Il 2 luglio si è tenuto a Parigi un forum politico nazionale intitolato “Organizzarsi per costruire l’alternativa”, annunciato da un appello firmato da 400 attivisti della sinistra radicale. Avviato da membri di Ensemble!, dell’NPA e di Rejoignons-nous, oltre che da attivisti dei movimenti sociali, l’obiettivo del forum era quello di “costruire, a lungo termine, una nuova forza democratica e pluralista per la giustizia, l’uguaglianza e la democrazia”, e l’incontro del 2 luglio costituiva “una prima tappa che dovrebbe permetterci di discutere insieme i contorni di una nuova organizzazione da costruire”.
La rivista Contretemps ha parlato con Florence Ciaravola, membro del coordinamento nazionale di Ensemble!, Fabien Marcot, membro del gruppo di coordinamento di Rejoignons-nous, e Pauline Salingue, portavoce dell’NPA, gli attivisti che hanno contribuito a introdurre il forum, oltre a Omar Slaouti, attivista dei quartieri popolari che però non ha potuto partecipare all’intervista collettiva.
Le domande emerse dalla discussione collettiva della redazione di Contretemps riguardano gli obiettivi, le prospettive e il seguito del forum, la situazione sociale e politica in cui si è svolto – in particolare le recenti rivolte urbane – e le questioni, i dibattiti e le scelte strategiche sollevate dal processo politico avviato da questo incontro. La discussione è stata raccolta dal gruppo di lavoro in un testo unitario. Qui di seguito riproduciamo l’intervista.
Voi tutti avete partecipato al forum nazionale “Organizzarsi per costruire l’alternativa” del 2 luglio 2023 a Parigi. Potete dirci perché avete partecipato, come singoli e come militanti della vostra organizzazione? E potreste spiegarci gli obiettivi di questo forum, in relazione alla vostra analisi del momento sociale e politico che stiamo vivendo?
Fabien Marcot: Promettere di riformare le istituzioni, denunciare le “discriminazioni” nei controlli di polizia… nel 2017, Macron ha promesso di essere un presidente “liberale“, in senso economico ma anche democratico e culturale. Che truffa! Sei anni dopo, è il presidente che ha approvato leggi eccezionali contro i musulmani. È il presidente dello scioglimento dei Soulèvements de la Terre, della repressione e della criminalizzazione sempre più violenta delle lotte. È il presidente dell’uso di tutte le disposizioni più autoritarie della Quinta Repubblica e di una crescente privazione delle nostre libertà (legge sul separatismo, legge sulla sicurezza globale, ecc.). È il presidente dell’impoverimento di tutti, tranne dei più ricchi, i cui profitti sono in aumento. Alla fine, tutto ciò che resta del liberalismo è un implacabile liberismo economico. E Macron avrà contribuito più di ogni altro a preparare il terreno per il fascismo in ascesa, che è senza dubbio il pericolo più immediato che corriamo.
Di fronte a questa politica, milioni di persone sono scese in piazza: gilet gialli, manifestazioni antirazziste, manifestazioni per il clima, contro la riforma delle pensioni, manifestazioni femministe… Soprattutto tra i giovani, il rifiuto di questo sistema capitalista, patriarcale, razzista, imperialista, ecocida, razzista e contro i disabili è estremamente forte. Ma nessuna organizzazione politica sembra riuscire a raccogliere queste idee e a rendere percepibile una vera alternativa, nonostante l’urgenza della situazione.
Questa è l’analisi che facciamo a Rejoignons-nous da quando è stata fondata tre anni fa, e da allora non abbiamo mai smesso di discutere e organizzare incontri pubblici per porre qualche modesta pietra nella costruzione di questa alternativa. Ci ha fatto quindi molto piacere che l’idea di questo forum sia stata condivisa dall’NPA e da Ensemble! perché è un primo passo, per quanto modesto, per iniziare a lavorare insieme e – soprattutto – al di là delle nostre fila.
L’obiettivo di questo forum era innanzitutto quello di dare un primo impulso, di verificare che, nonostante le differenze strategiche del passato, attivisti di diversa provenienza (del movimento sociale, dell’NPA, di Ensemble, di Rejoignons-nous, ma anche attivisti di altre organizzazioni, ex membri della France Insoumise, ecc.) volessero lavorare insieme per costruire una nuova forza politica e condividessero la stessa analisi della situazione. E da questo punto di vista, è un primo passo che getta buone basi, anche se ovviamente tutto resta da fare!
Pauline Salingue: L’NPA e io abbiamo deciso di organizzare questo forum perché siamo convinti che migliaia di attivisti anticapitalisti siano privi di un partito politico deciso a rompere con il capitalismo e con le istituzioni che garantiscono il dominio della grande borghesia, comprendendo al contempo che è necessario riunire e unire gli sfruttati e gli oppressi per affrontare la controparte. Siamo uniti e rivoluzionari e vogliamo, in modo aperto e trasparente, discutere la costruzione di una nuova forza che risponda a questi obiettivi.
In termini concreti e immediati, possiamo constatare che la situazione manca di uno strumento. Uno strumento militante, basato nei luoghi di lavoro, nei quartieri e nei piccoli centri, che ci permetta di prendere iniziative per cambiare l’equilibrio sociale e politico del potere su base quotidiana. Questo mancava durante la mobilitazione contro la riforma delle pensioni. Manca oggi con la rivolta dei giovani nei quartieri popolari.
Per raggiungere questo obiettivo, dobbiamo rompere con l’idea dominante a sinistra che la piazza sia affare dei sindacati e che la politica sia essenzialmente una questione di istituzioni. Questa divisione del lavoro ha profondamente frenato la mobilitazione storica a cui abbiamo appena assistito. Di fronte a una borghesia radicalizzata, con un’estrema destra alle porte del potere, gli scontri sociali si moltiplicheranno, anche se in forme diverse, come abbiamo visto negli ultimi anni (Gilets Jaunes, scioperi di massa, rivolte di quartiere…). Avremo bisogno di una forza politica che aiuti i lavoratori e i giovani a irrompere sulla scena politica organizzandosi da e per se stessi, in particolare sviluppando quadri di auto-organizzazione. Non una forza che “diriga” le masse dall’esterno, ma che agisca da facilitatore, da strumento collettivo, da accumulatore di esperienze e che sia in grado di prendere iniziative quando la situazione politica accelera e affronta possibili biforcazioni, in relazione a un progetto strategico rivoluzionario, per la presa del potere da parte degli sfruttati e degli oppressi.
