Alle sorgenti del capitalismo, le basi domestiche e sociali dello sfruttamento

intervista a Tithi Bhattacharya, da rs21.org.uk

Tithi Bhattacharya è una docente e ricercatrice specializzata in Storia dell’Asia meridionale all’Università pubblica Purdue nell’Indiana (Stati Uniti). E’ una figura importante del femminismo marxista ed è stata una delle organizzatrici dello Sciopero internazionale dell’8 marzo 2017. Si batte anche per i diritti dei palestinesi partecipando alla campagna BDS. Tra le sue opere anche Femminismo per il 99%. Un manifesto, scritto assieme a Cinzia Arruzza e a Nancy Fraser

Tithi Bhattacharya, una delle organizzatrici dello sciopero delle donne dell’8 marzo, approfondisce in questa intervista i punti di forza e le implicazioni della teoria della riproduzione sociale. Marx aveva esplorato il modo in cui la produzione di merci è organizzata sotto il dominio capitalista, ma come il capitalismo riproduce il potere del lavoro? Che ruolo giocano il genere e la razza in questi processi di riproduzione? Come si relaziona la teoria della riproduzione sociale con gli approcci intersezionali?
Queste e altre domande vengono affrontate in questa intervista, che propone anche un modello dinamico di trasformazione sociale e politica, e spiega come lo sciopero dell’8 marzo sia stato un modo per mettere la teoria della riproduzione sociale alla prova della pratica politica.

Per chi non ha mai incontrato questo termine prima d’ora, cos’è la teoria della riproduzione sociale?

La teoria della riproduzione sociale (TRS), già come definizione, sembra abbastanza scoraggiante, ma i paroloni nascondono una domanda relativamente semplice: se la produzione capitalistica è fondamentalmente la produzione di merci, e sono i lavoratori a produrre queste merci, chi produce i lavoratori? La TRS teorizza i processi sociali attraverso i quali il potere lavorativo (la capacità della lavoratrice e del lavoratore di lavorare) viene riprodotto nel capitalismo e il rapporto che tali processi hanno con la produzione di merci.

La maggior parte delle storie della produzione capitalista inizia quando il lavoratore arriva alle porte del luogo di lavoro. La TRS è la storia che sta dietro a questa narrazione. Se la produzione di merci da parte dell’operaio inizia, ad esempio, alle 7 del mattino e termina alle 17, allora la TRS riguarda ciò che accade prima delle 7 e dopo le 17.

Tornando alla domanda su chi produce il lavoratore: una parte della risposta è facile, quasi di buon senso, ed è il ruolo svolto dalla riproduzione sociale nella sfera privata, o nella casa. Ovviamente, è perché la nostra lavoratrice ha cenato, dormito in un letto e ha avuto accesso ad altri mezzi simili per rigenerare la sua capacità lavorativa che è in grado di tornare al lavoro. Dopo la sua lunga giornata di lavoro, ha dovuto fare una “seconda giornata” di cucina per sé e per la sua famiglia? Doveva prendere in braccio il suo bambino e tranquillizzarlo? Queste domande portano a una nuova serie di problemi. Ma mettiamole da parte per un momento e limitiamoci a catalogare i modi in cui la sua casa, il suo posto nella famiglia, aiuta a rigenerare la sua capacità di lavorare.

Esiste un’altra dimensione, più diretta, del modo in cui il lavoratore si riproduce. La nascita o la riproduzione biologica sostituisce una vecchia generazione di lavoratori e ne riproduce una nuova. Sebbene il capitalismo mistifichi la natura congiunta della produzione e della riproduzione, il linguaggio parlato conserva a volte echi sociali di questa unità, poiché continuiamo a parlare di “travaglio”, di “lavoro” per le donne che partoriscono. Allo stesso modo, il termine proletariato trae origine dal latino proletarius, cioè “colui che produce prole”, poiché nella società romana il proletario era censito solo per la sua capacità di allevare figli.

Molte femministe sostengono che l’ordine della riproduzione sociale si ferma ai confini del lavoro domestico e riproduttivo. Secondo queste teoriche (Selma James o Mariarosa Dalla Costa sono alcuni esempi eclatanti), è il “lavoro di cura”, svolto principalmente dalle donne all’interno della famiglia, a riprodurre la forza lavoro del lavoratore, che poi vende al capitale. Il capitale trae grandi benefici da questo lavoro di cura, ma non paga nulla per esso. Pertanto, queste intellettuali e attiviste hanno lanciato una campagna per chiedere un salario per i lavori domestici.

