Ricomincia la scuola, ancora un inizio
di Maria Izzo
“Ricomincia la scuola” è il refrain che ritorna ogni anno, mediamente intorno alla metà di settembre, e che ricorda a tutti, addetti ai lavori e non, il ruolo, più o meno centrale a seconda dei momenti, che la scuola occupa nella vita delle persone.
La scuola riparte e ci si interroga su quanto di vecchio e di nuovo potrà riservarci il nuovo anno scolastico ancora speranzosi, quelli più anziani come chi scrive, più assuefatti, purtroppo, quelli più giovani che, per motivi non dipendenti dalla loro volontà, si sono ritrovati a lavorare in un contesto completamente modificato da precise volontà politiche che negli ultimi anni hanno profondamente trasformato l’idea e il ruolo della scuola pubblica italiana.
La scuola quest’anno riparte in un momento particolare perché momento di campagna elettorale e quindi è inevitabile non pensare a quelli che sono i problemi che la affliggono e, in maniera consequenziale, cercare di fare delle proposte che siano, per le diverse forze politiche che andranno a rappresentarci, delle proposte rappresentative dei bisogni della scuola pubblica italiana.
Le proposte da fare partono da considerazioni che, a nostro avviso, rimandano ai problemi più urgenti che trovano origine nell’azione devastante condotta, in particolare negli ultimi quindici anni, sulla scuola pubblica italiana con il chiaro intento di minarne la natura pubblica e affrancarla da quella idea di scuola intesa come luogo di formazione, di crescita e di educazione, di relazione umana e di rapporto intergenerazionale, andando invece ad affermare un’idea di scuola-azienda, di scuola incentrata su una semplice acquisizione di competenze. Idea malsana che non tiene conto del fatto che la scuola si occupa delle persone in crescita, non di entità astratte scomponibili e riducibili a una serie di “competenze”.
L’insegnamento e l’apprendimento toccano infatti tutte le dimensioni dell’essere umano – intellettuale, razionale, affettiva, emotiva, relazionale, corporea – tra loro interconnesse e inscindibili.
I problemi più urgenti che vive la scuola pubblica italiana sono ascrivibili a nostro parere, ad alcune questioni fondamentali strettamente interconnesse tra loro e che rimandano a quella idea di scuola che si è voluto affermare negli ultimi anni nel nostro paese, negando di fatto l’idea di una scuola pubblica, laica e indipendente da qualsiasi interferenza esterna.
I problemi principali riguardano le questioni che proviamo di seguito ad elencare:
- Problema organici. Dopo circa tre anni di pandemia dovuta al Covid, la questione organici della scuola risulta invariata se non peggiorata, laddove la richiesta di diminuire il numero di alunni per classe, per far fronte alle diverse problematiche che un numero elevato di alunni comporta soprattutto in relazione ad alcuni aspetti legati alla pandemia, sembrava essere una questione prioritaria e di certa soluzione. Al momento gli organici della scuola, sia per quanto riguarda i docenti che il personale ATA, risultano essere sempre più sottodimensionati e la situazione non accenna a migliorare.
- Reclutamento del personale. Il decreto-legge n. 36 del 30 aprile 2022 (proposto dal ministro dell’istruzione Bianchi, che procede sulla stessa linea della legge n.107 della “Buona scuola” di Renzi e delle “riforme” apportate dalla triade Gelmini-Aprea-Tremonti) introduce ancora nuove forme di reclutamento del personale che rendono, non solo sempre più difficile l’accesso ai ruoli, in particolare per il personale docente, ma che aumentano di fatto, attraverso l’introduzione di obblighi di diversa natura di carattere burocratico e anche monetario, la difficoltà di accesso e fanno trasparire l’idea che l’accesso al ruolo passi anche attraverso una sorta di tassazione velata.
