Avevamo già segnalato come importante l’elezione di Rachel Keke, la leader della lotta dell’hotel Ibis Batignolles, al parlamento francese. L’avevamo segnalata perché è un forte e positivo segnale di controtendenza in un’Europa nella quale ormai le istituzioni elettive sono largamente e deliberatamente di fatto a persone di origine popolare e proletaria. Poi in Francia è scoppiato “l’affaire Keke” perché numerosi solerti giornalisti sono andati a spulciare i profili facebook e twitter di Rachel e vi hanno scoperto post di tono razzista verso i maghrebini, a volte frasi che suggerivano una qualche simpatia “lepenista” e espressioni di sostegno al dittatore siriano Bashar Al Assad affinché sconfiggesse “gli Stati uniti, predatori criminali”.
Naturalmente noi non possiamo condividere nessuno di quei post, ma questo non inficia di un millimetro la nostra gioia e la nostra soddisfazione per vedere Rachel oggi seduta sugli scranni dell’Assemblea nazionale. