di Fabrizio Burattini
Hanno giurato. Hanno ipocritamente giurato sulla Costituzione repubblicana e antifascista un’accolita di ministre e ministri. E’ nato il nuovo governo Meloni e il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ne ha sancito la nascita.
La nuova premier, per ostentare il suo “decisionismo” e la sua “efficienza”, aveva già venerdì accettato l’incarico senza la tradizionale “riserva”, cioè la pausa di riflessione che in genere si concedono i presidenti incaricati per consultare i partiti di maggioranza. La grande stampa, dopo aver constatato, con grande disappunto a luglio e poi di fronte ai risultati elettorali del 25 settembre, il clamoroso affossamento del “governo dei migliori”, oggi commenta positivamente il “fatto storico” della prima premier donna.
Anche quella che, chissà perché, si autodefinisce “opposizione” lo “riconosce”.
Ma torniamo al governo che si è insediato. Vale la pena spendere qualche parola sulla nuova definizione dei ministeri, che sta a indicare anche l’orientamento “culturale” a cui la premier e il suo entourage si ispirano.
Il ministero della Transizione ecologica diventa dell’Ambiente e della sicurezza energetica, facendo sparire ogni riferimento all’ecologia, così indigesta a tutta la destra, intrinsecamente negazionista, come candidamente confessato dal famoso editoriale di qualche anno fa del guru del quotidiano “Libero”, Vittorio Feltri, intitolato “L’ambiente guastato dai fessi e non dal caldo”.
Il ministero dello Sviluppo economico è diventato il ministero delle Imprese e del made in Italy, tanto per sottolineare l’accantonamento del termine neutro di “sviluppo economico” e per dare ancor maggior valore alla “centralità dell’impresa nazionale”. In questa luce anche la trasformazione del ministero delle Politiche agricole in quello dell’Agricoltura e della sovranità alimentare assume un significato nazionalista. Il fatto che la definizione sia usata anche nel governo macronista francese consola solo coloro che non capiscono quanto anche il presidente d’Oltralpe sia, seppure con uno stile più chic, un paladino della “grandeur nationale”.
Il ministero delle Pari opportunità allarga la sua sfera di interesse, diventando il ministero della Famiglia, della natalità e delle pari opportunità, con buona pace dei diritti e dalla lotta per la liberazione delle donne, che, in un contesto di crescente attacco politico e culturale, sono chiamate ad accontentarsi del fatto che una di loro diventi la premier del governo con minore presenza di ministre degli ultimi decenni (solo 6 su 24).
Per non farla troppo lunga, segnaliamo ancora solo come il ministero dell’Istruzione (che già nei primi anni 2000 il governo Berlusconi aveva privato dell’aggettivo “pubblica”) diventi oggi il ministero dell’Istruzione e del merito. Un’aggiunta eloquente. Il “merito” e la cosiddetta “meritocrazia” sono stati da sempre il chiodo fisso della classe dominante e di tutti i suoi lacché sia di destra che di “centrosinistra”. Il termine è diventato un’espressione positiva, anche se fu coniata molti decenni fa dallo scrittore inglese Michael Young per indicare una forma di governo “distopica” e contrassegnata da una intrinseca e devastante ingiustizia sociale.
Il “nuovo” al governo
E ora sulla composizione del governo (9 ministri FdI, 5 di Forza Italia, 5 della Lega e 5 “tecnici”). Un governo fortemente in continuità con i governi Berlusconi del passato (sono numerosi i ministri e le ministre, compresa la presidente Meloni, ad aver in passato gestito dicasteri nei tre governi Berlusconi), ma c’è anche qualche nome che segna la continuità con il governo Draghi (primo fra tutti Giancarlo Giorgetti, promosso da ministro di Draghi per lo Sviluppo economico a ministro dell’Economia e finanze. Ma la continuità con il governo del banchiere si vedrà soprattutto nei contenuti.
Giorgia Meloni si è circondata di esponenti fedelissimi, di provata fede “postfascista”, a partire da Francesco Lollobrigida, nipote della notissima attrice Gina Lollobrigida, ex candidata senatrice nelle liste “rossobrune” di “Italia sovrana”, e soprattutto marito della sorella della premier, ora ministro per l’Agricoltura e la sovranità alimentare, Luca Ciriani, ex capogruppo di FdI al senato e ora ministro per i Rapporti con il parlamento, Gennaro Sangiuliano, ex direttore del TG di Rai 2, ora ministro della Cultura. Giorgia Meloni ha dovuto rinunciare (almeno per ora) a Giovanbattista Fazzolari perché proprio in questi giorni il settimanale l’Espresso aveva rivelato l’esistenza di alcuni suoi tweet particolarmente oltraggiosi nei confronti del presidente Mattarella; Fazzolari li ha prontamente cancellati ma evidentemente questo non è bastato alla premier per recuperare nella squadra quello che veniva considerato uno dei suoi uomini di punta. A costoro va comunque aggiunto Guido Crosetto, che, seppure di “cultura democristiana” è stato ed è comunque uno degli artefici della resistibile ascesa di Giorgia Meloni, ed è diventato ora ministro della Difesa.