- Condizioni economiche del personale. Anni di mancato rinnovo contrattuale sostituiti da una misera indennità di vacanza contrattuale, mancato adeguamento agli standard europei da cui siamo sempre più lontani e un impoverimento generalizzato dettato dalla crisi economica galoppante che stiamo vivendo fanno si che la condizione economica delle lavoratrici e dei lavoratori della scuola diventi sempre più precaria senza che ci sia nessun segnale di miglioramento.
- Infrastrutture ed edilizia. Mancanza di investimenti nelle infrastrutture scolastiche esistenti, spesso inadeguate per essere adibite a strutture educative, e scarsi investimenti nella manutenzione e costruzione di nuove strutture.
- Perdita sempre maggiore della autonomia e della collegialità decisionale a fronte di un avanzamento massiccio di una idea di scuola fortemente centralizzata e impositiva, di cui i dirigenti scolastici si fanno rappresentanti e strumenti, che contrappone una struttura sempre più dirigistica e monocratica ad una collegiale e democratica.
- Spersonalizzazione e standardizzazione della funzione docente che si esprime attraverso la miriade di sigle che contrassegnano il lavoro didattico, attraverso la burocratizzazione massiccia che pervade ogni azione didattica e attraverso la conseguente perdita del pilastro della funzione docente, cioè la libertà di insegnamento. Tutto ciò è il risultato della torsione aziendalistica impressa alla scuola negli ultimi anni, torsione che mira scientemente alla diffusione di una cultura solipsistica e sempre più performativa e alla progressiva disumanizzazione degli operatori della istruzione e dei loro stessi “utenti finali”.
- Mancanza di una vera formazione per il personale docente. Il tema della formazione risulta essere centrale in tutte le proposte politiche (vedi il recente decreto Bianchi) ma anche in questo caso la formazione che si vorrebbe è una formazione calata dall’alto, unidirezionale, che mira a formare addetti ai lavori semplici esecutori di un progetto ben definito e non soggetti capaci di scegliere, mentre, proprio nel campo dell’aggiornamento professionale e nella scelta delle diverse opzioni pedagogiche, non può mancare il pluralismo delle scelte e delle impostazioni culturali, che gli operatori dell’istruzione devono poter adottare al fine di perseguire al meglio i loro compiti educativi.
Quelli elencati sono i problemi più urgenti e sono strettamente interconnessi tra loro. Alla loro soluzione occorre rispondere con una chiara visione politica dell’idea e del ruolo della scuola per avviare una nuova stagione di rinnovamento e di affermazione di un’istruzione pubblica che non ha necessità di fondi del PNRR o di centri di potere o di una visione aziendalistica ma che sia luogo di emancipazione, di relazione, di crescita umana e culturale delle persone attraverso l’istruzione, l’insegnamento, la condivisione delle conoscenze, il lavoro comune sui contenuti culturali, la relazione educativa.
Alle forze politiche, in particolare a quelle che non hanno sostenuto direttamente o indirettamente l’approvazione del D.L. 36 (il decreto legge sul reclutamento e la formazione del personale docente adottato in aprile), chiediamo quindi che si intervenga con:
- Potenziamento degli organici sia del personale ATA che dei docenti , al fine di arrivare ad avere un numero di alunni per classe che possa essere compatibile con l’azione didattica e con le questioni di carattere organizzativo.
- Revisione urgente delle norme per la costituzione delle classi (limite di 20 alunni per classe), con particolare attenzione ad una reale riduzione della loro numerosità in presenza di alunni con disabilità.
- Revisione degli stipendi del personale scolastico, che restituisca quanto perso nei molti anni di mancato rinnovo contrattuale, che sia in grado di adeguarsi agli standard europei, che sia in grado di far fronte alla crisi economica corrente e che sia anche in grado di ridare il dovuto riconoscimento sociale al ruolo e alla funzione del personale della scuola.