Florence Ciaravola: Siamo di fronte a una crisi globale e multidimensionale (sociale, ecologica, economica, democratica, geostrategica, ecc.). Il mondo capitalista e le sue modalità di dominio sono sempre più violente, le disuguaglianze aumentano e la minaccia neofascista diventa sempre più chiara. Le lotte e le mobilitazioni sono essenziali, ma abbiamo anche bisogno di uno strumento politico che rifletta le nostre aspirazioni e incarni un progetto alternativo anticapitalista che sia allo stesso tempo ecologico, autogestionario, sociale, femminista, antiglobalizzazione e antirazzista.
L’Assemblea Generale di Ensemble! del novembre 2022 ha convalidato un orientamento politico che combina un fronte politico-sociale della sinistra e degli ecologisti da un lato (da qui la nostra partecipazione alla costruzione e all’ancoraggio popolare della NUPES), e dall’altro il superamento di Ensemble! in una nuova forza politica della sinistra alternativa. Il processo iniziato con Rejoignons-nous e con il NPA è legato all’obiettivo di questa nuova forza: per questo ne facciamo parte.
Il gruppo di discussione nato dal forum ha pubblicato un primo testo intitolato “Contro i crimini della polizia e la violenza dello Stato, solidarietà con la rivolta dei giovani e dei quartieri popolari”. Qual è la vostra comprensione di queste rivolte tra i giovani e nei quartieri popolari? Quanto è stato importante questo tema durante il forum e cosa è stato detto al riguardo? E come vedete le reazioni e le posizioni del resto della sinistra sociale e politica negli ultimi giorni?
Florence Ciaravola: La rivolta dei giovani e dei quartieri popolari è più che legittima e siamo pienamente d’accordo con il testo uscito dal forum del 2 luglio. Questa rivolta era molto presente nelle menti e nei discorsi dei partecipanti al forum. Per quanto riguarda le reazioni a sinistra, sono state varie e spesso diverse dalle nostre. Questo non fa che confermare la specificità del nostro progetto e la necessità di un tale progetto, che non ci impedisce di partecipare a iniziative unitarie, con altri e a partire dalle associazioni presenti nei quartieri popolari che lottano contro la discriminazione e la violenza della polizia.
La morte di Nahel segue una lunga serie di omicidi di giovani razzializzati nei quartieri popolari e un aumento della violenza della polizia. A ciò si aggiungono l’abbandono dei quartieri popolari, l’arretramento dei diritti e delle libertà, il vero e proprio razzismo assunto da tutti i partiti di destra e talvolta anche oltre, e la contaminazione del campo politico e mediatico con idee fasciste e razziste. Fortunatamente, questo processo di fascistizzazione è ben lungi dall’essersi diffuso in tutta la società: i principi di solidarietà e di uguaglianza rimangono importanti nella popolazione e le disuguaglianze, le ingiustizie e le discriminazioni sono sempre meno tollerate, soprattutto tra i giovani. Questi sono punti di appoggio fondamentali per le campagne antifasciste e antirazziste.
Fabien Marcot: La morte di Nahel, dopo quelle di Nordine e Meryl, Amine, Ali, Adama, Alhoussein, Maïcol, Wissam, Lamine, Olivio, Sabri, Yanis, Raihane, Zineb, Liu, Rémi, Steve, Cédric, Rayana, Malik Oussekine e tanti altri, ricorda tragicamente, se ce ne fosse bisogno, che la polizia uccide. E uccide soprattutto coloro che percepisce come arabi o neri. È molto positivo che la prima dichiarazione pubblica del forum sia stata questo testo, che ritengo molto corretto.
In effetti, questo tema è stato onnipresente durante le discussioni. Il fatto che il forum si sia svolto nel bel mezzo di una rivolta nei quartieri dopo l’omicidio di Nahel ha ovviamente influito. Ma a Rejoignons-nous avevamo già potuto constatare da diversi anni, durante i dibattiti pubblici che avevamo organizzato in presenza di attivisti dell’NPA e di Ensemble, che c’era un accordo abbastanza ampio sul fatto che la sinistra radicale si era sbagliata per molto tempo sul ruolo degli attivisti di quartiere. Sulla questione del razzismo e dell’islamofobia. Sul fatto che le organizzazioni di sinistra, anche quelle radicali, spesso riproducono al loro interno gli stessi meccanismi di dominio del resto della società.
Per quanto riguarda le rivolte nei quartieri, nel complesso la sinistra ha reagito un po’ meglio rispetto al 2005, anche se c’è ancora molta strada da fare. Mélenchon sta dicendo qualcosa di radicalmente diverso. I Verdi dell’EELV e il PS stanno dicendo meno sciocchezze ora che i loro rappresentanti più a destra hanno smorzato i toni, ma non siamo immuni da contraccolpi. Quanto a Fabien Roussel del PCF, probabilmente preferisce il sindacato di polizia fascista Alliance alle rivolte dei quartieri, anche se non è chiaro se questo sia il risultato di un’analisi politica o di una stucchevole competizione elettorale con LFI. In ogni caso, il risultato è lo stesso. Alla fine, è importante che la sinistra abbia una linea chiara di sostegno alle persone che vivono nei quartieri, al disarmo della polizia a contatto con la gente, al controllo democratico che sostituisca l’Ispettorato interno alla polizia… E in generale, al sostegno alle rivolte passate, presenti e future, perché non è ancora finita.
