Comunicato congiunto delle tre organizzazioni politiche Ensemble!, Nouveau Parti Anticapitaliste e Rejoignons-nous
Le tre organizzazioni firmatarie di questo comunicato conducono discussioni con vari collettivi e partiti politici interessati alla prospettiva di costruzione di una nuova organizzazione politica a sinistra e hanno sottoscritto insieme il testo che segue, che è stato pubblicato nel Club di Mediapart.
La battaglia condotta il 19 gennaio contro il progetto Borne-Macron, che ha dato vita a una serie di massicce e combattive giornate di sciopero e manifestazioni indette da un’ ‘intersindacale unitaria, è decisiva. Questa brutale controriforma non mira a migliorare le pensioni, ma a peggiorarle.
Si oppone alla grande maggioranza della popolazione, dei lavoratori e dei giovani. La vittoria è quindi possibile! Metterebbe fine al deterioramento della qualità della vita di milioni di persone e migliorerebbe l’equilibrio sociale e politico dei prossimi anni.
Metteremo tutte le nostre forze in questa battaglia, formando un fronte comune con tutte le forze di sinistra ed ecologiste per sconfiggere questo nuovo progetto distruttivo del governo. È attraverso la mobilitazione generale, in particolare attraverso la costruzione di uno sciopero a lungo termine e a oltranza, che saremo in grado di respingere questo governo.
Contro il progetto Borne-Macron
Ci sono molti argomenti per opporsi a questa controriforma. Il rinvio dell’età pensionabile legale a 64 anni, accompagnato da un allungamento accelerato del numero di anni di contributi per ottenere un’aliquota piena, porterebbe a una riduzione delle pensioni per milioni di pensionati e aggraverebbe ulteriormente le disuguaglianze. Ciò avverrebbe in particolare per le donne, che hanno salari più bassi e carriere più brevi, e per le operaie e gli operai, che hanno un’aspettativa di vita sana più breve.
Questa controriforma distruggerebbe anche i “regimi speciali”, cioè i contratti collettivi legittimamente conquistati e negoziati, e renderebbe gli “anziani” ancora più vulnerabili sul mercato del lavoro.
I cosiddetti progressi presentati dal governo non sono tali: ad esempio, non ci sarà una migliore considerazione del disagio, poiché i principali fattori di disagio (movimentazione di carichi, posture dolorose, vibrazioni meccaniche, agenti chimici pericolosi) sono stati esclusi da Macron nel 2017. L’aumento della pensione minima a 1200 euro è subordinato a una carriera completa (che sarà dunque prolungata). Inoltre, questa pensione minima (corrispondente all’85% del salario minimo) esiste già dalla legge del 2003, che non è mai stata applicata!
Infine, gli argomenti che giustificano la riforma sono falsi: il sistema pensionistico non è in pericolo dal punto di vista finanziario (come afferma il Conseil d’orientation des retraites). In nessun caso i “risparmi” sulle pensioni dovrebbero essere utilizzati per finanziare altre spese pubbliche, come vuole Macron. Questo progetto non risponde ad alcuna necessità demografica o economica.
Come tutte le altre controriforme di questo governo, dalle ordinanze di Macron del 2017 a quella sull’indennità di disoccupazione del 2022, mira ad adattarsi al capitalismo predatorio, ad attaccare la spesa sociale, a incoraggiare la capitalizzazione per aumentare i profitti, a rendere più precari e docili i lavoratori e i pensionati. Non c’è quindi nulla da negoziare nel progetto di legge del governo.
Per opporci a questa controriforma capitalista, dobbiamo essere uniti nell’azione con l’unità sindacale e quella di tutte le organizzazioni della sinistra e dell’ecologia sociale e politica, fino al ritiro del progetto Borne-Macron, ma anche contribuire alla costruzione e alla diffusione di un progetto alternativo.
Per una riforma alternativa al servizio del mondo del lavoro
Chiediamo il pensionamento a 60 anni, una pensione minima pari al 100% del salario minimo, il ripristino dei fattori di disagio eliminati nel 2017 e una gestione democratica delle pensioni come di tutta la assistenza sociale. Insieme vogliamo il ritiro della controriforma di Macron e l’applicazione immediata di queste richieste sociali!
Presentiamo al dibattito anche proposte alternative e all’offensiva. Le pensioni sono un’estensione dei salari. Attraverso i contributi sociali, sono una parte della ricchezza collettiva che deve tornare a chi la produce. Imponiamo che i contributi sociali siano prelevati alla fonte su tutto il plusvalore delle imprese, prima di qualsiasi decisione sui dividendi e sulla distribuzione delle azioni.