Il “pensiero” dei ministri
L’orientamento culturale del gabinetto è manifestato anche dal fatto che gran parte dei ministri (e non solo quelli di FdI) si sono formati nelle file del MSI, nella sua organizzazione giovanile Fronte della gioventù, o, se più giovani, in Alleanza nazionale. Ma l’orientamento si conferma anche nel florilegio di dichiarazioni di stampo esplicitamente reazionario e spesso anche neofascista di numerosi neo ministri.
Facciamo qualche esempio cominciando con il neo ministro degli Esteri, Antonio Tajani, cresciuto politicamente nel “Fronte monarchico giovanile” (dei cui principi ispiratori si professa tuttora convinto), che solo tre anni fa dichiarò la sua ammirazione per Mussolini, che “a parte alcuni errori” avrebbe fatto “anche cose buone”, si è nettamente espresso contro il reddito di cittadinanza perché sarebbe finito “nelle tasche dei rom e degli extracomunitari”. Tajani è anche un campione particolarmente viscido nelle ritrattazioni. Quando a suo tempo gli è stato fatto notare che quelle dichiarazioni erano incompatibili con la sua carica di presidente del parlamento europeo, ha fatto circolare alla stampa un comunicato nel quale si scusava “con tutti coloro che si sono sentiti offesi dalle mie parole, che volevano giustificare o banalizzare un regime antidemocratico e totalitario. Mussolini e il fascismo sono stati la pagina più buia della storia del secolo passato”. Così come è riuscito, pur senza sconfessare il suo capo, a prendere le distanze dalle dichiarazioni putiniane di Silvio Berlusconi.
Particolarmente folta è l’antologia di scempiaggini reazionarie attribuite a Roberto Calderoli, che si è sempre caratterizzato per “dire quello che pensa”, da oggi ministro per gli Affari regionali e le autonomie. Alcuni esempi: “la civiltà gay ha trasformato la Padania in un ricettacolo di culattoni”, la frase rivolta in televisione alla giornalista di origine palestinese Rula Jebreal “la smetta quella signora, quella abbronzata lì, quella del deserto e del cammello”, oppure, a commento della vittoria della nazionale di calcio italiana contro la Francia nei mondiali: “è una vittoria della nostra identità, di una squadra che ha schierato lombardi, campani, veneti o calabresi, e che ha vinto contro una squadra che ha perso, schierando negri, islamici e comunisti”, o rivolto ai manifestanti del gay pride: “pentitevi e il buon Dio sacrificherà il vitello grasso” o sulla ministra di origine africana Kyenge, definita “un orango”. Senza dimenticare altre perle, come “ci sono etnie con una maggiore propensione al lavoro e altre che ne hanno meno”, “dare il voto agli extracomunitari? Un paese civile non può fare votare dei bingo-bongo che fino a qualche anno fa stavano ancora sugli alberi”…
Lo storico “gentiliano” Giuseppe Valditara, ora ministro del Merito e forse dell’istruzione (che abbiamo già visto all’opera nell’ambito della scuola come autore della “riforma Gelmini” del 2010), è l’autore del libretto distribuito come allegato al quotidiano berlusconiano “Il Giornale” significativamente intitolato “L’impero romano distrutto dagli immigrati”, dimenticando del tutto che a fondare la città di Roma sono stati dei profughi di guerra greco-anatolici.
Riguardo alla futura attività governativa sulle questioni sociali e sindacali parla da sola l’attribuzione dell’incarico di ministra del Lavoro a Marina Elvira Calderone, presidente dell’ordine dei consulenti del lavoro, cioè di quei professionisti che aiutano le aziende a tagliare il più possibile il “costo del lavoro”. Schierata con FdI, ma anche fan del Jobs Act renziano, strenua oppositrice di ogni misura di salario minimo perché sostenitrice accanita di un “salario al minimo” cioè della possibilità per le aziende di pagare il meno possibile i propri dipendenti e dell’abbattimento del “cuneo fiscale”, cioè di qualche soldo in più ai lavoratori ma a spese dei lavoratori stessi, critica da destra della controriforma draghiana sul codice degli appalti, perché “ancora troppo vincolante per le aziende”.
