Pubblichiamo qua sotto un breve resoconto della riunione del CPN del Nouveau Parti Anticapitaliste (Francia) e un articolo che illustra l’iniziativa su cui l’NPA si sta impegnando in queste settimane.
di Fabienne Dolet, da Hebdo L’Anticapitaliste – 664 (01/06/2023)
Il 27-28 maggio, l’Anp ha tenuto il suo Consiglio politico nazionale (CPN) a Parigi per discutere, in particolare, dello scontro tra il mondo del lavoro e lo stato nel contesto del movimento contro la riforma delle pensioni.
Il CPN ha iniziato adottando all’unanimità una risoluzione politica.
La situazione è a dir poco contraddittoria: “Su scala nazionale, abbiamo assistito a uno dei più grandi movimenti dal 1995 e dal 2010, mentre su scala internazionale abbiamo assistito a importanti battute d’arresto e vittorie del campo reazionario”. Il governo di estrema destra in Israele, il mantenimento di Erdogan in Turchia, la reintegrazione di Assad, il macellaio della Siria, nella Lega Araba, gli eccessi dittatoriali di Kaïs Saïed in Tunisia e Abdelmadjid Tebboune in Algeria, i generali in Sudan che si accapigliano sulle spalle dei Comitati di Resistenza, e la recente elezione in Cile di un Consiglio Costituzionale nelle mani dell’estrema destra, sono tutti testimoni di un preoccupante spostamento dell’equilibrio di potere internazionale.
Un bilancio del movimento contro la riforma delle pensioni
Da questo punto di vista, “la politica di Macron si inserisce in questo contesto più generale di politiche liberali e autoritarie”. Il movimento è stato caratterizzato da tre fasi successive.
Una prima fase (19 gennaio 2023 – 16 marzo 2023), incentrata su manifestazioni molto forti in città di piccole e medie dimensioni, con un’autorganizzazione molto debole.
Una seconda fase dopo l’uso del 49,3 il 16 marzo e un picco di mobilitazione il 23 marzo.
Da allora, la terza fase, il movimento sociale non si è trasformato in un movimento politico di massa o in uno sciopero generale, ma la pressione e la rabbia sono ancora presenti: “Il movimento delle casseruole ha mantenuto la pressione sul governo in modo simbolico ma non insignificante. È difficile capire come il movimento possa riprendersi in questa fase. La giornata di sciopero del 6 giugno, due giorni prima di un nuovo episodio parlamentare che prevede una proposta di abrogazione della legge, è la prossima data di confronto”.
Costruire mobilitazioni ecologiche, confrontarsi con lo stato e il capitalismo
La mobilitazione del 25 marzo contro il megabacino di Sainte-Soline è stata un passo particolare per collegare le lotte ecologiche e anticapitaliste, così come le mobilitazioni contro l’autostrada Castres/Tolosa del 22 aprile e contro il progetto di autostrada a est di Rouen del 5, 6 e 7 maggio.
La prossima tappa è la mobilitazione, in corso da oltre vent’anni, contro il progetto Lione-Torino, contro questo enorme progetto inutile, il 17-18 giugno.
Reagire di fronte all’estrema destra e alla deriva autoritaria e razzista dello stato
Le manifestazioni contro la legge Darmanin del 25 marzo sono state parte di una protesta globale contro le politiche del governo e sono state un successo. Il governo ci riproverà quest’estate.
Si tratta di una politica incendiaria che sta già mostrando in parte i suoi effetti: i piccoli gruppi si sentono in diritto di agire senza che lo stato sia un ostacolo ai loro atti di violenza, come nel caso del sindaco di Saint-Brévin. La forte presenza di militanti di estrema destra nelle forze di polizia, l’esistenza di squadre specializzate nello scontro diretto con il movimento sociale, l’istituzionalizzazione del RN (il partito di Marine Le Pen) con la sua significativa presenza nel parlamento… sono tutti segni della trasformazione autoritaria dello stato.
Fronte unico e partito
Per costruire lo sciopero del 6 giugno, contro la legge Darmanin, nelle lotte per i salari, nelle lotte ecologiche, manteniamo “un doppio orientamento unitario e rivoluzionario”.