Questa riappropriazione completa della ricchezza collettiva non può essere realizzata senza un controllo democratico da parte dei lavoratori sull’aliquota contributiva, la fine della CSG (la contribution sociale généralisée, una tassa “piatta” che grava su tutti i redditi, finalizzata a finanziare la previdenza e l’assistenza, ndt), delle esenzioni e della non compensazione dei contributi sociali, nonché il ripristino delle elezioni per i consigli di gestione della Previdenza sociale da parte del mondo del lavoro.
Chiediamo inoltre un tasso di sostituzione del 75% del salario lordo, che garantisca il mantenimento del tenore di vita, con pensioni indicizzate ai salari. Questo implica il ritorno a 37,5 anni di servizio per una pensione completa e l’abolizione del tasso scontato. Siamo contrari all’idea che la pensione dipenda dal “contributo” individuale di ognuno di noi. All’età di 60 anni, o di 55 per i lavori usuranti che riducono il tempo di permanenza in pensione in buona salute, tutti dovrebbero avere diritto all’aliquota piena. I periodi di studio e di disoccupazione devono quindi essere presi in considerazione. I giovani in formazione devono ricevere un pre-salario, invece di passare anni in una situazione di precarietà.
Chiediamo che venga mantenuto il salario migliore sia per i lavoratori del settore privato che per quelli del settore pubblico. Un progetto di pensionamento equo è inscindibile da un aumento dei salari e dei minimi sociali, da una reale equiparazione dei salari tra uomini e donne, dall’abolizione delle discriminazioni razziste e nei confronti delle/degli invalide/i nelle assunzioni, dalla sicurezza sociale universale o dalla garanzia di mantenere il proprio salario e i propri diritti durante i periodi di formazione e di assenza di lavoro.
Dobbiamo anche ottenere una massiccia riduzione dell’orario di lavoro con relative assunzioni, senza alcuna riduzione del salario, e il diritto di decidere sulle finalità del proprio lavoro. Diciamolo forte e chiaro: il mondo del lavoro è l’unico a produrre ricchezza. Dobbiamo quindi agire per prenderne il controllo, contro i padroni, e per una società giusta e dignitosa.
Per una trasformazione globale del sistema
Questa battaglia sulle pensioni ha anche altre fondamentali poste in gioco democratiche ed ecologiche. Oggi, gran parte dei pensionati vive in condizioni economiche e di salute che permettono alle loro attività (educative, di solidarietà concreta, ecc.), liberamente scelte e non di mercato, di contribuire alla qualità della vita sociale. Costringerli a lavorare più a lungo e renderli più precari prima e dopo il pensionamento indebolisce l’autonomia, i diritti e i poteri di tutti i lavoratori.
Inoltre, ostacola o addirittura impedisce lo sviluppo delle attività dei pensionati, che il più delle volte sono al di fuori delle logiche di mercato e fondamentali per la democrazia e l’ecologia. Il sistema pensionistico, infatti, permette a milioni di persone di smettere di partecipare alle attività produttive più inquinanti, ad alta intensità energetica e che distruggono il clima, e di dedicare il proprio tempo all’autoproduzione e alla cura. È quindi una parte importante della necessaria rivoluzione ecologica, verso un’altra economia, sociale, solidale e democratica, in rottura con il sistema capitalista.
Chiedere di andare in pensione prima, con un reddito migliore, dopo aver lavorato per meno tempo, meno intensamente, in modo più autonomo perché protetti dalla disoccupazione e con nuovi diritti democratici, tutto questo è parte integrante della lotta per un progetto di sviluppo alternativo.
Se vogliamo fermare i disastri sociali e le catastrofi ecologiche, se vogliamo uguaglianza, giustizia e democrazia per tutti, dobbiamo quindi vincere la battaglia contro questa controriforma, ma anche fare in modo che questa vittoria contribuisca a un’alternativa globale al sistema, che deve essere anticapitalista, femminista, antirazzista ed ecologica.
È con questo orizzonte di trasformazione rivoluzionaria della società che chiediamo la mobilitazione di tutte le forze del nostro campo sociale nell’attuale movimento, facendo delle giornate di sciopero del 7 e 8 marzo e del loro massiccio prolungamento nei giorni successivi passi decisivi verso la vittoria.