Nasibe Samsei, donna iraniana residente a Istanbul, taglia i suoi capelli durante le proteste di fronte al consolato dell'Iran. @ AFP, YASIN AKGUL

Le manifestazioni in Iran e le donne

In queste ore l’Iran sta vivendo un blackout quasi totale della connettività Internet, mentre le proteste per la morte di una donna arrestata dalla “polizia della moralità”, come viene chiamata dalla gente, si facevano più forti e gli scontri con le forze di sicurezza più violenti.

Il sito web di osservazione dell’accesso a Internet Netblocks e alcuni attivisti iraniani hanno iniziato a riferire del blackout informatico già mercoledì sera, mentre intensi scontri tra manifestanti e forze di polizia imperversavano in gran parte del paese, compresa la capitale Teheran. Giovedì i dati mobili sui telefoni cellulari sono stati quasi completamente scollegati e la banda larga delle abitazioni è stata interrotta nella maggior parte delle grandi città. Instagram e Whatsapp sono stati completamente bloccati. L’agenzia di stampa Tasnim ha dichiarato che queste misure erano volte a prevenire “la comunicazione e il coordinamento tra i leader delle rivolte”.

Gli iraniani all’estero hanno lanciato una campagna online per attirare l’attenzione internazionale sul blackout informatico. “L’ultima volta che l’hanno fatto (nel 2019, nella mobilitazione contro l’aumento dei carburanti), hanno ucciso più di 1.500 persone… Siano le loro voci”, ha scritto sui suoi network l’attrice iraniana residente nel Regno Unito Falamak Joneidi.

Com’è noto, Mahsa Amini era stata arrestata dalla polizia per il presunto uso improprio del suo hijab, il velo islamico, obbligatorio per tutte le donne in Iran dalla rivoluzione del 1979. Dopo la morte ddella giovane detenuta, le autorità hanno affermato che il decesso era dovuto ad un arresto cardiaco a causa di una lunga storia di problemi di salute, ma la famiglia di Mahsa Amini smentisce fermamente questa ipotesi. Sostengono che Amini non era in cattive condizioni di salute mentre il suo corpo presentava gravi lesioni alla testa e ad altre parti del corpo.

I video diffusi giovedì dai media dell’opposizione hanno mostrato i manifestanti scontrarsi con la polizia antisommossa a Teheran, dove diverse donne si sono riunite in strada per dare fuoco ai loro hijab. Nonostante il blackout in corso, le manifestazioni stanno continuando e i morti, per mano della repressione si moltiplicano. Le ultime denunce parlano di almeno 50 morti in varie città del paese. La stessa televisione di stato ha confermato che negli ultimi giorni sono state uccise almeno 26 persone, tra cui membri della polizia e delle forze paramilitari Basij, spesso vestiti in abiti civili.

Le autorità iraniane hanno organizzato una serie di contro-dimostrazioni “spontanee” il 23 settembre e la Guardia Rivoluzionaria Islamica ha rilasciato una dichiarazione in cui definisce le proteste una “sedizione” orchestrata da nemici stranieri della Repubblica Islamica. Da parte sua, Kayhan, il giornale ultraconservatore legato alla Guida Suprema Ali Khamenei, ha chiesto in un editoriale una repressione senza compromessi e ha detto, riferendosi ai manifestanti: “L’opinione pubblica vuole un’azione rapida e seria contro questi criminali”.


Pubblichiamo qui sotto un’intervista alla sociologa Azadeh Kian, docente presso l’Università Paris-Cité, direttrice del Centro per l’insegnamento, la documentazione e la ricerca sugli studi femministi. L’intervista è ripresa da Le Monde

Il regime cerca di tenere le donne a casa

di Julien Lemaignen

Azadeh Kian

Come valuta l’importanza e l’impatto delle proteste in corso?

La novità è che sono le donne ad essere in prima linea. Questo non accadeva prima, o almeno non in modo così marcato. E si può notare che molti giovani uomini le sostengono sempre più spesso.

Il presidente iraniano Ibrahim] Raissi si è affrettato a chiedere un’indagine sulla morte di Mahsa Amini. Possiamo aspettarci che i responsabili vengano identificati?