Altre teoriche della riproduzione sociale, e io mi considero tra queste, sostengono tuttavia che la forza lavoro si riproduce solo parzialmente all’interno della famiglia. I sistemi educativi, i trasporti pubblici, le strutture ricreative come parchi e piscine, la possibilità per una comunità operaia di avere accesso all’acqua potabile (si pensi a Flint, Michigan o a Standing Rock) sono risorse annidate nelle relazioni sociali, che riproducono il potere del lavoro. Pertanto, l’accesso alle risorse che contribuiscono alla riproduzione della forza lavoro è fondamentale sia per i singoli lavoratori che per la classe nel suo complesso. Allo stesso tempo, la classe operaia non si riproduce solo attraverso la riproduzione biologica, ma la schiavitù e l’immigrazione sono alcuni dei modi storici in cui il capitalismo ha “rigenerato” la sua forza lavoro.

La TRS opera quindi in un duplice movimento: da un lato, teorizza le diverse pratiche sociali che riproducono il potere del lavoro (tutte le numerose reti di relazioni sociali che costituiscono tale processo) e, dall’altro, mette in luce come queste relazioni, pur essendo distinte, non siano separate dalla produzione di merci, ma formino una totalità unitaria. I cambiamenti nei rapporti di produzione influenzano quindi i rapporti di riproduzione e viceversa. La riduzione dei salari sul lavoro può contribuire alla mancanza di una casa o alla violenza domestica, mentre la privatizzazione dell’acqua o l’aumento dei prezzi del pane e di altri beni socialmente necessari possono portare a rivolte sociali e sul posto di lavoro.

Cosa c’è di nuovo in questa teoria?

La questione della “novità” è interessante. Per i marxisti, le proposizioni centrali della TRS devono sembrare molto familiari. Questo perché la TRS può essere vista come un’estensione analitica della teoria del valore del lavoro (TVL).

La TVL consiste nel riprodurre nel pensiero le relazioni sociali che costituiscono il capitalismo. Il primo equivoco, ossia che esse debbano essere intese in termini strettamente “economici”, deve essere respinto. La TVL si occupa di due domande: come gli esseri umani producono le condizioni materiali della loro esistenza sotto il capitalismo? Come si riproduce il capitalismo come sistema?

La produzione di valori d’uso, le cose di cui abbiamo bisogno per vivere (pane, case, libri da leggere, strumenti musicali da suonare) si riferisce al modo in cui noi esseri umani riproduciamo noi stessi e le nostre vite. Ma come produciamo questi valori d’uso e, soprattutto, per chi produciamo, determina il modo in cui il capitalismo si riproduce.

La teoria del valore-lavoro rivela:

  • i processi sociali con cui il capitalismo organizza la produzione di merci, attraverso luoghi di lavoro su scala globale, in modo che i diversi lavori concreti degli esseri umani siano misurati l’uno rispetto all’altro, non direttamente, ma attraverso il meccanismo del mercato;
  • il modo in cui merci diverse (una pagnotta di naan e uno smartphone) sono equiparati tra loro sulla base del tempo di lavoro socialmente richiesto per produrli;
  • che il perno della riproduzione capitalistica non è lo scambio di diversi tipi di lavoro che producono diversi tipi di merci (questo potrebbe accadere se gli artigiani indipendenti portassero i loro prodotti su un mercato). Il capitalismo come sistema è caratterizzato dall’acquisto e dalla vendita della forza lavoro del lavoratore da parte del capitalista, che poi la mette al lavoro, sotto il suo unico controllo e dominio, per la produzione di profitto.

Il capitalista paga effettivamente il lavoratore per la sua forza lavoro, cioè il salario che riceve, ma questo è pari solo al tempo di lavoro necessario per “riprodurre” il lavoratore stesso, o i beni che il lavoratore comprerà con questo salario. Il resto del valore che il lavoratore produce sul posto di lavoro viene pagato al capitalista come plusvalore.