Pauline Salingue: Il forum si è svolto nel cuore della rivolta e nel mezzo di un’ondata di repressione poliziesca e giudiziaria. Era quindi inevitabile che questo fosse il fulcro delle nostre discussioni. Anche se c’è ancora molta strada da fare, è una buona cosa, una prima prova, essere riusciti a prendere una posizione comune. Anche se il passaggio dal posizionamento all’azione è ancora da fare, questa è una delle maggiori difficoltà che la sinistra radicale deve affrontare oggi.
In molte città e quartieri, i giovani sono sottoposti quotidianamente alla violenza della polizia e a una forma di razzismo di stato. La storia e il passato coloniale della Francia hanno molto a che fare con questo fenomeno. La polizia francese è un’istituzione che trasmette quotidianamente questo razzismo. Se a questo si aggiunge la svolta autoritaria del potere, in una situazione in cui le classi dominanti cercano di mantenere il loro dominio economico e politico a nostre spese, si ottiene un cocktail estremamente pericoloso. È tutto parte integrante della dinamica fascista che caratterizza l’attuale fase del capitalismo.
A livello nazionale, nella maggior parte delle città, la sinistra sta lottando per prendere piede nel movimento di protesta contro la violenza della polizia e il razzismo sistemico. Ma ha già fatto meglio che nel 2005. Stanno emergendo quadri unitari, con posizioni che sarebbero state inconcepibili 20 anni fa. Anche se c’è ancora molto da fare, la più ampia comprensione delle forme che assume il razzismo istituzionale, e in particolare il ruolo dell’islamofobia, significa che si possono trovare modi per unire coloro che si oppongono a questo sistema. Ciò è rafforzato anche dalla massiccia repressione del movimento sociale dopo la legge sul lavoro del 2016, la morte di Rémi Fraisse, i feriti e i mutilati dei Gilets Jaunes, Sainte-Soline… I quartieri sono laboratori di violenza poliziesca e di repressione giudiziaria che si stanno estendendo a tutta la società.
Infine, per dirla in tutta franchezza, c’è un passivo pregresso tra le forze politiche della sinistra radicale (non mi soffermerò sull’eredità ancora più grande con la sinistra di governo, che non è il mio argomento) e i movimenti e le associazioni dei quartieri popolari. Non siamo stati all’altezza di affrontare la natura sistemica e la portata degli attacchi legati al razzismo e alla violenza – in breve, l’intera dimensione coloniale – che gli abitanti dei quartieri popolari hanno dovuto affrontare. E non siamo stati all’altezza del coraggio e della forza degli attivisti di questi quartieri.
Siamo stati spesso pusillanimi, persino paternalisti, nelle nostre relazioni con questi movimenti. Spesso li abbiamo lasciati in mezzo alla strada. C’è quindi molto da ascoltare e da imparare nelle organizzazioni politiche, con loro, in modo da poter lavorare e fare campagne insieme con fiducia e costruire esperienze condivise nelle campagne.
Su cos’altro si sono concentrate le discussioni della giornata? Secondo voi, ci sono stati elementi salienti e politicamente importanti di accordo in questi dibattiti? E, al contrario, alcune questioni sono state identificate come causa di dissenso tra i partecipanti, o anche tra le componenti che hanno dato vita al forum?
Florence Ciaravola: Lo svolgimento del forum prima dei forum locali e in un solo giorno ha limitato fortemente la portata e la profondità delle discussioni. Tuttavia, le discussioni sono state ricche. Le discussioni di gruppo sono state molto apprezzate, perché hanno permesso al maggior numero possibile di persone di esprimersi.
Alcuni oratori hanno sottolineato la necessità di un dibattito più approfondito: la questione sociale è ancora prioritaria o si intreccia con il femminismo, l’ecologia, l’antirazzismo e la solidarietà internazionale? Siamo davvero all’altezza della sfida della rivoluzione femminista globale e dell’emergenza eco-climatica? La nuova forza politica deve necessariamente assumere la forma di un partito o sono possibili altre forme, come discusso all’interno di Ensemble! (movimento, partito-movimento, ecc.)? La prostituzione costituisce un lavoro sessuale o uno sfruttamento inaccettabile da un punto di vista femminista e alter-globalista? Non è certo che queste domande separino le varie componenti del forum; forse attraversano più ampiamente la sinistra alternativa…
Pauline Salingue: L’importanza della solidarietà internazionalista, il progetto e le pratiche femministe, l’apporto teorico dell’ecosocialismo, la difesa delle libertà pubbliche, l’urgenza dell’antifascismo e dell’antirazzismo sono tutti elementi sui quali sembriamo concordare. Il rinnovamento delle pratiche politiche basate sui movimenti sociali, l’allargamento e il consolidamento della base sociale necessaria per costruire una nuova organizzazione politica sono stati al centro delle discussioni. Ma al di là di questo accordo teorico, dagli interventi è emerso chiaramente che le consuete carenze delle organizzazioni dominate dagli strati superiori della forza lavoro, bianchi e maschi, sono ben lungi dall’essere superate.
Ci sono ancora grandi aree di lavoro da fare e dobbiamo verificarle insieme. Per l’NPA, siamo impegnati nella forma partito come strumento per partecipare alla lotta contro il capitalismo. Siamo anche convinti della centralità del ruolo della classe operaia, del proletariato, in tutta la sua diversità, nel processo rivoluzionario, che implica un certo tipo di strutturazione e di intervento. In particolare, non possiamo accontentarci di dibattiti storici e teorici, di grandi analisi della situazione. Ciò che determinerà la possibilità di costruire una nuova organizzazione è la nostra capacità di guardare all’esterno: l’esperienza politica e le organizzazioni preesistenti hanno il compito di aiutare le masse, gli sfruttati e gli oppressi, a organizzarsi. Dobbiamo rivolgerci ai giovani, alle loro preoccupazioni e alle loro lotte, alle imprese e ai quartieri popolari, e partecipare attivamente ai movimenti femministi, LGBTI, ambientalisti, antirazzisti e antifascisti.
Infine, il rapporto con la NUPES e la preparazione delle prossime elezioni non sono ancora stati discussi. Le tattiche elettorali, secondarie rispetto ai grandi dibattiti strategici, sono comunque un tema caldo quando si tratta di costruire un’organizzazione politica.