Anche se si svolgeranno tra un anno, le elezioni europee saranno le prime scadenze elettorali importanti dopo la mobilitazione per le pensioni. Stiamo testando le possibilità di un fronte unito per difendere la necessità di una rottura con le politiche liberali europee in atto da decenni.
Allo stesso tempo, dobbiamo rafforzare la nostra organizzazione e il suo progetto. A tal fine sono state istituite tre commissioni: Diritti degli animali, Immigrazione-antirazzismo e Intervento femminista. È stata istituita una commissione del CPN per organizzare l”Incontro nazionale dei Comitati previsto per l’autunno.
L’Università estiva sarà un evento chiave per i dibattiti di approfondimento.
Forum anticapitalista
Infine, tre quarti del CPN hanno adottato l’obiettivo di riunire le componenti del movimento sociale e le forze politiche con cui siamo in discussione in un forum anticapitalista all’inizio di luglio.
Un testo di appello è stato redatto con Rejoignons-nous e Ensemble! L’obiettivo è quello di diffonderlo nei prossimi giorni per la raccolta di firme da parte di attivisti e rappresentanti.
- Leggi anche il testo dell’appello e l’elenco completo delle firme (in continuo aggiornamento.
Forum anticapitalisti per discutere, superare e costruire
di Manu Bichindaritz, da Revue L’Anticapitaliste n°146 (mai 2023)
Se avessimo ancora bisogno di essere convinti, il movimento sociale contro l’innalzamento dell’età pensionabile legale è un’opportunità per dimostrare che, vittoria sociale o meno, la questione politica rimane: qual è l’alternativa al progetto ultra-liberale e autoritario di Macron? Dobbiamo iniziare a chiederci come risolvere il problema dell’organizzazione del nostro campo sociale qui e ora: quale forza, per quale scopo e come?
“Un quadro collettivo di sviluppo e di azione che riunisce coloro che hanno deciso liberamente di unirsi per difendere un progetto comune di società […] Questo partito porta con sé la speranza di una società liberata dallo sfruttamento e dall’oppressione”. Con queste parole, nel 2009, l’NPA ha definito l’obiettivo di schierarsi con i suoi “principi fondativi” che, sebbene la situazione sia ovviamente cambiata, rimangono di grande attualità. Perché rimettersi in carreggiata nella costruzione di un’organizzazione per gli sfruttati e gli oppressi significa innanzitutto dare un rapido sguardo critico alle esperienze recenti, a partire dalla nostra.
Ritorno al futuro
La prospettiva di costruire un “nuovo partito anticapitalista” è stata lanciata all’indomani di un’elezione presidenziale segnata dal successo della campagna della LCR e del suo candidato Olivier Besancenot, sulle rovine di una speranza unitaria abortita dopo la vittoria del “No” al Trattato costituzionale europeo.
Questo esperimento, unico nel suo genere, ha cercato di costruire un piccolo partito con un appeal di massa che andasse oltre il perimetro tradizionale della presenza e dell’influenza dell’estrema sinistra, riunendo il mondo del lavoro – salariati, precari, disoccupati – le persone che vivono nei quartieri popolari, gli attivisti contro l’oppressione, i militanti della sinistra rivoluzionaria o “radicale”, con l’obiettivo di rompere con il capitalismo attraverso la trasformazione rivoluzionaria della società.
Guardando indietro negli anni, possiamo confermare il nostro obiettivo. Nessuna delle principali coordinate della situazione è cambiata, né dal punto di vista delle crisi del sistema né dal punto di vista dell’organizzazione della nostra classe.
Il resto della storia è noto: da quasi 10.000 iscritti nel 2009, l’NPA ha perso il 75% dei suoi membri pochi anni dopo. Un’emorragia, segno di un fallimento, la cui spiegazione non è univoca, combinando elementi endogeni e reali difficoltà interne, errori di costruzione.
Nel 2008, la situazione del capitalismo globalizzato, segnata dalla grande crisi finanziaria dei subprime, ha fornito linfa a chi criticava un modo di produzione, un modello economico, allo stremo e la necessità di uscirne. Tanto più che, nello stesso periodo, cresceva la consapevolezza ecologica, in particolare la portata della crisi climatica e le sue conseguenze.
