di Fabrizio Burattini
Come ormai tutte e tutti sanno, stamattina è morta Elettra Deiana.
Aderimmo sostanzialmente insieme, nel 1969 (lei qualche settimana prima, io qualche settimana dopo) ai Gruppi Comunisti Rivoluzionari (GCR) e alla Quarta Internazionale. I nostri percorsi precedenti erano stati molto diversi, io dalla gioventù comunista, lei dal dissenso radicale cattolico (era stata tra i fermati dalla polizia a Roma, a piazza San Pietro, nel 1968 durante una manifestazione dei cattolici contro la guerra del Vietnam). Ma poi il nostro percorso successivo fu identico, nella costruzione del gruppo romano dei GCR, nelle battaglie interne all’organizzazione, nelle mobilitazioni di quegli anni, nell’animare il collettivo di “Iniziativa Operaia” e il suo intervento di fronte alle fabbriche della zona di Pomezia.
Affrontammo insieme la ricostruzione nel 1980 dell’organizzazione dopo la crisi semidistruttiva del 1977-78 e la sua trasformazione in Lega Comunista Rivoluzionaria. Lei dal 1980 assunse un ruolo centrale nell’organizzazione, mentre io ero solo uno dei pochi funzionari del minuscolo apparato nazionale con sede a Milano, a Via Varchi. Il nostro rapporto, già molto stretto a Roma, a Milano si intensificò ancora di più, tanto che erano più le notti che passavo nella casa di Quarto Oggiaro dove lei viveva con il suo compagno Edgardo Pellegrini che nella mia casa di Cinisello. Per un periodo non brevissimo fummo persino sostanzialmente accomunati da un legame familiare che mi fece perfino traslocare nella sua pur minuscola casa.
Per me, lei non era solo la compagna indubbiamente più in vista e più capace dell’organizzazione ma costituiva un vero e proprio punto di riferimento personale, tanto da chiederle consiglio rispetto a scelte importanti che la vita mi proponeva di compiere. Ad esempio, quando la CGIL mi propose di diventare funzionario, fu lei a fugare le mie paure e a darmi il “nulla osta” per accettare la proposta, dicendomi: “Credo di essere una delle persone che ti conoscono meglio e sono certa che questa tua nuova collocazione non ti corromperà”.
Poi, irruppero nella nostra discussione interna le nuove discussioni interne al movimento femminista. Ovviamente la Quarta Internazionale e anche la sua organizzazione italiana avevano discusso e fatto proprie da tempo le tematiche del femminismo. Ricordo qui il documento La rivoluzione socialista e la lotta per la liberazione delle donne (lo cito qui in francese perché non so se ne esista una versione digitale in italiano), adottato dall’11° congresso mondiale del 1979. Ma ora arrivava, con tutta la sua forza la discussione innescata dalla corrente femminista “della differenza”, a cui Elettra aderì con convinzione e con entusiasmo e di cui diventò rapidamente un’esponente di punta. Fu una discussione difficile che divise a metà le compagne dell’organizzazione (e di conseguenza anche noi compagni).
Poi, quando la nostra corrente politica nel 1991 decise di partecipare alla costruzione prima del “movimento” e poi del “partito della rifondazione comunista”, Elettra divenne una delle dirigenti di quel partito e poi una delle sue deputate più intelligenti e attive. Io restavo un semplice funzionario sindacale, sempre attivo anche nel partito, ma certo non in condizione di frequentarla con i ritmi e con l’intensità di un tempo.
I nostri percorsi rapidamente si allontanarono ma la mia stima per lei, come dirigente politica e come persona, rimase intatta. La ferita di quell’allontanamento, lo confesso facilmente, non si è mai cicatrizzata in me. Ebbi modo di reincontrarla varie volte, portando in parlamento da lei gruppi di lavoratrici tessili negli anni in cui dirigevo il sindacato FILLEA Cgil di Roma (2003-2006) e poi, molto più recentemente, quando un nostro comune compagno e amico (anch’egli scomparso), Sergio D’Amia, presentò un suo libro in una libreria del centro di Roma.
Ma tutti quei nostri ultimi incontri, nonostante l’emozione che scuoteva entrambi, non riuscirono neanche loro a pacificarci. La notizia di questa mattina, con tutto il dolore che mi ha provocato, è stata capace di far svanire tutti gli interrogativi senza risposta e tutta l’amarezza di decenni di lontananza e di incomprensioni e me la fa di nuovo pensare insieme ad Edgardo e a me in quella casetta di Quarto Oggiaro.