Poiché la TRS elabora la “riproduzione” del lavoratore, considera sia i beni pagati che riproducono il lavoratore, o il salario reale, sia il lavoro non pagato (lavoro domestico, parto) che aiuta a mantenere e ricostituire la classe operaia. La TRS combina quindi le pratiche sociali che producono “vita” (intesa sia biologicamente che socialmente) con quelle che producono “merci” in un sistema unitario.

L’aspetto forse nuovo della TRS è che mostra che la spiegazione della TVL di Marx, che si occupa solo dell’origine e del destino delle merci, è una spiegazione parziale. Nella maggior parte dei resoconti marxisti del capitalismo, si presume che la forza lavoro sia semplicemente presente. La TRS mostra che non possiamo né supporre la sua mera presenza “lì” né trattare la sua produzione come priva di storia. La TRS introduce nella nostra comprensione del capitalismo i modi profondamente sessisti e razziali in cui la forza lavoro viene prodotta e messa a disposizione del capitale, e questo è il contributo critico della TRS alla teoria marxista.

Mi spiego meglio. La riproduzione della forza lavoro, pur non essendo sotto il dominio diretto del capitale, assume forme molto specifiche nel capitalismo. Al centro di questa riproduzione c’è il lavoro domestico non retribuito delle donne della classe operaia e la capacità biologica delle donne di partorire. Nessuno di questi elementi è antistorico o determinabile dall’individuo, ma sono organizzati dal capitalismo per assumere forme particolari nella società. Ad esempio, l’emergere della famiglia monogama ed eteronormativa, spazialmente separata dalla produzione, non è uno sviluppo accidentale della storia moderna, ma è legato all’esigenza generale del capitalismo di avere una fonte costante di manodopera immediatamente disponibile a un prezzo minimo.

Devo aggiungere qualcosa sulla riproduzione biologica, dato che la transfobia è emersa come una nuova frontiera del sessismo e della violenza. La capacità delle donne di avere figli (o, per dirla in termini TRS, la loro capacità di sostituire “generazionalmente” la forza lavoro) crea le condizioni per la loro oppressione nel capitalismo. Ma questa non è un’argomentazione biologicamente deterministica, perché la TRS pone l’accento sull’organizzazione sociale delle capacità biologiche, e i modi in cui tale organizzazione ha luogo sono sia storici che contingenti alla cultura, alla geografia, ecc.

Di fatto, la TRS ci fornisce un argomento vitale, anti-essenzialista e forse anche trans-inclusivo, sulla riproduzione biologica. Non richiama l’attenzione sulla biologia femminile, ma sulla necessità del capitalismo di sostituire la forza lavoro a livello generazionale. È la dipendenza del capitale da specifiche funzioni corporee come il parto, l’allattamento, ecc. che dà forma alla riproduzione sociale privatizzata e rafforza la forma duratura della famiglia dominata dagli uomini nel capitalismo. Le differenze biologiche tra uomo e donna o tra corpo cis e trans sono importanti solo per il modo in cui queste differenze sono articolate e organizzate dal capitale. Inoltre, una simile argomentazione implica che, in ultima analisi, è irrilevante che le funzioni procreative biologiche siano svolte da donne cis o trans, anche se quest’ultimo fenomeno non è mai generalizzato all’interno della forma sociale. Finché queste funzioni sono richieste e organizzate dal capitale, l’oppressione delle donne e, per estensione, l’oppressione e la violenza di genere, continueranno a esistere.

La famiglia è uno dei modi in cui si riproduce la classe operaia – ma come lei ha detto sopra, la migrazione è un altro. La teoria della riproduzione sociale ha qualcosa da dire sulla migrazione e sulla razza?

La TRS offre due livelli di analisi sul ruolo della migrazione e del razzismo nel capitalismo. Il primo è facile da individuare. La TRS si occupa di come la forza lavoro diventa disponibile per il capitale. La famiglia eteronormativa della classe operaia è ovviamente la fonte principale per il capitale, ma la migrazione forzata, la schiavitù e l’immigrazione sono stati modi fondamentali in cui la forza lavoro è stata costituita in paesi e regioni specifici, o all’interno di una comunità delimitata.