In sintesi, l’assegnazione del Premio Nobel per la Pace all’IPCC nel 2007 ha dimostrato che il capitalismo rappresenta una minaccia per il pianeta e i suoi abitanti. Ma questa consapevolezza si basava su un equilibrio di potere degradato da cui non siamo usciti, segnato più dalla rabbia e dalle domande su come cambiare la situazione che dall’impulso a organizzarsi per farlo.
Logicamente, sono state le forze che sembravano avere una risposta immediata in termini di potere e di mezzi d’azione a cogliere per prime questo desiderio di trasformazione.
Ieri è stato l’emergere del Front de Gauche nello stesso “spazio politico” del nostro, ma su scala più grande e con una presenza maggiore dell’NPA, e con un potente orientamento elettorale… ad accompagnare l’impotenza di invertire la rotta attraverso la mobilitazione.
La rottura di Mélenchon con il liberalismo sociale promosso dal Partito Socialista (PS) al potere dal 2012 in poi ha giocato un ruolo fondamentale nel polarizzare un ambiente radicalizzato e altrettanto aperto alle idee anticapitaliste e rivoluzionarie. Oggi, certo in modo più ambiguo, la NUPES sta beneficiando più o meno della stessa dinamica, anche se non dobbiamo sottovalutare lo spostamento verso una sinistra critica del baricentro di questa sinistra incarnata da La France insoumise (LFI).
Ma se LFI in particolare ha ormai in mano alcune carte, non ha i mezzi per risolvere la questione dell’organizzazione. In primo luogo, perché LFI può uscire dalla sua condizione di “movimento gassoso” derivante dalla sua eredità “populista di sinistra” solo a costo di profondi cambiamenti organizzativi e dell’instaurazione di una democrazia interna che ne metta significativamente a rischio l’esistenza stessa.
È degno di nota il fatto che l’attuale dirigenza di LFI accetti l’adesione ad altri partiti (come nel caso del Parti de Gauche, del Parti ouvrier indépendante e della recente formazione della Gauche éco-socialista di sinistra), ma si opponga strenuamente alla formazione di correnti interne a LFI, segno di una democrazia viva.
Più sostanzialmente, in questa fase, l’attuazione del suo programma, l’Avenir en commun (Il futuro in comune), che prevede misure di rottura con le classi dirigenti che richiederebbero grandi scontri con esse, è vista solo in termini di quadro istituzionale attuale, il che significa che le prossime battaglie elettorali dovranno essere vinte.
LFI è quindi condannata a circondarsi dei soliti partner di quella che fino a poco tempo fa era la sinistra di governo… E gli attuali dibattiti intorno alle prossime elezioni europee illustrano chiaramente la necessità di accettare che, per combattere l’austerità e le frontiere e difendere una costruzione democratica al servizio dei popoli, l’unità può essere raggiunta solo rompendo con l’attuale costruzione europea e i suoi trattati, contro la fortezza Europa dei mercati e delle banche. Una scelta a dir poco contestata da alcune forze all’interno della Nupes…
Scambio e controllo
Il problema rimane. Rifondare un partito anticapitalista a vocazione di massa, con un’ampia influenza, che articoli una strategia di trasformazione rivoluzionaria del sistema, che sia portatore di una pratica unitaria, che delinei una prospettiva di costruzione di una società emancipatrice, resta più che mai necessario e urgente di fronte alla crisi economica, ecologica, sociale e democratica. Tanto più che da queste crisi potrebbe nascere il pericolo peggiore di tutti, quello dell’estrema destra.
Siamo chiari sul fatto che non crediamo che l’NPA sia uno strumento sufficiente oggi, soprattutto in considerazione della posta in gioco nelle lotte future e della questione dell’alternativa che deve ancora essere costruita.
Dopo le sequenze di intensi scontri nella lotta di classe degli ultimi anni (Gilets jaunes, lotte contro le riforme pensionistiche nel 2019 e oggi), vediamo chiaramente che l’NPA non è in grado di offrire risposte militanti al radicalismo espresso in queste lotte sociali.
Inoltre, come si suol dire, quando “là fuori” ci sono più attivisti e simpatizzanti che condividono in linea di massima le nostre lotte politiche di quanti siano impegnati nell’NPA nella sua forma attuale, dobbiamo cercare di costruire il giusto contesto affinché tutti possano organizzarsi. Ciò significa essere in grado di raggiungere altri attivisti, provenienti dal movimento sociale o dalle mobilitazioni contro lo sfruttamento e l’oppressione, ma anche da altre correnti, siano esse disilluse dalla sinistra istituzionale o dalle incapacità dell’estrema sinistra… Riunire coloro che, come si dice, hanno “una comprensione comune del periodo e dei compiti”.