Fabien Marcot: È difficile riassumere i temi discussi al forum perché, in un solo giorno di lavoro, la ricchezza dei contributi è stata enorme. A volte ci siamo sentiti un po’ frustrati per non aver avuto il tempo di andare oltre, ma ci ha anche dato una certa motivazione per continuare il nostro lavoro. Dalla stragrande maggioranza dei contributi non ho avuto l’impressione che ci fossero punti di disaccordo su questioni di fondo.
Il testo apparso pochi giorni dopo il forum, sulla criminalità della polizia e le rivolte di quartiere, ne è un esempio. La questione è un po’ diversa per i componenti del forum, per i quali certe questioni possono dipendere da equilibri interni da mantenere o da storie particolari, ma non ho avuto l’impressione che queste questioni siano emerse in questo modo durante il forum. Penso in particolare allo spazio dato ai dibattiti sulla NUPES, che probabilmente alcune persone di Ensemble! avrebbero voluto vedere affrontati più a lungo, o alla predominanza delle lotte anticapitaliste per altri attivisti. Ma alla fine siamo riusciti a superare queste differenze di approccio e il testo dell’appello lo riflette.
Ci sono anche differenze nella pratica su cui dobbiamo lavorare. Al forum, un oratore ha esortato i “vecchi bianchi” a “imparare a tenere la bocca chiusa”. E alla fine questo è stato un momento importante, ampiamente applaudito. Credo che ci sia una crescente consapevolezza di questi temi, anche se ovviamente c’è ancora un po’ di strada da fare. La questione di una cultura politica condivisa è centrale: sufficientemente forte ideologicamente ma anche sufficientemente malleabile da permetterci di costruire con tutti coloro che provengono da contesti politici diversi. Se i membri più giovani si avvicinano a questo nuovo strumento, penso che le cose si possano muovere molto rapidamente, perché questi temi sono molto più evidenti per loro.
La France insoumise è attualmente la principale forza politica di sinistra e come tale è essenzialmente uno dei tre poli del campo politico (gli altri due sono la destra e l’estrema destra). Tra il 2017 e il 2022 ha chiarito le sue posizioni su alcune questioni, in particolare sul razzismo, e si è spostata più a sinistra. Come vedete il rapporto tra la nuova organizzazione politica prevista e La France Insoumise? Perché siete favorevoli all’ipotesi di una nuova organizzazione separata da LFI piuttosto che a un partito che faccia parte di LFI? Da un punto di vista strategico, perché non pensate che l’urgenza della situazione attuale sia quella di rafforzare e strutturare la forza politica di sinistra più capace di prendere il potere?
Pauline Salingue: L’NPA ha preso atto positivamente dell’evoluzione di LFI nell’ultima fase. Agiamo più spesso sul terreno delle lotte, vediamo meno bandiere tricolori nei cortei dell’LFI e questo è un bene, anche se continuano a cantare la Marsigliese nelle loro riunioni o nell’Assemblea… Di conseguenza, abbiamo potuto stringere legami più stretti e abbiamo partecipato a diverse elezioni locali, comunali e regionali su liste comuni. Abbiamo discusso fino all’ultimo per raggiungere un accordo per le elezioni legislative, ma LFI ha fatto altre scelte, in particolare integrando il Partito socialista nella NUPES, privilegiando il cartello parlamentare rispetto alla costruzione di un’alternativa che rompesse con il capitalismo.
Siamo convinti che non si possa cambiare il mondo senza prendere il potere. Ma le recenti esperienze di Syriza e di Podemos hanno dimostrato che non basta vincere le elezioni per rompere con il capitalismo. Questo è ciò che ci insegna la storia delle rivoluzioni. La borghesia non si arrende e ha molte risorse per impedire che un governo progressista attacchi i suoi interessi. Il nostro primo disaccordo con LFI è strategico. La “rivoluzione attraverso le urne” non ci convince. Crediamo che ci sarà una resa dei conti con la borghesia e che la si stia preparando. Questo scontro assumerà sicuramente la forma di un confronto con le istituzioni con cui le masse si stanno già confrontando. Per usare la vecchia formula, non si può costruire un’altra società senza distruggere la vecchia macchina statale legata al capitalismo.
Questo porta a un secondo disaccordo sul tipo di organizzazione che dobbiamo costruire. La struttura gassosa di LFI ha dimostrato la sua efficacia nei momenti di slancio elettorale, per le campagne elettorali. Ma questo è quanto. La natura delegata, intimamente legata a un funzionamento non democratico, ha fatto sì che nelle grandi prove di lotta sociale che abbiamo appena vissuto contro Macron, dal movimento dei Gilet gialli alle rivolte di quartiere, dagli scioperi contro le riforme pensionistiche alle lotte durante il lockdown, LFI abbia avuto un ruolo istituzionale, certo, ma marginale nella strutturazione dei movimenti. Ad esempio, sarebbe stato utile se le decine di migliaia di attivisti che hanno agito durante le elezioni avessero coordinato i loro sforzi per bloccare il paese dal 7 marzo in poi.
A ciò si aggiunge il fatto che LFI non è un’organizzazione molto democratica. L’opposizione e il disaccordo non sono strutturati e la leadership non li tollera. Questo è un problema importante perché una leadership forte può ottenere legittimità solo attraverso la convinzione e il dibattito democratico, e perché la gestione del disaccordo e del pluralismo sono condizioni necessarie per l’unità e la costruzione di strumenti di massa. Ciò implica un controllo collettivo da parte degli attivisti, in particolare sui rappresentanti eletti. Con il pretesto dell’efficienza – di solito elettorale o istituzionale – le decisioni vengono prese da un piccolo gruppo. Alla fine, tutto questo ci impedisce di coinvolgere altre correnti e di lavorare per l’autoemancipazione.