No. È come l’incidente del volo 752 della Ukraine International Airlines [distrutto per errore dalla difesa aerea iraniana nel gennaio 2020, uccidendo 176 persone, ndt]. Queste indagini non raggiungono mai i principali responsabili. Sono i pesci piccoli a finire arrestati. Le Nazioni unite hanno chiesto un’indagine ufficiale, ma non ha senso. Dovrebbero condannare la violenza che il potere sta infliggendo alla società.

Cosa ha fatto Raissi, che è stato eletto nel 2021, per i diritti delle donne e per i problemi sociali del Paese in generale?

Negli ultimi tempi abbiamo assistito a un indurimento delle politiche pubbliche contro le donne. Raissi ha dato carta bianca alla polizia morale sotto l’autorità della Guida Suprema Ali Khamenei, che ha detto pubblicamente che le donne devono essere costrette a indossare il copricapo.

Queste politiche sono state concepite per tenere le donne a casa. Nello Stato, le donne non vengono più assunte, tranne che per i posti di lavoro definiti femminili, come l’insegnamento o alcune specialità mediche, come la ginecologia. In altre professioni, viene detto loro di andare in pensione o di perdere il lavoro.

Nel 2015, il leader supremo ha deciso che la popolazione deve raddoppiare. Dal 2016 la contraccezione è diventata meno accessibile. Vasectomia e aborto sono vietati dal 2021. Le politiche pubbliche incoraggiano i matrimoni precoci, prima dei 15 anni, e il numero di matrimoni precoci è aumentato del 20%. Ma la politica di controllo delle nascite non ha avuto l’effetto desiderato, poiché la crisi economica scoraggia la natalità e il tasso di fertilità è di soli 1,6 figli per donna.

Sotto Raissi c’è stata una forte repressione di tutti i movimenti di protesta, per i diritti delle donne, per l’ambiente… Le politiche culturali sono sempre più restrittive, come abbiamo visto con l’incarcerazione dei registi Jafar Panahi, Mohammad Rasoulof e Mostafa Al-Ahmad. La violenza contro la società è in aumento.

L’attuale giro di vite è una risposta “normale” o è il segno di un nuovo nervosismo nel regime?

L’affluenza alle urne per le elezioni presidenziali del giugno 2021 è stata la più bassa mai registrata, pari al 48,8%, e non parlo nemmeno delle elezioni legislative. Gli elettori si sono rifiutati di legittimare il regime, che sta rispondendo con la repressione anziché cercare di riconquistare la fiducia. Un altro motivo per cui tante persone si stanno mobilitando è l’economia. Il tasso di povertà ufficiale è del 46%, ma gli esperti ritengono che sia più alto.

L’Iran ha vissuto grandi proteste per il costo della vita nel 2017-2018 e nel novembre 2019, seguite da un’ondata di manifestazioni nel 2020 dopo l’incidente aereo. Questa serie di proteste indebolisce il regime?

Il regime è fragile, ma questo non basta per prevederne la caduta. Non vedo emergere un’alternativa valida e affidabile. La gente scende in piazza perché non ha altri canali, né partiti politici, né sindacati indipendenti. Dal 2017 le proteste sono state sporadiche, spontanee e disorganizzate a causa della mancanza di democrazia. E non portano ad alcun cambiamento di regime.

L’accordo sul nucleare sembrava avvicinare l’Iran all’Occidente e ampliare lo spazio per la società civile. La sua battuta d’arresto, provocata dal ritiro degli Stati Uniti sotto Donald Trump, potrebbe aver indotto Teheran a rinunciare a qualsiasi gesto progressista in patria?

La battuta d’arresto sulla questione nucleare e poi la guerra in Ucraina hanno aggravato la situazione. L’Iran si è avvicinato ai russi e ai cinesi. Cinque o sei anni fa, il presidente Hassan Rohani e il suo ministro degli Esteri, Mohammad Javad Zarif, stavano cercando di avvicinarsi all’Occidente, cosa che non piaceva alla Guida suprema. L’accordo sul nucleare del 2015 ha creato una piccola apertura per le libertà civili. Diverse ONG, che non avevano potuto operare sotto Ahmad Ahmadinejad [presidente tra il 2005 e il 2013, ndt], hanno ripreso il loro lavoro. Le persone avevano più spazio di manovra e le giovani donne erano meno arrabbiate. C’era speranza.