di Fabrizio Ortu
I programmi delle forze politiche prendono quasi sempre in esame la questione militare, della pace e della guerra, in termini molto generali. E da questo punto di vista il programma di Unione Popolare mette nero su bianco parole che possono essere condivise e che rendono questo cartello l’unico soggetto politico “votabile” alle elezioni politiche del 25 settembre:
“Operare per il superamento della NATO, per la sovranità nazionale con lo stop ad armi nucleari nel nostro Paese e per sostenere politiche di disarmo a livello globale, opponendosi all’aumento delle spese militari al 2% del PIL e impegnandosi alla progressiva riduzione delle stesse. Firma immediata del trattato di messa al bando delle armi nucleari. L’Italia dovrà essere senza bombe atomiche e promotrice di una conferenza internazionale per il disarmo e la denuclearizzazione dell’Europa. Saremo amici di americani, russi e cinesi, mai più sudditi e subalterni di nessuno”.
A ben vedere, però, questo punto programmatico mette un po’ di polvere sotto il tappeto. Si fa, infatti, presto a dire “Italia” e “sovranità nazionale”. Peccato però che lo stato italiano comprenda anche, almeno, una nazione senza stato: la Sardegna. La nazione sarda non solo non gode del diritto di autodeterminazione (eh sì! La Costituzione non è così “perfetta” come la si vorrebbe considerare), ma è ridotta, dal punto di vista militare, allo stato di piattaforma nel Mediterraneo a disposizione della Nato e dello stato italiano.
Per fare un solo esempio, e nemmeno il più recente, lo scorso maggio il mare e la terra della Sardegna sono stati utilizzati per una grande esercitazione internazionale durata tre settimane con l’impiego di 4.000 uomini, di 65 navi, caccia e reparti anfibi. Ennesima aggressione a cui il movimento anticolonialista sardo ha reagito con due manifestazioni nell’arco di pochi giorni, prima a Cagliari e poi a Teulada. La dimensione dell’esercitazione è stata così descritta dal giornalista del Manifesto, Costantino Cossu, lo scorso 17 maggio:
Tre settimane di fuoco, con proiettili, bombe e missili lanciati contro litorali di eccezionale pregio naturalistico. Teatro dell’esercitazione, come sempre, i tre principali poligoni militari sardi: Quirra, Capo Frasca e Teulada. Ma stavolta lo schieramento di forze è talmente vasto che la Difesa ha pensato bene di bloccare anche altri siti fuori delle basi permanenti. Un’ordinanza della capitaneria di porto di Cagliari ha infatti vietato l’accesso a diciassette aree a mare, vicino ad alcune delle spiagge più note: Poetto, Villasimius, Cala Pira, Capo Ferrato, Porto Pino, Porto Corallo. Su questi arenili, si legge nell’ordinanza della capitaneria di porto, «sono vietati il transito, la sosta, la navigazione, l’ancoraggio di ogni tipologia di unità navale, comprese quelle da diporto, nonché le immersioni, la balneazione, la pesca ed i mestieri affini».
E’ proprio così: a esercitazioni in corso, anno dopo anno, tutte le attività marittime sono subordinate alle “grandi manovre”. La Sardegna assume da almeno 60 anni la funzione di palestra e piscina dell’imperialismo occidentale. Qualche dato e riferimento può essere utile a capire meglio la dimensione del fenomeno: l’Isola ospita i 3/5 delle servitù militari italiane per circa 35mila ettari; la occupano il poligono del Salto di Quirra e quello di Teulada, i maggiori poligoni italiani per estensione, e il Poligono Nato di Capo Frasca.
La questione dell’occupazione militare della Sardegna (che è anche una questione di colonialismo interno dello “stato Italia”) non trova, però, al momento spazio nei programmi di nessuna forza politica italiana. Eppure appare ineludibile.