Fabien Marcot: A titolo personale, sono stato un attivista del Parti de Gauche per alcuni anni (prima della France insoumise) e ricordo come l’uso del termine “islamofobia” fosse semplicemente bandito, come la polizia “repubblicana” fosse sistematicamente difesa e le rivolte nei quartieri al massimo guardate da lontano. Poi, il 10 novembre 2019, LFI è stato l’unico partito della sinistra istituzionale a manifestare contro l’islamofobia. Dobbiamo quindi riconoscere che la loro leadership ha fatto molta strada. Questo è un fatto molto positivo ed è soprattutto il frutto di anni di lotta da parte delle persone direttamente interessate. Non possiamo che rallegrarcene. La France insoumise è il partito di sinistra che ha riunito le classi lavoratrici, i giovani e i quartieri su scala più ampia. Ma nei sette anni della sua esistenza, la totale mancanza di democrazia, il comportamento autoritario dei suoi leader e il suo elettoralismo hanno dimostrato che questo strumento è stato concepito come uno strumento elettorale, istituzionale e mediatico, piuttosto che come uno strumento utile per la vita quotidiana, concepito come un quadro di emancipazione e coinvolgimento popolare.
Si tratta di questioni fondamentali per noi. La questione della democrazia è essenziale, perché è ciò che permette il coinvolgimento e l’emancipazione. Non capisco quindi cosa significhi costruire un’organizzazione all’interno della LFI, che non è né una coalizione di partiti né un’organizzazione democratica. Come possiamo sperare di fare progressi su questioni su cui non siamo d’accordo, se non attraverso lotte di potere informali o addirittura personali? Non c’è niente di sano in questo. D’altra parte, abbiamo visto al momento delle elezioni legislative che l’assenza di un polo radicale coerente ha fatto pendere la bilancia verso la destra di LFI piuttosto che verso la sua sinistra. Data l’attuale posta in gioco, non credo che possiamo accontentarci di questa situazione, e quindi dobbiamo riuscire a creare una forza a sinistra di LFI che possa lavorare su alleanze – nelle azioni o a livello elettorale – ogni volta che sia possibile. Ma che sappia anche essere critica quando necessario e avanzare altre proposte, perché sono necessarie.
Florence Ciaravola: Se è vero che LFI ha chiarito le sue posizioni sul razzismo e si è spostata più a sinistra, non è così su tutti i temi. È vero sulle questioni sociali, ambientali e antirazziste, il che è importante. Non è così su altre questioni come il femminismo, come dimostra la vicenda Quatennens (Adrien Quatennens, deputato e ex coordinatore nazionale di LFI, condannato per violenza ai danni della moglie nel dicembre scorso, ndt), o – e questo è altrettanto grave – le questioni militari, regionali/regionaliste o di solidarietà internazionale, come dimostra la questione degli uiguri o la gestione della guerra in Ucraina: LFI è assente dalle mobilitazioni e dalle attività a sostegno della resistenza armata e non armata del popolo ucraino. LFI è davvero “la forza politica più a sinistra” della NUPES? Questo non è il caso in tutti i settori ed è quindi molto discutibile (e discusso all’interno di Ensemble!). In ogni caso, il nostro progetto è distinto da quello di LFI.
E sono d’accordo con la precisazione: vincere le elezioni, che è l’obiettivo di LFI, non è sinonimo di prendere il potere, e per trasformare la società siamo a favore di una rivoluzione democratica e di una strategia di autogestione.
Durante l’ultima campagna elettorale, LFI ha presentato un programma di rottura con la logica neoliberista, che ha attirato un elettorato ampio e variegato e ha alimentato la speranza che un altro mondo sia possibile e a portata di mano. Ci sono tutte le ragioni per credere che l’attuazione di un simile programma porterebbe a un radicale cambiamento sociale ed ecologico. Quali sarebbero le differenze ideologiche e politiche fondamentali tra la nuova organizzazione politica in costruzione e LFI?
Florence Ciaravola: L’attuazione del programma di LFI e, più in generale, della NUPES sarebbe un grande passo avanti, in molti settori, ma non in tutti. Avremmo ragione di sostenerne l’attuazione, ma in totale indipendenza, mantenendo il corso di una trasformazione radicale che articola anticapitalismo e autogestione, femminismo ed ecologia, antirazzismo e solidarietà internazionale con i popoli in lotta, dalla Palestina all’Ucraina, e più in generale i diritti delle minoranze e dei popoli all’autodeterminazione. Converrete che questo non è né il progetto LFI né il progetto NUPES.
Pauline Salingue: Ho già dato alcuni elementi di risposta. Certo, molte delle misure de L’Avenir en Commun (il programma elettorale presentato da Mélenchon e dalla LFI, ndt) erano simili a quelle del programma di Philippe Poutou, il candidato presidenziale del NPA. Tuttavia, il programma di LFI rimane timido riguardo alle necessarie incursioni nella proprietà privata e non fa alcun passo in avanti per quanto riguarda l’essenziale socializzazione dei settori chiave dell’economia (energia, trasporti, banche, prodotti farmaceutici). Come possiamo sperare di cambiare la vita, di organizzare la svolta ecologica, senza riprendere il controllo sulla produzione? Questo è un vero dibattito che vogliamo fare con il resto della sinistra politica.
Un altro punto di scontro: le questioni internazionaliste. Per molti aspetti, ci siamo distaccati dalla concezione che la dirigenza della LFI aveva del posto della Francia nel mondo. Siamo fermamente impegnati nell’internazionalismo. Per noi questo significa opporsi con forza all’imperialismo francese, aprire le frontiere e rifiutare il campismo mostrando solidarietà con tutti i popoli oppressi, indipendentemente dall’imperialismo che li attacca.
Tutte queste posizioni sono legate ad altri disaccordi, anche se c’è stata un’evoluzione positiva, in parte dovuta alla pressione dello stato autoritario, sul ruolo della polizia e della giustizia. LFI non mette in discussione l’apparato statale, propone di cambiarlo profondamente, ma senza capire che il confronto con esso è inevitabile.
