Aleksandra Kollontaj, nacque a San Pietroburgo, il 31 marzo 1872, figlia di un generale zarista e di una rampolla di un’importante famiglia borghese finlandese.
Affascinata dalle lotte operaie, in particolare quelle delle operaie tessili, comincia ad interessarsi alle questioni sociali. Per sottrarla a queste influenze, la famiglia la invia nel 1896 in Svizzera a studiare, dove però conosce il marxismo e aderisce con convinzione al movimento socialdemocratico. Non condivide la scissione tra menscevichi e bolscevichi, anche se, per non restare isolata, finisce per aderire alla frazione menscevica, polemizzando con la scelta bolscevica di boicottare nel 1906 le elezioni della Duma.
Nel frattempo era tornata in Russia nel 1903, dove si era separata dal cugino Vladimir Kollontaj, che aveva sposato e dal quale aveva avuto un figlio, Michail.
Per anni si dedicò attivamente, usando le sue capacità oratorie e di scrittrice, all’opera di agitazione e di propaganda tra i lavoratori e soprattutto le lavoratrici sia in Russia, sia nell’esilio. Ebbe un importante ruolo nella discussione della socialdemocrazia internazionale sulla questione femminile, sostenendo un’impostazione classista, in contrapposizione al suffragismo allora dominante nel movimento femminile.
Costretta alla clandestinità e poi, nel 1908, di nuovo all’esilio, riesce a rientrare in Russia solo nel marzo 1917.
Nel 1914, avendo ritenuto molto grave la scelta della maggioranza dei partiti socialdemocratici di aderire alla guerra imperialista dei propri paesi, aveva abbandona i menscevichi e aderito alla frazione bolscevica, nel cui comitato centrale venne eletta nell’agosto 1917.
Nel dibattito interno ai bolscevichi, dopo la rivoluzione di febbraio, sostiene con convinzione, fin dal primo momento, le tesi di Lenin e poi la sua proposta di insurrezione, in polemica con Zinov’ev et Kamenev.
All’indomani della conquista del potere, viene nominata Commissaria del popolo all’Assistenza e alla sanità pubblica, carica che lascerà quasi subito, nel marzo 1918, assieme al posto nel Comitato centrale, a causa della sua posizione apertamente critica nei confronti della pace di Brest-Litovsk e per la sua adesione alla corrente dei “comunisti di sinistra”. E’ stata, comunque, la prima donna nella storia del mondo moderno ad assumere un incarico equiparabile a quello di ministro.
In quei pochi mesi, sovraintese alla distribuzione ai contadini delle terre dei monasteri, e poi alla creazione di asili nido statali per i figli delle lavoratrici e all’introduzione della tutela delle donne lavoratrici durante la gestazione e il puerperio e partecipò alla redazione di tutta la legislazione sociale della nascente Russia sovietica. Nei suoi articoli, difese il “libero amore”, convinta c’era che il matrimonio fosse un’istituzione repressiva, fondata sull’ineguaglianza tra i sessi e sullo sfruttamento della donna, di ostacolo alla realizzazione di una società effettivamente libera.
Fondò lo Żenotdel (“Reparto delle donne”), un’organizzazione finalizzata al miglioramento della vita delle donne, per la lotta all’analfabetismo e per la tutela del reale diritto di voto attivo e passivo, per la parità salariale con gli uomini, per il diritto di divorzio. Lo Żenotdel ottenne anche nel 1920 l’introduzione del diritto di aborto.
Nel 1919, fondò con Aleksandr Šljapnikov e altri dirigenti bolscevichi, la frazione dell’Opposizione Operaia (Rabočaja opposicija), in difesa dell’indipendenza dei sindacati dal partito e dallo stato, per il rilancio della gestione dal basso dell’economia, contro la crescente burocratizzazione del partito e degli apparati statali. Successivamente, l’Opposizione operaia assunse una posizione critica anche nei confronti della NEP.
Dopo la sconfitta della sua frazione e la morte di Lenin, sostanzialmente capitolò di fronte al prevalere della frazione di Stalin. Marcel Body, un comunista francese antistalinista che la conobbe, riferisce di una sua confidenza: “Non si può andare contro l’apparato” disse Aleksandra “da parte mia, ho messo in un angolo della mia coscienza i miei principi e faccio, nel modo migliore possibile, quel che mi viene detto di fare”.
Il nuovo leader, per liberarsi di una presenza comunque scomoda e, utilizzando la conoscenza della Kollontaj di numerose lingue, decise di inviarla all’estero come ambasciatrice, anche qui la prima donna al mondo ad esserlo. Fu in Messico, in Svezia e come rappresentante nella Società delle Nazioni. In questa attività ottenne il riconoscimento dell’URSS da parte della Norvegia, la restituzione dell’oro messo al sicuro da Kerensky nelle banche svedesi, e, nel 1944, l’armistizio con la Finlandia.
Nel frattempo, la legislazione culturale e sociale ideata dalla Commissaria del popolo Kollontaj in patria veniva ignorata, stravolta o addirittura abrogata (come avvenne con il diritto di aborto, abolito da Stalin nel 1936). Ma Aleksandra Kollontaj fu una dei pochissimi bolscevichi a non essere liquidata fisicamente da Stalin e dal suo apparato.
Morì, ottantenne, a Mosca il 9 marzo 1952.