Non partiamo da zero, tutt’altro, ma la nostra eredità va riesaminata e i confini di questa forza vanno riaffermati. In primo luogo, perché è logico che questo approccio si rivolga innanzitutto alle forze e alle correnti già politicamente organizzate.
L’estrema sinistra e la sinistra radicale di oggi pullulano di quadri – organizzazioni, raggruppamenti militanti… – nessuno dei quali può pensare di avere la chiave di volta.
Nei prossimi mesi, quindi, dobbiamo verificare se ci sono le condizioni per un salto organizzativo a medio termine, combinando elementi di dibattito teorico, uno scambio sulle coordinate del periodo con la sperimentazione di interventi comuni (nei luoghi di lavoro e nelle scuole, nei quartieri, in apparizioni e campagne comuni).
Solo a questo prezzo potremo solidificare una base comune che sia il prodotto di queste discussioni “dall’alto” e di una pratica comune “dal basso”, ed evitare non la democrazia necessaria a qualsiasi progetto rivoluzionario, ma il dibattito permanente che impedisce qualsiasi elaborazione comune e coltiva teorizzazioni e autocostruzioni solitarie.
Anticapitalista, rivoluzionario, unitario, democratico
In sostanza, i contorni di una nuova forza combinano diversi indicatori strategici al di sotto dei quali cambia la natura del progetto. Rimaniamo impegnati a costruire una forza “per la trasformazione rivoluzionaria della società”, anche in un periodo di arretramento, proprio perché questo arretramento è un’illustrazione dell’impasse in cui il sistema ci sta trascinando, e la rottura con questa società della competizione generalizzata è quindi necessaria.
Ciò significa un’opposizione concreta all’ordine sociale e a coloro che lo difendono, attraverso il confronto con lo stato della classe dominante e la difesa dei processi di autorganizzazione contro gli apparati burocratici e la cogestione delle istituzioni, affinché il mondo del lavoro e, più in generale, l’intera popolazione prendano in mano i propri affari.
Vogliamo un’organizzazione che possa parlare a tutti gli anticapitalisti, a tutti coloro che soffrono per il capitalismo e vogliono agire per rovesciarlo. Questo sistema economico e sociale genera una molteplicità di forme e relazioni di sfruttamento e oppressione che si esprimono in diversi ambiti della società, generando contraddizioni, resistenze e lotte. Al di là della loro natura specifica, queste lotte devono convergere in un quadro più ampio in cui le loro richieste possano essere articolate.
Poiché si tratta di un imperativo strategico per la costruzione della resistenza, ma anche per le unioni tattiche a livello politico, anche sul terreno elettorale, il nostro progetto non può che essere unitario.
Perché, sotto la pressione della borghesia, il nostro campo sociale è sulla difensiva, ma gli anticapitalisti devono essere all’attacco. Non in un confronto permanente con gli altri, in particolare con le forze che compongono la Nupes, ma mantenendo la propria indipendenza, nella costruzione di strumenti di mobilitazione (quadri unitari, campagne…) o di raggruppamenti elettorali che permettano di esprimere nel modo più maggioritario il rifiuto del macronismo, della destra e dell’estrema destra, per un’alternativa ecosocialista.
Infine, poiché difendiamo una società emancipatrice, l’organizzazione che vogliamo non può che essere democratica e militante. Le due cose si combinano: decidere collettivamente a seguito di una discussione aperta e realizzare insieme un’esperienza condivisa in cui tutti contribuiscono all’attività, anche se ci sono ritmi militanti diversi a seconda delle situazioni personali. È la base dell’uguaglianza tra tutti gli attivisti, e un’anticipazione di come potrebbero essere le relazioni in una società liberata dal capitalismo.