Fabien Marcot: A Rejoignons-nous abbiamo redatto un “Manifesto per una nuova organizzazione politica rivoluzionaria, democratica e pluralista” [qui in francese], il cui obiettivo è quello di essere messo nel piatto comune e discusso. Ma, ovviamente, non spetta a Rejoignons-nous, né a nessuno dei componenti del forum, anticipare l’aspetto di un futuro progetto di organizzazione politica, che resta da costruire “dal basso”. Detto questo, è evidente che ci sono diverse differenze di approccio tra LFI e gran parte del movimento sociale e delle aspirazioni popolari. LFI, nonostante quello che sembra dire, promette che “un altro mondo è possibile”, ma non ha intenzione di rompere con il sistema capitalista. Le proposte contenute nel suo programma sarebbero ovviamente grandi progressi sociali, ma sono più o meno ciò che François Mitterrand ha attuato nel 1981, ossia un rilancio keynesiano e la nazionalizzazione di alcuni settori dell’economia. Ma i lavoratori che si alzano ogni mattina per andare a lavorare continuerebbero a lavorare quasi con la stessa intensità, per una retribuzione non molto più alta, senza avere alcuna voce in capitolo sulle loro condizioni di lavoro, sugli scopi della loro attività, sugli stipendi dei loro dirigenti, ecc.
Anche le posizioni internazionali della LFI presentano gravi problemi, già discussi da Florence e Pauline. Le loro proposte istituzionali si limitano essenzialmente a una costituente i cui contorni rimangono molto vaghi: il RIC (Référendum d’initiative Citoyenne), il referendum abrogativo… assomigliano più a una V Repubblica bis che a una rottura radicale con il sistema attuale.
Questa questione della democrazia, dell’autogestione, dell’appropriazione da parte di tutti degli strumenti di produzione in tutti i settori economici, nei servizi pubblici, ma anche nei luoghi di potere, è in definitiva una differenza importante con il progetto della LFI, e questo purtroppo non sorprende molto viste le loro pratiche interne… Tra l’affare Quatennens e il posto dato agli attivisti locali nelle elezioni legislative, c’è un divario tra le aspirazioni popolari – che sono state espresse anche dagli attivisti di LFI – e la leadership. E purtroppo non c’è la possibilità interna di discutere democraticamente di questi temi. Questo è un problema quando si aspira a costruire “un altro mondo”, no?
Nel vostro appello scrivete che la nuova “organizzazione politica potrà essere presente nell’arena elettorale e istituzionale”, ma che “il suo centro di gravità saranno le piazze, i luoghi di lavoro, i quartieri”. Ma potremmo pensare, anche sulla base delle elezioni presidenziali e legislative che si terranno in Francia nel 2027, che le elezioni siano un momento chiave della lotta politica e una leva per costruire una forza di massa. Tuttavia, leggiamo nel vostro appello una sorta di sfiducia: voi “potreste” partecipare alle elezioni, ma non sembra essenziale. Potreste spiegare meglio il vostro rapporto con le elezioni?
Pauline Salingue: Nelle elezioni, la maggioranza delle persone vota spesso contro i propri interessi. Ci sono calcoli, considerazioni personali, voti “utili”… Senza contare i milioni di persone che non si recano alle urne. Le elezioni sono certamente un momento importante per le lotte politiche, soprattutto tra i diversi partiti. Ma sono relativamente poco un momento di politicizzazione. Siamo convinti che non è durante le elezioni che le cose si muovono, che le coscienze delle persone si evolvono.
Questo è uno dei grandi contributi della rivoluzionaria Rosa Luxembourg. È stata la prima a teorizzare che è nell’azione, nella lotta extraparlamentare, quando milioni di persone iniziano ad agire, che la comprensione che dobbiamo rompere con questo sistema progredisce a tutta velocità. Per questo crediamo che il baricentro del partito che vogliamo costruire debba essere innanzitutto nelle aziende, nei quartieri e nei luoghi di studio, dove il nostro campo sociale vive e si organizza per lottare.
Tuttavia, crediamo che sia importante occupare ogni terreno, compreso quello delle elezioni. Inoltre, riteniamo che possa essere molto utile avere rappresentanti anticapitalisti eletti nelle istituzioni. Da questo punto di vista, molti parlamentari della LFI hanno dimostrato che i rappresentanti eletti possono svolgere un ruolo molto efficace nell’agitare il cambiamento e quindi contribuire ad alzare il livello di confronto con chi è al potere.
Fabien Marcot: È buffo, sto quasi leggendo questo passaggio al contrario! Molti attivisti della sinistra radicale provengono da un contesto in cui la partecipazione alle elezioni o alle istituzioni è… complicata e raramente presa sul serio. A questo proposito, vorrei rimandare a un testo di Laurent Levy che avete pubblicato su Contretemps [qui in francese] e che personalmente ho trovato molto utile. Mi sembra quindi che questo passaggio dell’appello al forum affermi che sì, vogliamo prendere sul serio l’“arena elettorale e istituzionale”, ma questo non significa che possa diventare l’alfa e l’omega della nostra strategia politica, come nel caso dei partiti della NUPES, le cui organizzazioni spesso non sono altro che “macchine elettorali”.
Le elezioni sono, come tu dici, “un momento chiave della lotta politica” – in ogni caso un momento di intensa politicizzazione in cui si cristallizzano una serie di cose, nel bene e nel male. Quindi sì, dobbiamo essere presenti. A questo proposito, non possiamo permetterci di trascurare la necessità di una riflessione approfondita sul ruolo degli eletti, siano essi all’opposizione o in maggioranza. Ma una forza politica non può concentrarsi solo sulle prossime elezioni, determinando la sua strategia, le sue azioni e i suoi discorsi con l’unico obiettivo di vincerle, anche se questo conta. Le sue azioni quotidiane, ciò che organizza in termini di formazione, dibattiti, sviluppo collettivo, solidarietà concreta, autodifesa e autogestione, battaglie ideologiche e interventi sui media, conducendo lotte a livello locale, nazionale e internazionale, sono altrettanto importanti. La sua presenza a fianco o nelle lotte è centrale, da un lato per sostenerle, ma anche perché è da lì che nasce la consapevolezza della necessità di un’azione collettiva, ed è da lì che vogliamo partire.