Questi processi storici, in particolare la schiavitù, non sono accessori al capitalismo, ma ne sono costitutivi. È un esercizio teorico piuttosto futile separare il capitalismo “astratto” – che si presume sia neutrale dal punto di vista del genere e/o della razza, guidato solo dal bisogno di accumulazione – dal capitalismo “storico”, in cui il genere e la razza costruiscono e sostengono l’accumulazione. Parlare del capitalismo solo in termini astratti è come parlare della vita sulla terra solo in termini di leggi di gravità senza menzionare gli stati nazionali, le guerre o il sesso!

Poiché la TRS ci porta a comprendere il potere del lavoro non come già disponibile, ma come reso disponibile, ci interroga sulla miriade di processi attraverso i quali ciò avviene: come il potere del lavoro viene riprodotto nelle e attraverso le relazioni sociali sessualizzate/razziali. Come ho detto, questo dimostra che l’oppressione è un organizzatore chiave delle relazioni sociali capitaliste.

Ma c’è un secondo livello di analisi della questione della razza e del razzismo nella TRS. Se da un lato la TRS stabilisce la riproduzione della forza lavoro come condizione per la riproduzione del capitale, dall’altro si chiede se tutta la forza lavoro sia riprodotta allo stesso modo.

Il capitalismo, in quanto sistema di produzione, cerca di stabilire equivalenze tra le diverse merci e tra le diverse capacità lavorative, come abbiamo visto sopra. Ma non tutte le forze lavoro sono uguali. Alcuni corpi/popoli e le loro forze lavoro sono riprodotti in modo tale da renderli più vulnerabili al dominio del capitale rispetto ad altri. Mentre gli effetti di queste differenze si manifestano spesso sul posto di lavoro (assunti per ultimi, licenziati per primi, disuguaglianza salariale), la produzione di queste differenze va sicuramente attribuita ai tessuti della riproduzione sociale – sistemi scolastici, accesso all’assistenza sanitaria, presenza della famiglia per nutrire il bambino o presenza di entrambi i genitori che hanno dovuto affrontare gli effetti dell’incarcerazione di massa, e così via – e al ruolo che essi giocano nella produzione di tali differenze.

La TRS, quindi, fa due cose in modo molto efficace. In primo luogo, teorizzando (e non descrivendo) il ruolo svolto dall’oppressione nell’accumulazione del capitale, rifiuta definitivamente la divisione analitica tra sfruttamento e oppressione e dimostra che questi sono collegati dall’interno. In secondo luogo, poiché la TRS riconosce questa unità interrelata, ci permette di avere un approccio all’oppressione decisamente non funzionale. Il razzismo/sessismo (e altre oppressioni specifiche) non sono intesi come forme create dal capitale perché ne aveva “bisogno”, ma piuttosto come oscuri bricolage di molti passati che sono emersi attraverso molti tentativi ed errori, a causa dei modi in cui il capitalismo ha organizzato la produzione sociale.

Non sono quindi forme stabili o eterne, ma dipendono sia dall’accumulazione che dalle lotte contro di essa. Se da un lato ciò significa che la forma e l’estensione dell’oppressione varieranno in base alle lotte collettive contro di essa, dall’altro implica che, essendo l’oppressione inestricabilmente legata alla necessità di accumulazione, il capitalismo determina i limiti della nostra lotta contro l’oppressione all’interno del suo contesto. In altre parole, la TRS sottolinea in teoria la necessità di una lotta anticapitalista contro l’oppressione.

Molti hanno insistito sul fatto che non possiamo guardare alla classe, al razzismo, all’oppressione delle donne o alla sessualità in modo isolato, ma che dobbiamo affrontare questi temi in modo “intersezionale”. Che rapporto ha la teoria della riproduzione sociale con l’intersezionalità?

La risposta a questa domanda richiede un saggio lungo e meditato! David McNally lo ha scritto per noi e fa parte del prossimo volume sulla TRS che ho curato. Pertanto, mi limiterò a sollevare in questa sede quelli che a mio avviso sono i problemi teorici del modello intersezionale.

Innanzitutto, vorrei dire che i teorici dell’intersezione ci hanno fornito ricchi studi empirici sulla razza e sul genere e sul loro funzionamento nel capitalismo. Hanno anche insistito sulla centralità dell’oppressione nella formazione del nostro mondo moderno. In entrambi i casi, noi marxisti dovremmo trovare una causa comune. Non sorprende che oggi, in un campus universitario degli Stati Uniti, quando una studentessa dice di essere una “femminista intersezionale”, in realtà intende dire che è antirazzista. Ed è sicuramente una persona con cui dovremmo cercare di lavorare.