- Individuazione di modalità di reclutamento fondate su un’approfondita preparazione culturale e sostegno al libero aggiornamento dei docenti. Gli insegnanti non hanno bisogno di essere “addestrati” o “riaddestrati” a metodologie didattiche o a visioni totalitarie della pedagogia imposte dalla burocrazia ministeriale: hanno invece bisogno di individuare le priorità culturali ed educative verso cui indirizzare volta per volta un autentico aggiornamento delle proprie conoscenze, condizione indispensabile per realizzare appieno il principio costituzionale della libertà d’insegnamento.
- Seri investimenti nell’edilizia scolastica, che tengano conto della capacità di contenimento degli alunni, della manutenzione degli edifici scolastici e delle condizioni di vivibilità e di agibilità degli spazi scolastici.
- Ripristino di autentiche forme di collegialità nella gestione della scuola a tutti i livelli, a partire dal collegio dei docenti ma anche dal consiglio di istituto e dai consigli di classe delle singole scuole.
- Superamento di un apparato para-aziendalistico, rappresentato oggi da figure esistenti e prefigurate (docente “esperto”, dirigente manager, staff, mobility manager, middle management e simili) del tutto incongruente rispetto alla natura e agli scopi dell’istruzione pubblica.
- Abolizione immediata della “Scuola di Alta Formazione”, introdotta contro il parere motivato di chi nella scuola lavora, dei sindacati di categoria, delle stesse commissioni parlamentari, attraverso la forzatura del decreto legge e del voto di fiducia.
- Definizione chiara delle funzioni, dei limiti e dei costi dell’INVALSI e dell’INDIRE.
- Abolizione dei PCTO (Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento, la nuova definizione assunta dall’alternanza scuola-lavoro).
- Rafforzamento dell’orizzonte nazionale dell’istituzione scolastica e contro qualunque ipotesi di autonomia differenziata, “organo costituzionale della democrazia, l’unico capace di trasformare i sudditi in cittadini” (Calamandrei) e non insieme di progettifici rivolti ad un’anonima utenza.
- Abolizione della legge 107 e riflessione del legislatore sui profondi danni provocati dall’applicazione della cosiddetta “autonomia scolastica”. Dopo venticinque anni, è chiaro a chiunque si occupi di scuola che un ripensamento dell’impianto dell’ “autonomia” è assolutamente indispensabile;
Questi ci sembrano i temi più urgenti, per restituire alla scuola la sua funzione educativa, culturale, civile prevista dalla Costituzione, dopo che scelte politiche di stampo neoliberista hanno tentato e tentano di sradicare e distruggere il sistema nazionale dell’Istruzione pubblica.
In questo particolare periodo storico, dopo la caduta del governo Draghi e dopo l’approvazione forzata e probabilmente anticostituzionale del decreto 36 (divenuto ora purtroppo legge 79), in vista delle prossime elezioni, riteniamo necessario rivolgere le nostre considerazioni e richieste sia ai rappresentanti politici che hanno dimostrato nei fatti il loro dissenso rispetto all’aberrazione del DL 36, sia a quelli che l’hanno votato obtorto collo, sotto il ricatto della fiducia.
In un clima di generale sfiducia verso il ruolo del parlamento, in una situazione di pluridecennale mancanza di rappresentanza politica delle istanze degli insegnanti, rivolgiamo agli aspiranti legislatori precise richieste, per una scuola che garantisca finalmente alle nuove generazioni il godimento di un diritto, quello ad un’Istruzione di qualità, sancito dalla Costituzione, in particolare dagli art. 1, 2, 3, 4, 9, 33, 34.
La scuola non serve per distribuire risorse del PNRR, né per creare centri di potere: la sua finalità è unicamente quella dell’emancipazione e della crescita umana e culturale dei futuri cittadini attraverso l’istruzione. Per raggiungere questa finalità, gli strumenti indispensabili sono l’insegnamento, la condivisione delle conoscenze, il lavoro comune sui contenuti culturali, la relazione educativa.