Florence Ciaravola: La vita politica francese è ancora sovradeterminata dal quadro istituzionale della Quinta Repubblica, dal presidenzialismo, dalla personalizzazione e dall’elettoralismo. Nessun altro paese dell’UE ha un esecutivo con un profilo così autoritario. Tutto ciò contribuisce alla crisi della rappresentanza politica, alla quale dobbiamo dare risposte alternative, tra cui altre pratiche politiche basate sui cittadini e sull’autogestione, il rifiuto dell’elettoralismo e la volontà di prendere sul serio i processi elettorali, senza farne il fulcro dell’attività di una nuova forza politica.
Per quanto riguarda il rapporto con le istituzioni della Quinta Repubblica, LFI, PCF, NPA e altre organizzazioni politiche della sinistra radicale e/o anticapitalista concordano sulla necessità di trasformare le istituzioni statali. Nel vostro appello, sembrate dichiarare la vostra opposizione alle istituzioni e allo stato. Potete spiegarci meglio? Come si concretizzerebbe concretamente questa opposizione? A quale tipo di istituzioni e di stato aspirate? E con quali mezzi concreti?
Pauline Salingue: La tradizione marxista non esprime l’aspirazione a costruire un nuovo stato, ma a una società senza classi e senza stato, una libera associazione di produttori. Questo è un elemento chiave di un progetto di emancipazione della società: lo stato, in quanto corpo separato dalla società, è completamente legato alle oppressioni estremamente varie che sono esistite nelle diverse società. La sua scomparsa è una condizione per la felicità umana.
Questo non significa che non ci sarebbero decisioni collettive, né pianificazione, né scelte strategiche, in particolare nei campi dell’ecologia, della ricerca, delle campagne militanti contro l’oppressione e così via. Ma tutti parteciperebbero, grazie a una drastica riduzione dell’orario di lavoro, liberando tempo per l’organizzazione, la distribuzione dei compiti, la discussione su cosa vogliamo produrre e come, l’accesso a culture diverse, senza che i compiti siano assegnati a persone distaccate dalla società.
Questa visione della società si concretizza nelle lotte attuali. Man mano che la crisi ecologica ed economica si aggrava e il fascismo diventa un possibile ricorso, le mobilitazioni si confrontano sempre più con uno stato sempre più oppressivo e violento e sviluppano pratiche che si oppongono alla logica dello stato: il dibattito contro la delega di potere, la connessione permanente tra riflessione e azione, e così via.
In un processo rivoluzionario, una mobilitazione su larga scala che affronti questo stato, le strutture di auto-organizzazione, gli inizi dell’autogestione, saranno organizzati nei quartieri e nei luoghi di lavoro, e si coordineranno per costruire un’altra legittimità democratica, opposta a quella dello stato borghese.
Fabien Marcot: Come è stato sottolineato, è chiaro a molti a sinistra, dall’NPA ai Verdi dell’EELV, alla LFI e al PCF, che le istituzioni della Quinta Repubblica limitano la democrazia, quando non la negano del tutto – in particolare dando poteri esorbitanti al presidente della Repubblica. Ma se andiamo oltre, gli approcci sono molto diversi. Anche all’interno della sinistra radicale e dei movimenti sociali, dove la questione della democrazia è sempre più presente. È chiaramente un tema che deve essere approfondito se vogliamo costruire una forza politica comune.
Noi di Rejoignons-nous non abbiamo avanzato, in senso stretto, alcuna proposta di nuove istituzioni o di modalità concrete per realizzarle – non è questo il ruolo di questo collettivo. Ma è chiaro che la questione della democrazia – e non solo nelle istituzioni – la questione dell’autogestione, sono al centro del nostro approccio all’organizzazione della città, del lavoro, delle scelte ecologiche, della polizia, ecc.
Florence Ciaravola: Dobbiamo pensare a una nuova architettura istituzionale, in una prospettiva di autogestione. Ciò significa combinare il mantenimento e l’estensione dei servizi pubblici senza rafforzare i poteri dello stato – siamo favorevoli alla sua scomparsa – con l’estensione dei diritti dei lavoratori e dei cittadini attraverso una democrazia attiva radicata nelle regioni (assemblee dei cittadini). Attingiamo a pratiche alternative come il bilancio partecipativo di Porto Alegre e il municipalismo del Rojava.
Quali prospettive ritenete che questo forum abbia aperto? Come vedete i prossimi passi? Nel vostro appello avete parlato di incontri locali, e il 2 luglio si è concluso con un appello per realizzare forum locali in tutte le città. Qual è l’obiettivo di questo appello ai forum locali? Quale ne sarà la perimetrazione? E pensate che queste discussioni e questi preparativi possano presto portare alla costruzione di una nuova forza politica?
Fabien Marcot: Per noi è molto importante che le discussioni inizino a livello locale e che da lì scaturiscano i dibattiti nazionali, e non viceversa. È vero che avevamo già chiesto l’organizzazione di forum locali prima del forum nazionale, ma purtroppo siamo stati un po’ troppo ottimisti sui tempi, e le poche settimane che intercorrevano tra l’appello nazionale e la data del forum erano ovviamente troppo poche per organizzarsi localmente in buone condizioni. E poi, credo che in diversi luoghi ci fosse anche bisogno di questo impulso nazionale per partire. La buona notizia è che i compagni di diverse città hanno già iniziato a preparare i forum locali per l’autunno. In un luogo sono stati organizzati da attivisti dell’NPA, in un altro da Ensemble, in un altro ancora da Rejoignons-nous o da ex-LFI.
Un nuovo testo che definisce i dettagli di questa seconda fase è attualmente in fase di elaborazione da parte del gruppo del forum, quindi non posso rivelarne il contenuto prima della sua pubblicazione, ma l’idea generale è quella di iniziare a porci una serie di domande sull’organizzazione che vogliamo costruire e su ciò che vogliamo fare insieme. L’obiettivo è poi quello di organizzare un altro forum nazionale verso novembre, in modo che questa volta le discussioni locali possano davvero servire da base per il dibattito.