Ma l’intersezionalità è uno strumento adeguato per comprendere e quindi cambiare la realtà capitalista? I problemi teorici che i marxisti hanno con l’intersezionalità iniziano con il termine stesso. L’intersezionalità come termine implica che diverse oppressioni (ad esempio, razzismo e sessismo) si intersecano e che la combinazione di queste varie intersezioni forma una realtà reticolare.

Prendiamo sul serio la metafora dell'”intersezione”. Un incrocio è il punto in cui due strade distinte si incontrano. Ma la razza e il genere sono “strade” o relazioni sociali distinte? Se sì, dove sono emerse e su cosa si fondano? Inoltre, qual è la logica della loro intersezione?

Al di là del termine, e dei problemi che pone fin dall’inizio, c’è la questione dell’idea marxista di una totalità contro una sorta di insieme sociale reticolare. Una combinazione aggiuntiva di relazioni non è la stessa cosa di ciò che i marxisti intendono per “totalità”. Georg Lukács, e dopo di lui il lavoro di Bertell Ollman, hanno fornito alcune delle migliori esposizioni di ciò che i marxisti intendono per totalità. A questo proposito, vorrei sottolineare due importanti differenze tra i due concetti.

La concezione marxista della totalità sociale è intrinsecamente dinamica. Cambiamento, mutazioni, adattabilità sono i suoi tratti distintivi. C’è quasi una tendenza vitalista in molti passaggi di Marx sulla società (e sulle relazioni sociali). Scrive come se la società fosse un organismo vivente. La visione reticolare o intersezionale della società è completamente statica, quasi bidimensionale. Non c’è né nel concetto né nella metafora l’idea che una qualsiasi di queste intersezioni cambi o risponda a un cambiamento.

In secondo luogo, il progetto del marxismo è quello di sviluppare una teoria del cambiamento storico attraverso il concetto di contraddizioni immanenti. Il marxismo mostra che questa totalità sociale mutevole e pulsante è attraversata da contraddizioni immanenti, non esterne ad essa. L’intersezionalità, a causa del suo modello statico, può avere solo modelli di oppressione trans-storici, presenti in ogni momento e nel migliore dei casi arbitrari nel loro funzionamento. Ad esempio, se le oppressioni sociali sono intersezionali, da dove vengono le nuove oppressioni?

Teoria e concetti non sono importanti solo perché sono strumenti che spiegano il nostro mondo, ma perché dovrebbero darci i mezzi per cambiarlo. Anche in questo caso, l’intersezionalità è in qualche modo inadeguata a questo compito. Ad esempio, seguendo l’intersezionalità, è molto facile discernere perché dovremmo essere solidali con i più oppressi, in quanto ciò comporta molteplici intersezioni. Ma perché i più oppressi dovrebbero essere solidali con i lavoratori maschi bianchi?

Infine, credo che i risultati empirici dei teorici dell’intersezione contraddicano in realtà una metodologia intersezionale. La razza e il genere non sono sistemi di oppressione separati o addirittura oppressioni separate con traiettorie collegate solo esternamente; piuttosto, le scoperte delle intellettuali femministe nere mostrano come la razza e il genere siano di fatto co-costitutivi. La TRS ci offre, come ha sostenuto David McNally, un modo per “conservare e riposizionare” le prospettive dell’intersezionalità, pur rifiutando la sua premessa teorica di una realtà aggregativa.

Lei ha curato un libro di saggi sulla riproduzione sociale che è stato pubblicato nell’autunno 2017 (in inglese). Quali sono le questioni chiave affrontate in questo libro?

Un punto importante per me era esplorare le implicazioni strategiche della TRS per i nostri tempi. La TRS mostra come le relazioni sociali al di fuori del rapporto lavoro salariato/capitale siano cruciali per la riproduzione del capitale e come la formazione del potere lavorativo serva come precondizione fondamentale per la riproduzione del capitale. Se le relazioni sociali capitaliste sono forgiate e sostenute al di fuori del luogo di produzione, ne consegue che queste relazioni possono anche essere messe in discussione e interrotte al di fuori del luogo di produzione.

