di Pierre Rousset, dal settimanale L’Anticapitaliste del 13 ottobre 2022
Il 16 ottobre si apre il XX Congresso del Partito Comunista Cinese. Xi Jinping sarà trionfalmente rieletto presidente per un terzo mandato. Il suo curriculum non sarà discusso ma il paese attraversa una latente crisi di regime
Pechino ha beneficiato di condizioni estremamente favorevoli per la sua politica di espansione globale. Oggi è la seconda economia mondiale, il paese è diventato l’Eldorado delle transnazionali, nel cuore del mercato capitalistico. Gli Stati Uniti, sebbene in relativo declino, sono ancora i numeri uno in (quasi) tutti i campi, ma fino a poco tempo fa erano strategicamente impotenti in Asia. La Cina è diventata una potenza globale (il più grande partner commerciale dell’America Latina!) con un esercito modernizzato, incentrato sull’aeronavale. L’epoca d’oro di Xi Jinping si è conclusa con il contraccolpo della pandemia di Covid-19, la fine del dinamismo della globalizzazione dei mercati, il successo del riorientamento di Washington sull’Asia-Pacifico da parte di Joe Biden, le attuali turbolenze finanziarie e i crescenti rischi di crisi economica.
La dittatura della cricca unica
In una situazione del genere, la leadership cinese dovrebbe essere in grado di mostrare una grande capacità di adattamento, anche nei rapporti con gli Stati Uniti, se non altro per cercare di evitare una recessione globale. Ma il regime politico instaurato (attraverso le purghe) da Xi Jinping lo consente? È dubbio, poiché è così strettamente legato a un uomo e alla sua cricca.
Nessuno poteva detenere la presidenza del partito per più di due mandati consecutivi: Xi Jinping ha imposto un emendamento costituzionale che elimina tutte le restrizioni. La leadership di base avrebbe dovuto garantire un minimo di collegialità tra le fazioni e preparare una nuova generazione per la successione; ora non è più così. Il governo del paese è ora quasi esclusivamente nelle mani del partito, a scapito dei militari e delle amministrazioni governative o regionali. Il piano di Xi è quello di sostituire la dittatura a partito unico con una dittatura della cricca unica. Proponendosi di essere rieletto per un terzo mandato a capo del PC e della Commissione Militare del CC, nonché Presidente della Repubblica Popolare alla prossima riunione dell’Assemblea Nazionale, e innalzando il suo “pensiero” di una tacca al di sopra di quello di Mao, si aspetta di fissare questa ambizione nella pietra.
Le difficoltà ci sono
Tuttavia, può una successione di colpi di forza mettere in riga un partito di 90 milioni di membri in un paese-continente? Finché lo slancio di crescita ed espansione continuerà, probabilmente. Ma la rielezione di Xi non risolverà nessuno dei problemi che la Cina deve affrontare oggi. Il settore immobiliare ha rappresentato una parte enorme della crescita interna e del “sogno cinese” (avere la casa di proprietà). Ora è sprofondato in una profonda crisi (una crisi di sovrapproduzione molto capitalista) e il sogno è diventato un incubo per molte persone che stanno perdendo i loro risparmi investiti in appartamenti (o addirittura in città) che non verranno mai costruiti. È vero che lo stato ha il controllo del debito immobiliare (non siamo negli Stati Uniti), ma questa crisi non sarà indolore, così come non è indolore la gestione ultimatista dell’epidemia di Covid-19, che Xi Jinping ha fatto diventare il suo marchio di fabbrica e che sta provocando violente reazioni popolari.
Questioni geostrategiche
Nonostante i numerosi progressi tecnologici, la Cina non è riuscita a recuperare il ritardo nei semiconduttori di fascia alta, mentre Joe Biden ha perseguito una politica aggressiva volta a consolidare la leadership degli Stati Uniti in questo settore (i semiconduttori di ultima generazione sono prodotti a Taiwan e in Corea del Sud, ma i brevetti sono detenuti da aziende statunitensi).
Sul piano geostrategico, Pechino gode di un ampio campo di manovra nei paesi del Sud del mondo, ma quel campo si restringe in Europa dopo l’invasione russa dell’Ucraina: anche Putin, questo alleato obbligato, è diventato l’incubo di Xi. Probabilmente la leadership del PCC non aveva previsto la portata della controffensiva statunitense una volta che Washington si fosse riorientata verso l’Asia. La guerra sino-statunitense non è in vista (speriamo), il grado di interdipendenza tra i due paesi rimane elevato, ma all’indomani del XX Congresso è probabile che il braccio di ferro su Taiwan si inasprisca e si allarghi con la competizione globale.