Nel suo manifesto, Rejoignons-nous propone di organizzare un grande processo costituente per gettare le basi di una futura organizzazione politica, e stiamo anche mettendo nel piatto comune l’idea che le elezioni europee sarebbero una buona occasione per elaborare collettivamente un progetto, spalancare le porte e le finestre alle candidature dei movimenti sociali e farci conoscere. Naturalmente non siamo ancora a questo punto, ma si tratta di questioni che sorgeranno inevitabilmente a livello locale e nazionale. Come potete vedere, c’è ancora molto lavoro da fare, ma è anche così eccitante e necessario!
Florence Ciaravola: L’organizzazione di forum locali o dipartimentali è infatti essenziale per un processo dal basso verso l’alto, aperto a tutte le parti interessate e che vada oltre i soli attivisti dell’NPA, di Rejoignons-Nous o di Ensemble!
Attraverso gli scambi e le pratiche comuni intorno alle campagne decise insieme, potremo verificare le convergenze e individuare le questioni che vengono dibattute e che devono essere oggetto di una riflessione approfondita. Questo ci permetterà di costruire questo processo su basi solide, senza fretta, e di tradurlo nella fondazione di una forza politica comune della sinistra alternativa. Inizialmente, perché non in forma federativa e cooperativa? Il successo del nostro processo non solo darebbe speranza e prospettiva, ma sarebbe anche uno degli elementi della lotta contro la minaccia neofascista.
Pauline Salingue: Partiamo dalla fine: ci sarà una nuova forza politica a breve termine? Non lo so. In realtà, la domanda a cui vorremmo rispondere non è tanto quando, ma piuttosto come? Come possiamo contribuire a creare lo strumento di cui parlavamo all’inizio della nostra intervista? Un partito militante, unitario e rivoluzionario, che raccolga e accumuli esperienze, che si stabilisca nei luoghi di lavoro e nei quartieri e che cambi quotidianamente i rapporti di forza sociali e politici. Se è questo che vogliamo costruire, allora non può essere una semplice fusione delle tre forze (Rejoignons-nous, Ensemble!, NPA) che hanno lanciato questo appello.
Innanzitutto perché mancano alcune correnti che si collocano nel campo dell’anticapitalismo non settario, che integrano i contributi dell’ecosocialismo e con le quali lavoriamo quotidianamente nelle mobilitazioni, nei sindacati, nei vari collettivi… Potremmo pensare a organizzazioni che oggi fanno parte di LFI, come la GES (Gauche écosocialiste), o a correnti che derivano dal comunismo libertario. Per non parlare delle migliaia di persone, non ancora organizzate politicamente, che cercano prospettive politiche basate sull’esperienza delle loro lotte.
Ma al di là di questo, se siamo seri nei nostri obiettivi, sappiamo già che una nuova forza non può emergere da incontri di qualche centinaio di compagni a Parigi o tramite conferenze online. La costruzione di una tale forza politica non può essere solo un processo verticale. Soprattutto, deve essere un processo dal basso, con un continuo andirivieni tra gli incontri locali e la forma nazionale che potrebbe assumere. E dobbiamo costruire passo dopo passo non solo una base politica, ma soprattutto una pratica attivistica comune che ci permetta di proiettarci nell’azione. In questo gioco, la questione del ritmo bilancia l’urgenza di rispondere alla difficile situazione politica in cui ci troviamo e la necessità di non perdere nessuno lungo il cammino.
Il forum a cui abbiamo partecipato è stato quindi solo il primo passo. In primo luogo, ci ha permesso di verificare che le nostre tre organizzazioni hanno una base sufficientemente comune per continuare questo processo. Ma soprattutto ha dimostrato che c’è un’eco reale nel nostro campo, tra coloro con cui combattiamo quotidianamente. Più di 400 persone hanno firmato l’appello nel giro di pochi giorni, la maggior parte sindacalisti, attivisti di associazioni e collettivi, coinvolti in un’ampia gamma di reti di lotta.
Complessivamente, quasi 200 persone hanno partecipato al forum del 2 luglio a Parigi, il che è un buon inizio. Il forum è stato l’occasione per esprimere la nostra solidarietà con la rivolta dei giovani nei quartieri popolari attraverso un primo testo scritto nell’urgenza della situazione. Il comitato direttivo del forum sta elaborando un secondo testo che riassume le discussioni che si sono svolte, le domande che hanno preoccupato tutti i partecipanti e le prime risposte che abbiamo iniziato a formulare. Ora dobbiamo lanciare la seconda fase, per avviare il processo dei forum locali, il più vicino possibile a coloro che condividono la necessità di una rottura radicale con il sistema capitalista e la mancanza di una forza capace di riunirci su larga scala.
Questi forum locali sono quindi di grande importanza, perché dovrebbero permetterci di avviare i primi raggruppamenti militanti e, attraverso le discussioni che li condurranno, di sviluppare una strategia politica che possa avviare una dinamica a livello locale e nazionale. A questo proposito, il testo di sintesi del forum del 2 luglio, il testo generale dell’appello e anche il testo di solidarietà con i quartieri popolari devono servire da guida e da proposta per il dibattito nei forum locali. Possono cogliere questa opportunità per iniziare a formulare una politica unitaria e rivoluzionaria di resistenza e offensiva, attraverso la costruzione di un progetto politico e di campagne d’azione. È un compito enorme, ma non partiamo da zero: abbiamo la ricchezza e la diversità dell’esperienza militante a cui attingere.
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Illustrazione: “Manial”, Hamed Abdalla, 1933. Per gentile concessione di Samir Abdalla.
Note
[1] Omar Slaouti, un attivista dei quartieri popolari che ha contribuito a introdurre questo forum e ha accettato la nostra offerta di un controinterrogatorio, alla fine non ha potuto partecipare.
[2] Vedi online: https://www.forumalternative.org/contre-les-crimes-policiers-les-violences-detat-solidarite-avec-la-revolte-de-la-jeunesse-et-des-quartiers-populaires/
[3] Vedi online: www.egalité.org.
[4] Laurent Lévy, “L’électoralisme et ses images spéculaires”, 29 luglio 2020, https://www.contretemps.eu/critique-electoralisme-laurent-levy/.