I movimenti sociali che si sviluppano intorno ai mezzi di sussistenza o ai servizi che contribuiscono a riprodurre la vita – le lotte per la casa, la salute o la dignità di fronte alla violenza razziale – possono quindi portare con sé lo stesso peso anticapitalista delle lotte che si sviluppano sul posto di lavoro. Questo è un tema critico che attraversa il libro e che credo sia necessario sviluppare ulteriormente, visto il basso livello delle lotte nei luoghi di lavoro.

Lei è stata una delle principali organizzatrici dello sciopero delle donne dell’8 marzo. Da dove è nata l’idea di questo sciopero?

L’ispirazione è venuta dallo storico sciopero delle donne in Polonia contro una proposta di legge che vietava del tutto l’aborto (2016) e da un’analoga massiccia mobilitazione femminista in Argentina da parte delle attiviste di Ni Una Menos contro la violenza maschile. L’appello per uno sciopero internazionale delle donne è stato lanciato per la prima volta dalle femministe polacche e si è gradualmente diffuso tra le attiviste di 50 paesi. Abbiamo adottato la parola “sciopero” per sottolineare che le donne non lavoravano solo sul posto di lavoro, ma anche nella sfera della riproduzione sociale.

L’8 marzo per noi negli Stati Uniti è stata l’occasione per testare il TRS nella pratica. Sapevamo che la densità sindacale negli Stati Uniti (così come a livello globale) era ai minimi storici. Gli strumenti di organizzazione tradizionalmente disponibili per la classe operaia erano assenti nella maggior parte dei luoghi di lavoro o erano stati indeboliti da decenni di sindacalismo collaborativo. Ciò non significa che la classe operaia sia stata sconfitta dal capitale. Significava che spesso il terreno della lotta di classe si spostava dalla sfera della produzione a quella della riproduzione.

L’8 marzo si è rivelato una lezione gioiosa e concreta di questo particolare tipo di organizzazione. Più di 30 città statunitensi hanno partecipato allo sciopero sotto forma di manifestazioni, raduni, lezioni nei campus universitari e vere e proprie interruzioni del lavoro in tre distretti scolastici. Le donne si sono date malate al lavoro, hanno scritto lettere ai loro mariti per cucinare da sole per la giornata, hanno manifestato e marciato come insegnanti, infermiere, lavoratrici del sesso e madri. Il nostro manifesto chiedeva un femminismo del 99% per sfidare direttamente il femminismo Lean-in [l’espressione fa riferimento al libro di  Sheryl Sandberg, Lean In: Women, Work, and the Will to Lead, pubblicato nel 2013, e rimanda al femminismo delle donne manager o amministratrici di azienda] di padroni come Sheryl Sandberg e il femminismo imperialista di falchi come Hillary Clinton. 

Uno dei momenti salienti per me è stato il discorso di una giovane donna trans che ha parlato alla nostra manifestazione a New York di come ha condotto una campagna sindacale di successo sul suo posto di lavoro contro il suo capo “femminista”. Il femminismo del capo si è dissolto, ha detto, quando si è trattato di tutelare i diritti delle sue dipendenti. Contro questo “femminismo del capo”, ha detto con orgoglio, l’8 marzo è stato per lei l’inizio di un femminismo del 99%.

Sarà importante vedere che tipo di pratiche e forme di organizzazione possiamo ricostruire dall’esperienza dell’8 marzo. L’8 marzo ci ha mostrato che esiste un enorme potenziale per la nascita di un nuovo movimento femminista globale. Quarant’anni di depredazione neoliberale delle vite della classe operaia ne dimostrano la necessità.

Come lo sciopero delle donne, un tale movimento globale, se si realizzerà, non sarà composto solo da marxiste. Ma se noi, come marxiste, vogliamo giocare un ruolo nella formazione di un tale movimento, allora è importante preparare la nostra teoria e la nostra pratica – appannate da anni di sconfitte, settarismo e timidezza – per un tale momento. La TRS può essere un contributo essenziale a questa preparazione, ma la nuova generazione di attiviste che senza dubbio forgerà e galvanizzerà tale movimento porterà sicuramente alla TRS stessa una nuova “fusione di pensiero e azione”, cioè una propria “filosofia della prassi”.