di Andrea Martini
Ieri martedì 7 febbraio, mentre all’Assemblea nazionale si apriva, in un clima di tensione il secondo giorno di dibattito sulla riforma delle pensioni voluta da Macron e da Borne, nelle vie di Parigi e di altre 250 città della Francia sfilavano centinaia di migliaia di francesi (2 milioni secondo i sindacati, 757.000 per il ministero dell’Interno, di cui 57.000 a Parigi) nel terzo sciopero indetto dall’intersindacale che riunisce tutte le principali organizzazioni delle lavoratrici e dei lavoratori. In numerosi posti di lavoro (come ad esempio in gran parte delle raffinerie della Total, nei porti e in tante centrali elettriche) lo sciopero si prolunga anche alla giornata odierna.
I numeri, visibilmente minori di quelli del 31 gennaio e sostanzialmente pari a quelli del 19 (che comunque era stata definita una “giornata storica”), risentono senz’altro dell’inizio delle “vacanze scolastiche” di febbraio che sono iniziate in metà del paese (le pause didattiche in Francia sono articolate su due zone, al fine di gestire meglio il turismo interno).
Per il movimento il prossimo appuntamento è per i cortei previsti per il prossimo sabato 11 febbraio.
E’ evidente che il movimento si trova ad un punto di svolta cruciale, come abbiamo ampiamente analizzato in articoli dei giorni scorsi e in particolare in quello di Léon Crémieux. Il comunicato del NPA di ieri, non a caso dice: “Oggi gli scioperanti e i manifestanti erano forse un po’ meno numerosi, ma la rabbia è intatta e la mobilitazione dei lavoratori è sempre molto forte”. E prosegue: “Le nuove manifestazioni di sabato 11 febbraio devono essere massicce, perché in piazza, insieme, riacquistiamo fiducia nei nostri numeri e ancor più nella nostra forza comune, nella nostra capacità collettiva di resistere alla rassegnazione e alle politiche antisociali”.
Ma puntualizza: “Abbiamo bisogno di una strategia per vincere. Con ripetuti giorni di mobilitazione, c’è il rischio che gli scioperanti si esauriscano in questo difficile periodo di fine mese, quando ogni giorno di sciopero costa di più. Non si può iniziare una gara di lunga distanza senza un vero piano di battaglia. Per vincere, dobbiamo continuare a organizzarci: vedere come esercitare la massima pressione bloccando l’economia; costruire la mobilitazione”.
Il fronte intersindacale sembra tenere. Il governo cerca, per ora invano, di sollecitare contrasti tra i sindacati tutti uniti nello stimolare e sostenere il movimento. Punta a mettere in contraddizione soprattutto la CFDT (e altri sindacati minori politicamente moderati) ma ha finora ricevuto risposte drastiche anche da questo lato. Proprio ieri sera, il segretario generale CFDT, Laurent Berger, intervistato ad uno dei tanti talk-show dedicati al tema, ha respinto l’accusa ai sindacati di dare spazio ai black block e a chi “vuole fare casino”, imputando al governo e al suo “progetto regressivo” la responsabilità di “suscitare la collera della popolazione” e di ogni manifestazione di degenerazione di questa collera.
A Palais Bourbon, la sede del parlamento francese, si è infiammato il dibattito sull’articolo 1 del progetto di legge e sul centinaio di emendamenti presentati su questo articolo che riguarda alcuni “regimi speciali” attualmente previsti per certi lavori particolarmente usuranti e che Macron intende sopprimere.
L’opposizione della NUPES ha fatto notare l’esistenza di ben altri privilegi, come le cosiddette retraites chapeaux, cioè quelle norme che consentono ai dirigenti delle grandi imprese di beneficiare di laute pensioni (a volte milionarie) per di più tassate meno delle pensioni dei lavoratori normali. Un deputato della NUPES, a proposito dei “privilegi” che la “controriforma” vorrebbe abolire, ha chiesto al ministro del Lavoro, il discusso Olivier Dussopt, e al suo collega al Bilancio, Gabriel Attal, seduti sui banchi del governo: “Come vi sentireste se foste autisti del trasporto pubblico parigino (una delle categorie a cui la legge attuale consente di andare in pensione con un leggero anticipo) dopo una giornata di guida di un autobus doppio nelle vie della capitale?”. L’esame dell’articolo 1 prosegue oggi.