Avviare un processo, pensare alla mediazione
Sulla scia di molti altri eventi recenti che stanno contribuendo a forgiare nuove consapevolezze (la crisi sanitaria di Covid-19 e le varie mobilitazioni ambientaliste), l’attuale sequenza di mobilitazioni sociali sta già producendo i primi effetti in ampi settori della società: la consapevolezza della corsa sfrenata di un sistema produttivista e rapace pronto a far arretrare costantemente tutte le “conquiste sociali” (in particolare quelli della protezione sociale, della pensione, dell’assicurazione contro la disoccupazione, ecc.), la necessità di fermarlo e quindi di organizzarsi per poterlo fare (e di pensare alle conseguenze), il rischio di un punto di svolta fascista che si fa sempre più chiaro, il ruolo delle istituzioni “democratiche” delle classi dominanti che sono di fatto “l’unica via d’uscita” dalla crisi.
Tutto ciò dimostra che siamo in un momento in cui è necessario fare un'”offerta” politica, prendere iniziative, cercare di avanzare nell’organizzazione del nostro campo sociale.
Modestamente ma con fermezza, questa è la proposta che abbiamo fatto sulla scia di vari scambi per avviare un processo di discussione aperta, con l’organizzazione di “forum anticapitalisti”.
Non si tratta di un rantolo, né tanto meno di una ricetta miracolosa in grado di risolvere tutte le numerose contraddizioni della situazione sociale e politica, ma di un mezzo per decantare una prospettiva essenziale, verificare e costruire. Tale elaborazione si inserisce quindi in processi sociali e politici che devono essere costantemente discussi e aggiornati, in relazione a ciò che si discuterà in queste sedi, ma anche in relazione alla realtà di ciò che accade nella lotta di classe.
In questo senso, è in linea con la nostra visione di un partito concepito non in forma compiuta (o addirittura dogmatica), ma come mediazione organizzativa. Nella loro dimensione, questi forum sono destinati a essere un crogiolo per il periodo in cui vogliamo agire, e la loro dinamica dipenderà in larga misura dai fatti della situazione, dalla loro traduzione in coscienza di classe e dalla nostra capacità collettiva di riunire la più ampia gamma possibile di persone.
Pur essendo certamente aperti ad altre correnti organizzate, o addirittura co-organizzati con esse, il nostro obiettivo comune non è semplicemente quello di riunire ciò che già esiste in termini di organizzazioni strutturate, ma di rivolgerci in modo più ampio fin dall’inizio.
Vogliamo contribuire a un appello a tutti coloro che sostengono di essere o si identificano con una sinistra anticapitalista e unita, attivisti contro la riforma delle pensioni, del movimento dei Gilet Gialli, attivisti sindacali, attivisti antirazzisti, femministe, LGBTI+, intellettuali e figure della sinistra radicale, orfani di un quadro politico per organizzarsi.
Il processo vuole essere aperto, con i primi elementi di chiarificazione già in atto: intorno all’attuazione di una strategia coerente di fronte unito (che di fatto esclude alcune organizzazioni di estrema sinistra, decisamente ostili ad essa), e intorno alla necessità di costruire una nuova forza politica di cambiamento, indipendente dalle istituzioni (che è una delimitazione rispetto alla direzione de La France insoumise).
Ciò non significa che non si possa discutere con queste forze in questa fase, anche nel contesto di futuri forum. A lungo termine, possiamo solo sperare che questo porti alla costruzione di un partito, più consolidato e solido nella sostanza del nostro NPA, capace di agire sulla scena politica.
A partire dall’inizio di luglio, questo processo di forum si svolgerà probabilmente su un lungo periodo di tempo, in diverse fasi. Anche l’università estiva dell’NPA sarà una pietra miliare di questo processo e ci auguriamo che i primi scambi fruttuosi facciano nascere molto presto la possibilità di interventi comuni.
Per noi non c’è contraddizione tra il costruire l’NPA oggi e il pensare oltre. Infatti, in tutta umiltà, come militanti per l’emancipazione non possiamo avere altra ambizione che quella di mantenere vivo un quadro organizzativo utile agli sfruttati e agli oppressi, interrogandoci, senza feticismi, su come il nostro capitale politico possa essere fruttuoso in un determinato periodo. Come abbiamo scritto nel 2009, per mantenere vivo “il meglio dell’eredità di coloro che si sono confrontati con il sistema per due secoli, quella della lotta di classe, della tradizione socialista, comunista, libertaria e rivoluzionaria”.