Non sottovalutare la crescita dell’estrema destra a livello internazionale

Intervista di Julien Salingue a Ugo Palheta, docente all’Università di Lille. Ha pubblicato circa un mese fa “La Nouvelle Internationale fasciste” (Textuel), da lanticapitaliste.org

Scarica qui il PDF del fascicolo di Ugo Palheta “Fascismo, fascistizzazione, antifascismo” (in italiano)

D.: Fino a che punto si può parlare di una “internazionale” di estrema destra? Questo significa che si coordinano davvero a livello internazionale o solo che le stesse cause provocano gli stessi effetti su scala internazionale?

Ugo Palheta: Non è un’Internazionale nel senso delle Internazionali dei lavoratori (che sono a loro volta molto diverse per grado di centralizzazione, omogeneità ideologica, natura delle organizzazioni che le compongono, ecc.). Ma non si tratta semplicemente della coesistenza e dell’ascesa simultanea di gruppi di estrema destra in risposta a fenomeni simili ovunque. Mi sembra che si sottovaluti il lavoro svolto dall’estrema destra su scala internazionale, spesso continentale e talvolta globale, sia nel periodo tra le due guerre che nei decenni del dopoguerra e oggi.

In primo luogo, c’è un lavoro quasi educativo che consiste nell’apprendere sistematicamente dalle esperienze di altre forze (spesso in paesi geograficamente e culturalmente vicini), sia le vittorie che i fallimenti. C’è poi il lavoro di coordinamento politico tra le organizzazioni (ad esempio nel quadro di raggruppamenti più o meno stabilizzati come il parlamento europeo). C’è anche un lavoro di invenzione, diffusione e assorbimento politico-culturale che coinvolge ideologi, cenacoli intellettuali, media, “influencer”, ecc. ai quattro angoli del mondo (è quello che si è svolto, ad esempio, e si sta ancora svolgendo in una certa misura, nell’ambito della cosiddetta “Nuova Destra”). Può sembrare strano, ma nonostante le diverse forme di esclusivismo che professano (etno-differenzialismo o suprematismo che sia), alcune frange dell’estrema destra sono sempre state caratterizzate dal desiderio di internazionalizzare la loro lotta, non solo attraverso la guerra e la predazione, ma anche collaborando con attivisti, organizzazioni o movimenti di altri paesi, spinti da un ideale condiviso che trascende i confini.

D.: Lei parla di “neofascismo” per descrivere varie correnti di estrema destra nel mondo. Perché ha scelto questo termine?

Ugo Palheta: In sostanza, la nozione di “neofascismo” ci permette di sottolineare due cose. In primo luogo, le forme di continuità con il fascismo storico, dove l’intero gioco dell’estrema destra – per decenni, se non dal dopoguerra – è consistito nel mimare una rottura con l’eredità del fascismo. Soprattutto in Europa, una parte dell’estrema destra contemporanea strumentalizza la sempre necessaria lotta all’antisemitismo con l’unico scopo tattico di segnare una forma di rottura con le forme passate del fascismo (in particolare nella sua varietà nazista), anche se alcuni dei loro quadri sono stati generalmente cullati e formati nello stampo ideologico dell’antisemitismo o addirittura del negazionismo, e non hanno trovato nulla da obiettare finché è sembrato utile (mi vengono in mente Marine Le Pen o Louis Aliot, per esempio). Ma soprattutto, questi gruppi di estrema destra utilizzano molte delle stesse tattiche ideologiche di stigmatizzazione, demonizzazione e inferiorizzazione contro i musulmani, i migranti, i rom e, più in generale, le minoranze razziali, come hanno fatto in passato contro gli ebrei. La seconda cosa che l’uso della categoria di “neofascismo” serve a sottolineare è che il fascismo aveva bisogno di rinnovarsi per rinascere. Non si presenta oggi allo stesso modo del fascismo storico, alcune delle cui caratteristiche fondamentali erano dovute al singolarissimo doppio contesto dell’esperienza assolutamente traumatica della Prima guerra mondiale e della breccia aperta dalla Rivoluzione russa nell’edificio capitalistico europeo e mondiale (e alla sua forza propulsiva per tutti i movimenti che volevano rompere una volta per tutte con lo sfruttamento e l’oppressione). La dimensione estremamente brutale del fascismo “classico”, con le sue milizie armate, rimanda a queste coordinate dell’epoca: la brutalizzazione delle società e la paura dei padroni (grandi o piccoli). Oggi la situazione è diversa: questo non significa che il neofascismo non sia violento (lo è, e molto di più su scala globale di quanto spesso si immagini), ma in genere non comporta la costruzione di organizzazioni paramilitari di massa.

D.: Leggiamo e sentiamo sempre più spesso, ed è stato ancora una volta il caso dell’arrivo di Giorgia Meloni in Italia, che quando l’estrema destra va al potere, “non è fascismo”. Come risponde a questo?

Ugo Palheta: Sì, non è mai fascismo all’istante. Non solo i fascisti o i neofascisti hanno potere politico – a volte una frazione di tale potere – solo quando vincono le elezioni, ma devono costruire alleanze con organizzazioni che rappresentano varie frazioni della classe dirigente (questo era ovviamente già il caso nel periodo tra le due guerre). Ma c’è soprattutto un aspetto che si ricollega a quanto ho appena detto: poiché il neofascismo si basa meno sulla forza bruta rispetto al fascismo “classico”, o sulla guerra di movimento nel senso di Gramsci, deve condurre una battaglia politico-culturale a medio o addirittura a lungo termine per costruire il tipo di stato a cui i neofascisti aspirano. Per dirla in modo un po’ caricaturale, direi che i neofascisti tendono a soffocare i loro nemici (minoranze e movimenti di emancipazione, compresi ovviamente i rivoluzionari) in modo graduale, mentre i fascisti li eliminavano rapidamente. Si tratta di una caricatura, perché i fascisti del periodo tra le due guerre non ignoravano la guerra di posizione, che poteva comportare la concessione di una certa libertà agli oppositori (almeno per un po’); ma anche perché il neofascismo ha i suoi momenti di guerra di movimento, in cui gli oppositori vengono spietatamente repressi e l’avversario viene attaccato militarmente (come nei casi di Russia, Israele o Turchia). In ogni caso, ci sono sempre lotte sociali e politiche da condurre una volta che l’estrema destra è al potere: non vengono immediatamente abolite o ridotte alla clandestinità. Ma dobbiamo essere consapevoli che, quando i neofascisti sono al potere, le lotte per l’emancipazione si svolgono in un contesto eminentemente degradato, dove i peggiori nemici dell’uguaglianza hanno mezzi decuplicati per diffondere il loro veleno, ma anche per controllare, reprimere, ecc. Lontano dalla strada reale che gli stalinisti immaginavano un tempo (“Dopo Hitler saremo noi”…).