Proprio 10 anni fa, nel maggio del 2013, un certo numero di compagne/i scelse di interrompere la loro militanza nell’organizzazione “Sinistra Critica” e di dare vita ad un’altra organizzazione “Sinistra Indipendentista Sarda – Movimento Anticapitalista”, più conosciuta attraverso il suo suggestivo acronimo SIS-MA.
In quel periodo, l’organizzazione italiana Sinistra Critica, peraltro, si dibatteva in un complesso e divisivo dibattito interno che sfociò in una scissione tra “Sinistra Anticapitalista” e “Communia”. Dunque, quella che era l’attrazione del progetto di Sinistra Critica si stava drasticamente affievolendo e tutto questo incoraggiava le compagne e i compagni sardi a fare le loro scelte.
Ma quelle scelte non erano tanto una soluzione di ripiego di fronte al dissesto del progetto italiano. Quelle scelte si basavano sulla percezione della necessità di parlare ad un disagio a cui nessuno dava risposte.
Si trattava, per SISMA, di dare vita ad un’azione politica che si radicasse e avesse la sua ragion d’essere nel diritto della Sardegna all’autodeterminazione, alla sovranità e all’indipendenza.
SISMA si dichiarava marxista e anticolonialista, denunciando i secoli di colonizzazione violenta da parte dell’Italia (prima “sabauda”, poi “risorgimentale”, e infine fascista), colonizzazione però continuata, seppure con forme nuove, fatte di blandizie e di brutalità, di promesse e di menzogne nella culla consolatoria della costituzione del 1948 (“La repubblica è una e indivisibile”).
SISMA manteneva infatti l’impostazione marxista e rivoluzionaria che alcuni dei suoi fondatori avevano maturato militando in Sinistra Critica, ma aveva tra i suoi punti di riferimento anche quel Partito Comunista di Sardegna, che elaborò indirizzi programmatici del tutto avversi al centralismo del PCI. In quel programma si immaginava la Sardegna come repubblica autonoma e sovrana, parte costituente di una repubblica socialista federativa più ampia.
Il PC di Sardegna fu sciolto nel 1944 sotto le pressioni centraliste del PCI togliattiano.
Da allora la bandiera dell’autodeterminazione sarda era stata affidata ad interpreti a tratti spuri e, comunque, di ispirazione ideologica la più diversa.
La componente di matrice marxista è comunque riemersa più volte nel corso dei decenni. Si pensi all’esperienza di Su Populu Sardu negli anni ’70 e – nonostante l’impostazione a tratti settaria – a Manca pro s’Indipendentzia nel primo decennio di questo secolo. E ancor oggi, pur nel quadro di un indipendentismo che ha perso la spinta propulsiva del decennio 2003-2013, la sinistra di matrice anticolonialista conta alcune organizzazioni politiche attive nelle lotte come Liberu e Caminera Noa.
Il progetto di SISMA, invece per una serie di ragioni legate anche a fattori personali come l’emigrazione dalla Sardegna, si arenò e quell’organizzazione nei fatti si sciolse.
Si è trattato di uno dei tanti fallimenti della sinistra anticapitalista, segnata da sempre da un eclettismo culturale e da una scarsa capacità di mettersi in “connessione sentimentale” con il popolo.
Come si sa, in questo mondo in cui tutto ricerca la “crescita”, il “profitto”, la ricchezza, tutto viene valutato e gerarchizzato in base agli stessi parametri. Così, la Sardegna, che è una delle ultime regioni per “contributo al PIL nazionale”, da questo governo, ma anche da tutti i precedenti governi di ogni colore, viene trattata come un territorio di risulta, a disposizione non di chi ci abita ma della politica nazionale italiana, come un “cortile dietro casa” nel quale fare quelle cose che non si possono fare nel “giardino di fronte”.
Così, complice la delicata posizione geografica dell’isola, la Sardegna è stata ritenuta il terreno di passaggio dei giganteschi tubi della SNAM, per portare il gas fossile dall’Algeria al continente, le baie di Porto Torres e di Portovesme i siti per collocare due navi rigassificatrici, Porto Canale e Santa Giusta di Oristano i luoghi più adatti per costruire impianti stabili di rigassificazione, tutti impianti che si prevede di interconnettere con 400 chilometri di metanodotti.
E il popolo sardo e la sua isola non sono solo insidiati dalla rigassificazione ma anche dalla militarizzazione del territorio.
Proprio in questi giorni, come avviene periodicamente da anni ma con frequenza crescente, la Sardegna ancora una volta vivrà la sua guerra simulata, con reparti militari di numerosi paesi della NATO in azione nei poligoni di Teulada, Quirra e Decimomannu e con una flotta sempre “atlantica” a mimare operazioni di sbarco.
Queste dimostrazioni di forza militare, oltre ad avvelenare le acque e il terreno sardi con i loro esplosivi, i loro missili, i loro proiettili, il loro uranio impoverito, mostrano in modo sfacciato e vergognoso il loro totale disinteresse per l’integrità e la dignità della gente sarda. Contro questo stato di cose il 2 giugno a Cagliari si terrà un corteo “Contro l’Occupazione Militare della Sardegna” promosso dal movimento A Foras.
E, come se non bastasse, questa volta in nome di una “transizione ecologica” pensata e gestita a beneficio del profitto delle multinazionali energetiche, proprio pochi giorni fa, il sindaco di Villanovaforru, nel sud dell’isola, a metà strada tra Oristano e Cagliari, ha ricevuto l’avviso dal ministero dell’Ambiente del progetto già avviato da due di multinazionali della “transizione ecologica”, di installare sul territorio di quel comune e su quello di altri centri vicini numerose gigantesche pale eoliche (oltre 200 metri di altezza), espropriando terreni agricoli e devastando irrimediabilmente il paesaggio delle colline della Marmilla, rovinando l’ambiente, le colture, il turismo, e complessivamente un territorio immerso nel verde e ricco di storia.
Nel caso degli agricoltori della Marmilla il “sacro principio della proprietà privata” non vale e, senza neanche consultarli prima, le multinazionali hanno già proceduto ad attivare gli espropri.
Maurizio Onnis, il sindaco di Villanovaforru, nella sua campagna di resistenza contro l’invasione delle multinazionali eoliche, denuncia le complicità dei gruppi dirigenti e della borghesia sarda.
Oggi più che mai ci sarebbe bisogno di un’azione decisa per rilanciare un’azione anticapitalista, anticentralista, ambientalista e antimilitarista. Di provocare un nuovo “sisma” nella politica sarda e italiana.