di Valerio Arcary, professore in pensione dell’Instituto Federal de Educação, Ciência e Tecnologia de São Paulo, autore, tra gli altri libri, di Ninguém disse que seria fácil (Boitempo), editorialista di esquerdaonline.com.br, articolo tratto da aterraeredonda.com.br
La controffensiva deve andare oltre la risposta istituzionale. Sarà nelle strade che dovremo misurare le forze con i complotti golpisti
“In cento si scagliano contro chi ne punisce uno. La punizione fa ragionare lo sciocco”
(proverbio popolare portoghese)
Hanno fallito. L’assalto bolsonarista ai palazzi è stato sconfitto. Ora è il momento di andare avanti con le indagini, l’arresto e la condanna dei responsabili, senza inciampi, ma soprattutto senza esitazioni sul destino di Jair Bolsonaro. Il principale responsabile dell’incitamento al complotto golpista, per anni, impunemente, è Jair Bolsonaro.
La decisione del governo Lula di decretare l’intervento federale per la sicurezza di Brasilia, alla luce della minaccia di colpo di stato, è stata corretta e Ricardo Capelli (ex presidente dell’UNE, l’Unione nazionale degli studenti brasiliani, designato da Lula come responsabile dell’intervento del governo federale nel distretto di Brasilia, ndt), merita di essere sostenuto nell’iniziativa di attuare la necessaria repressione immediata. Anche la decisione di Alexandre de Moraes (attuale membro della Suprema Corte Federale-STF e presidente del Tribunale Superiore Elettorale-TSE, ndt) di rimuovere Ibaneis Rocha dal governo del Distretto Federale era giusta, per cercare di riprendere il controllo di Brasilia. Ma la controffensiva deve andare oltre la risposta istituzionale. Sarà nelle strade che dovremo misurare le forze con i golpisti.
Quella di domenica 8 gennaio è stata un’insurrezione, punto e basta. Caotica, folle, oscura, ma un’insurrezione. L’obiettivo era il rovesciamento del governo Lula. Fortunatamente non ci sono stati morti. Non era una manifestazione di protesta. Non si è trattato di una “esplosione” incontrollata di radicalizzazione spontanea. L’apparente “acefalia” della sovversione non deve nascondere la responsabilità di coloro che hanno preparato, organizzato e diretto il tentativo di prendere il potere. Obbedisce a un piano. È stato un folle tentativo di provocare una rivolta. Una rivolta non armata, ma non per questo meno pericolosa.
Obbediva al calcolo delirante che una scintilla sarebbe stata sufficiente per spingere alcuni generali a mettere i carri armati nelle strade. Il fatto che la scintilla non abbia generato un incendio con l’uscita in strada di truppe militari disposte a sostenere il colpo di stato non sminuisce la gravità della rivolta. E non annulla il pericolo rappresentato da un’evidente simpatia della polizia e dei militari per il movimento bolsonarista. Una sconcertante operazione articolata, pianificata e accuratamente orchestrata che non può essere sottovalutata. Scoprire chi ha dato gli ordini, quindi chi ha comandato: questa è la sfida centrale di questi giorni.
Abbiamo assistito, perplessi, stupiti e scioccati, all’incredibile facilità con cui non più di qualche migliaio di fascisti, vestiti da patrioti in una marcia carnevalesca, scortati dalla Polizia Militare, hanno invaso gli edifici simbolo dei poteri della Repubblica. Qualcosa di semplicemente incredibile. L’invasione del Congresso Nazionale, della Corte Suprema e del Palazzo del Planalto (sede del governo e della presidenza della Repubblica, ndt) è stata la dimostrazione che l’impunità dell’estrema destra, dopo due mesi di raduni alle porte delle caserme per chiedere un colpo di stato militare, ha gravi conseguenze. L’assurdo e grottesco spettacolo di tre ore nel centro del potere della capitale sarebbe stato inspiegabile senza la complicità delle forze di polizia e militari di Brasilia.
Gli arresti preventivi sono inevitabili per indagare sugli organizzatori. Ci sono mandanti occulti che devono ancora essere scoperti. Tuttavia, per quanto progressive, queste decisioni sono insufficienti. La “questione militare” rimane irrisolta. José Múcio Monteiro (dirigente del partito di destra PTB, ndt) non è adatto a rimanere come ministro della Difesa. Il comandante dell’esercito non può rimanere in carica. La risposta della mobilitazione popolare iniziata lunedì 9 gennaio, che non deve essere interrotta, sarà decisiva.
La “debolsonizzazione” deve essere una strategia permanente. Con il fallimento dell’avventura golpista si è aperto un nuovo momento congiunturale, un’opportunità che non possiamo perdere. È il momento di una controffensiva implacabile. Purtroppo, dobbiamo essere consapevoli che la società brasiliana è ancora molto frammentata. La vittoria elettorale ha modificato favorevolmente i rapporti di forza politici. Ma solo la lotta sociale delle masse potrà imporre un migliore rapporto sociale di forze.
Non dimentichiamo che la maggioranza della borghesia ha sostenuto Jair Bolsonaro negli ultimi anni. Che la classe media ha sostenuto Jair Bolsonaro. Che, sebbene divisa, una parte importante della classe lavoratrice ha sostenuto Jair Bolsonaro. Le provocazioni fasciste non si fermeranno finché non ci sarà la repressione. L’estrema destra deve essere fermata. L’avventura di domenica è stata in gran parte una “prova generale”. Le forze di estrema destra sono entrate in crisi a seguito della sconfitta elettorale. Lo stesso Jair Bolsonaro si è ritirato demoralizzato per due mesi e ha lasciato il paese.
Ma non sono ancora state neutralizzate, mantengono le loro posizioni. I fascisti volevano dimostrare a Brasilia di avere ancora forza sociale, ambizione politica e capacità di azione. Scommettono sull’accumulo di forze.
Se non verranno repressi con l’arresto dei responsabili, a partire dall’indagine su Jair Bolsonaro, torneranno. Non ci può essere amnistia per i crimini che ha commesso. Il governo Lula deve assumere pienamente la guida della lotta contro le provocazioni di Bolsonaro. La sinistra, appoggiandosi ai movimenti sociali, dovrà organizzare una giornata di mobilitazione nazionale in risposta. I fascisti non passeranno!