di Franco Astengo
Torino, 8 luglio 1962, la Fiom e la Fim cittadine proclamano uno sciopero di tutti i metalmeccanici torinesi, a sostegno della lotta alla Fiat, iniziata a giugno.E’ un primo atto unitario che segue la vertenza degli elettromeccanici del 1960 (Natale in Piazza a Milano, Savona, Bergamo) dove si erano già segnalati elementi di disgelo nella divisione sindacale di dieci anni prima con una emblematica confluenza dei cortei partiti separati di FIOM e FIM in Piazza del Duomo a Milano (Lucio Magri scrisse “in quel momento sentii che si respirava un’aria nuova”).Torniamo a Torino l’8 luglio 1962.Lo sciopero di FIOM e FIM (la FIM era diventata il sindacato di riferimento di molti immigrati meridionali di origine cattolica) riesce in pieno.Ma le cronache non si limitano all’esito dello sciopero.“All’esterno di Mirafiori e di altre fabbriche vi furono violenti scontri dopo che i picchetti, bloccate le entrate, rovesciarono delle macchine e picchiarono alcuni dirigenti senza che la polizia riuscisse a controllare la situazione. Nel corso della mattinata si sparse la voce che la Uil e la Sida, il sindacato “giallo” padronale, avevano raggiunto un accordo separato con la direzione Fiat: in seguito a ciò 6-7.000 operai, esasperati da questa notizia, si riunirono nel pomeriggio in piazza Statuto di fronte alla sede della Uil. Per due giorni la piazza fu teatro di una straordinaria serie di scontri tra dimostranti e polizia: i primi, armati di fionde, bastoni, e catene, ruppero vetrine e finestre, eressero rudimentali barricate, caricarono più volte i cordoni della polizia; la seconda rispose caricando le folle con le jeep, soffocando la piazza con i gas lacrimogeni, e picchiando i dimostranti con i calci dei fucili. Gli scontri si protrassero fino a tarda sera, sia sabato 7 che lunedì 9 luglio 1962. Dirigenti del Pci e della Cgil, tra i quali Pajetta e Garavini, cercarono di convincere i manifestanti a disperdersi, ma senza successo. Mille dimostranti furono arrestati e parecchi denunciati. La maggior parte erano giovani operai, per lo più meridionali ( da allora la FIM fu considerata un sindacato “estremista”).
Il Pci è colto di sorpresa da questa radicalità che non riesce a controllare, e l’Unità del 9 luglio definirà la rivolta “tentativi teppistici e provocatori”, ed i manifestanti “elementi incontrollati ed esasperati”, “piccoli gruppi di irresponsabili”, “giovani scalmanati”, “anarchici, internazionalisti”. I Quaderni Rossi (Panzieri, Tronti, Negri), dal canto loro, giudicano gli scontri di piazza una “squallida degenerazione” di una manifestazione di protesta operaia, ma si guardano bene dal tacciare i manifestanti come “provocatori e fascisti”, così come li avevano presentati settori della sinistra storica. La rivolta di piazza Statuto segna per la prima volta l’emergere nella lotta di classe dell’operaio massa, come risulterà al processo dove due terzi degli imputati per le violenze di strada saranno giovani immigrati meridionali. La figura dell’operaio-massa, diretta derivazione della modifica del ciclo produttivo fondato sulla catena di montaggio, emerge in modo più netto e preciso a Torino ’62 piuttosto che durante la rivolta di Genova del ‘60, della quale era stata protagonista un soggetto più genericamente giovanile, “i giovani dalle magliette a strisce” con la richiesta di un rinnovamento generazionale che era rimasto come “sospeso” e gli operai di mestiere delle grandi concentrazioni a PPSS oltre alla figura particolare rispetto ai canoni classici dell’identificazione di classe rappresentata dai portuali della diverse compagnie (unica merci varie, carbunin, ecc)Il nuovo soggetto dell’operaio massa posto culturalmente e socialmente fuori dal recinto dell’operaio di mestiere nato in questi primi anni ’60 sarà una delle figure sociali protagoniste delle lotte degli anni ‘70. A livello politico, la rivolta di piazza Statuto segna sia il distacco definitivo tra i Quaderni Rossi e la Fiom e il Pci, e registra anche una divergenza all’interno dello stesso gruppo dei Quaderni Rossi: da una parte chi vuole continuare il lavoro di analisi considerandolo predominante rispetto al lavoro direttamente politico (Panzieri, che pure era stato l’anticipatore delle analisi delle nuove figure sociali e delle nuove forme di lotta, ma non aveva trovato nello PSIUP un adeguato riscontro politico) dall’altra chi (Tronti, Negri, Asor Rosa) vuole arrivare immediatamente a soluzioni politiche e organizzative. Questi ultimi daranno vita alla rivista Classe Operaia.Partirà da lì la storia che ci condurrà all’autunno caldo, all’intensa stagione di lotte degli anni’70 fino al riflusso e alla sconfitta , in coincidenza con il ridefinirsi delle contraddizioni sociali della post-modernità: contraddizioni oggi non analizzate e ancora incomprese da sindacati e partiti.