Ministri in carriera
Molto eloquenti sono anche le carriere dei neoministri. Come quella di Eugenia Roccella, ministra per la Natalità (e forse anche per la famiglia e per le pari opportunità), ex femminista, prontamente passata una ventina di anni fa, da una militanza radicale senza futuro, prima a Forza Italia (che le ha assicurato l’elezione come deputata) e poi a FdI. O come quella di Alessandra Locatelli, la ex “vice sceriffa” leghista di Como, responsabile della politica della città lombarda contro clochard, migranti e organizzazioni non governative (chiusura del centro-migranti, divieto di chiedere l’elemosina durante le festività di Natale, ostruzionismo antislamico, ecc.).
Quanto a Maria Elisabetta Alberti Casellati, è passata alle cronache più che per la sua attività di presidente del Senato per l’uso quasi quotidiano dell’aereo di stato (a spese dei contribuenti).
Molti sono politici di professione, che hanno fatto da esponenti della destra estrema la trafila da consiglieri comunali fino a deputati, ma nei curriculum di molti di loro viene vantata con fierezza l’esperienza manageriale in aziende private o in enti pubblici (Magneti Marelli, Fiat, Iveco, Acea, Coni Servizi Spa, McCormack Group, Img Media, Media Partners Group, ecc.).
Vanno segnalati tra gli altri, anche qui in perfetta continuità con lo stile berlusconiano, i palesi conflitti di interesse di Daniela Santanché, proprietaria di varie “prestigiose aziende turistiche” e contemporaneamente neo ministra per il Turismo, e soprattutto di Guido Crosetto, proprietario della società di lobbying Csc & Partners Srl (attiva nel settore dell’industria militare), consulente della Leonardo (la più importante fabbrica di armi italiana), presidente di Orizzonte (società del settore delle navi da guerra), presidente della Federazione delle aziende italiane dell’Aerospazio e da oggi neo ministro della Difesa.
Berlusconi “dolcissimo”
Qualche parola sulla tempesta che Silvio Berlusconi ha scatenato in “zona Cesarini” alla vigilia della formazione del governo e sui suoi “dolcissimi” scambi di lettere e di doni con Putin. Naturalmente nelle intenzioni del leader di Forza Italia c’era anche la volontà di far capire subito a Giorgia Meloni che governare non sarà un’impresa tranquilla. Come sottolineato da vari commentatori, l’affondo dell’ex cavaliere ha avuto l’effetto di spingere ancora di più Giorgia Meloni sulla via della continuità “atlantista” draghiana.
Ma le uscite di Berlusconi sono anche un tentativo di intestare a sé e al suo partito il disagio di tanta parte della borghesia (e della piccola borghesia) italiana orfana, a causa delle sanzioni e del blocco del commercio con la Russia, degli affari con gli oligarchi del gigante euroasiatico postsovietico nell’industria energetica, nel turismo, nella cantieristica da diporto, nella sartoria di lusso. Quelle frasi, facilmente uscite a favore della stampa, mentre il partito postfascista di Giorgia Meloni per cause di forza maggiore è costretto a posizionarsi “più verso il centro”, servono a Berlusconi ad occupare la posizione più a destra, quella del campione del “pacifismo menefreghista e affarista”, prendendo in contropiede Matteo Salvini che si proponeva di occupare quella stessa posizione, ma in maniera più timida e impacciata.
Non sappiamo quanto quel posizionamento possa essere pagante per Forza Italia in termini elettorali (sono alle porte le elezioni regionali nel Lazio e in Lombardia). Ci si permetta però di mettere in guardia tutto quel mondo onestamente pacifista che, miracoli della fluidità politica, ha guardato con imbarazzata simpatia al “coraggio” e alla “chiarezza dell’ex cavaliere”.
I compiti della sinistra politica e sociale
Le urgenze del momento richiedono che alla mobilitazione sociale nei posti di lavoro e nella società contro l’inflazione, l’attacco alle condizioni di vita, ai diritti civili e a quelli sociali, alla cultura democratica e antifascista si affianchi anche una mobilitazione politica, la più unitaria possibile.
Su questi temi ci ripromettiamo di ritornare in maniera compiuta il prima possibile, ma i 15.000 della manifestazione di Bologna di sabato 22, “Convergere per insorgere”, il corteo programmato a Napoli per il 5 novembre con la stessa parola d’ordine con il Movimento disoccupati 7 novembre e lo sciopero unitario del sindacalismo di base del 2 dicembre sembrano andare nella direzione giusta.