di Fabrizio Burattini
E’ morto ieri, 25 giugno 2023, Angel Hugo Blanco Galdós, leader della sinistra peruviana ed ex deputato della Repubblica. Ce lo hanno comunicato ieri i figli.
Hugo Blanco Galdós aveva 88 anni, perché era nato a Cuzco il 15 novembre 1934.
La notizia di un’indigena che era stata marchiata a fuoco sulla natica dal padrone del latifondo in cui viveva segno l’infanzia di Hugo e ne condizionò le scelte di vita.
Più grande, nel 1954 si recò a La Plata, in Argentina, per studiare agronomia e là conobbe il movimento trotskista, abbandonò gli studi e andò a lavorare come operaio in una fabbrica di confezioni di carne, dove fece le sue prime esperienze sindacali.
Durante il suo soggiorno in Argentina, il 16 settembre del 1955, si verificò il colpo di stato del generale Eduardo Lonardi contro Perón e Hugo Blanco partecipò alla resistenza al golpe.
Tornato in Perù aderì al Partido Obrero Revolucionario (POR) di Lima e si trasferì di nuovo a Cusco, il suo dipartimento natale, dove sposò Vilma Valer Delgado, originaria di Apurimac, con la quale ebbe la sua prima figlia.
Là iniziò la sua militanza nei movimenti e nei sindacati contadini, dove arrivò ad essere eletto nel 1962 segretario generale della Federazione Contadina Provinciale de La Convención, la zona di Cuzco.
Da quella postazione Hugo Blanco chiamò le forze della sinistra peruviana a sostenere le occupazioni di terre da parte dei contadini. Nacque così, su sua iniziativa, il Fronte della Sinistra Rivoluzionaria (FIR), di cui uno dei principali leader fu Juan Pablo Chang Navarro, che anni dopo morì con Che Guevara in Bolivia.
Nel 1962, durante una rivolta contadina, l’hacienda di Santa Rosa a Chaupimayo, di proprietà della famiglia Romainville, si organizza in autogestione. I contadini si organizzano in brigate di autodifesa per protestare contro i proprietari terrieri per i loro abusi.
Il governo rispose a questa radicalizzazione con una violenta repressione in tutta l’area. Così, diversi sindacati scelsero di difendersi e incaricarono Blanco di organizzare e guidare un’autodifesa armata. Nel maggio 1963 la colonna di autodifesa contadina “Brigada Remigio Huamán” (dal nome di un contadino ucciso dalla polizia), guidata personalmente da Hugo Blanco, si scontra con la polizia sopraggiunta a garantire il diritto di proprietà dei latifondisti. Nello scontro periscono tre poliziotti.
Hugo viene così arrestato e minacciato di pena di morte.
Si sviluppa così una campagna internazionale per salvargli la vita “Hugo Blanco non deve morire!” (di cui sono reperibili i materiali su “Bandiera rossa”, il periodico dei trotskisti italiani). La campagna, che raccolse tra le altre migliaia le adesioni di Amnesty International, di Jean-Paul Sartre, di Simone de Beauvoir, e di Mario Vargas Llosa, riuscì a far commutare la condanna in 25 anni di carcere.
Hugo restò in carcere otto anni, nel bagno penale dell’isola di El Fronton, fino all’amnistia concessa dal presidente generale Juan Velasco Alvarado nel 1970, ma fu esiliato in Messico, e poi in Argentina (dove venne arrestato), infine in Cile.
Durante la sua permanenza in Cile, sotto il governo di Salvador Allende, Hugo collabora con il movimrnto dei “cordones industriales”: Dopo il golpe di Pinochet dell’11 settembre 1973, riuscì a sfuggire alla repressione che colpì i numerosissimi rivoluzionari di altri paesi latinoamericani che si erano rifugiati in Cile, rifugiandosi nell’ambasciata svedese, nella quale ottenne l’asilo politico nel paese scandinavo.
Nel 1976, dopo la crisi del governo militare guidato dal generale Francisco Morales Bermudez, Blanco riuscì a tornare in Perù, dove si candidatò all’Assemblea Costituente nelle liste del Frente Obrero Campesino, Estudiantil y Popular, FOCEP (Fronte dei lavoratori, dei contadini, degli studenti e del popolo).
Hugo Blanco riesce così a parlare a più riprese alla televisione, negli spazi gratuiti consentiti dalla campagna elettorale. E lì denuncia, senza mezzi termini, l’esorbitante aumento dei prezzi dei generi alimentari di base e fa appello alla partecipazione ad uno sciopero generale indetto dalla Confederazione Generale dei Lavoratori del Perù (CGTP).
Ciò spinge il governo ad espellerlo di nuovo. Ma, a seguito della sua elezione alla Costituente con il voto più alto tra i candidati della sinistra, gli è stato permesso di tornare in Perù.
Successivamente, sarà deputato al parlamento (1980-1985) per il Partido revolucionario de los trabajadores peruanos e membro della Commissione per i diritti umani della Camera dei deputati.
Fu poi di nuovo eletto come senatore nel 1990 per Izquierda Unida, ma il suo mandato è stato interrotto violentemente dopo l’ “autogolpe” di Alberto Fujimori nel 1992.
Nel 1994, quando viveva temporaneamente in Messico, la ribellione zapatista lo indusse a riflettere sul ruolo strategico delle popolazioni indigene.
Il mensile da lui diretto “Lucha Indígena” ha pubblicato numersi articoli su vari temi legati alle lotte indigene e contadine. Autore di vari libri (segnaliamo Terra o morte” del 1971 e Noi, gli indios nel 2017).
Per me, come per molti altri allora giovani trotskisti, è stato un esempio, un punto di riferimento. Quando verso la metà degli anni ’70 in Francia ebbi l’onore di incontrarlo, di stringergli la mano e di ascoltarlo, fu un po’ come aver incontrato Guevara.
Oggi, di fronte alla notizia della morte, ci resta comunque il suo esempio indelebile.