzione specifica al rapporto fra multinazionali e paradisi fiscali (o Tax Haven), all’asse costituito dal cosiddetto “Secondo Impero” del Regno Unito e all’attuale ruolo rivestito dall’Ocse.
Il ruolo delle multinazionali
I Tax Haven consentono di sottrarre alle giurisdizioni nazionali ben 480 miliardi di dollari ogni anno. Secondo il Tax Justice Network di questa cifra complessiva, 301 miliardi di dollari sono attribuiti alle multinazionali che dirottano i profitti verso i paradisi fiscali e 171 miliardi sono riconducibili alle persone abbienti che nascondono la ricchezza offshore.
La frana della sanità pubblica nei paesi a basso reddito
Il report si dedica in particolar modo ad esaminare l’impatto potenziale sulla spesa sanitaria della fuga verso i paradisi fiscali. Se le perdite stimate dai paesi ad alto reddito (426 miliardi di dollari all’anno) equivalgono secondo Tax Justice Network al 9,3% dei bilanci sanitari degli stati più floridi, nel caso dei paesi a basso reddito il decremento delle entrate fiscali (47 miliardi di dollari all’anno) corrisponde al 49% dei bilanci sanitari pubblici. La perdita di gettito si concentra in termini quantitativi nei paesi ad alto reddito, ma sono i paesi a basso reddito a subire il danno maggiore. “I paesi a reddito più basso – si legge nelle conclusioni del rapporto – subiscono le perdite più intense, perdendo di gran lunga le maggiori parte delle loro attuali entrate fiscali”.
Il “Secondo Impero” del Regno Unito
Il documento non si limita a conclusioni di tipo generale, ma ad esempio pone sul banco degli imputati il Regno Unito e la sua rete di Territori d’oltremare e di dipendenze della Corona, accusati di costituire “l’asse più ampio dell’elusione fiscale”. Un asse che coinvolgerebbe da una parte il cosiddetto “Secondo Impero” del Regno Unito e dell’altra i Paesi Bassi, il Lussemburgo e la Svizzera. “Il Secondo Impero – si può leggere a pagina 39 del documento – è responsabile per quasi la metà delle perdite fiscali, stimate in 171 miliardi a livello globale, dovute all’evasione fiscale offshore. Per una somma che si aggira intorno agli 85 miliardi di dollari statunitensi”.
Dall’Ocse all’Onu?
Il report di Tax Justice Network esamina i risultati ottenuti dall’Ocse negli ultimi decenni e auspica un nuovo ruolo nel contrasto all’evasione internazionale offshore per l’Onu. Secondo TJN il processo Beps (Base Erosion and Profit Shifting), dal 2013 al 2015 “non è riuscito a garantire una riduzione significativa dell’abuso globale e ha reso necessario Il secondo processo di riforma BEPS 2.0 […], che finora ha prodotto solo bozze di proposte politiche”. Alla luce di queste valutazioni il Network per la giustizia fiscale esorta gli stati a sostenere il trasferimento della leadership sulla tassazione globale dall’Ocse alle Nazioni Unite e a “votare nel prossimo inverno l’avvio dei negoziati per giungere all’approvazione di una convenzione fiscale Onu per evitare la sottrazione alle amministrazioni finanziarie di cifre astronomiche”.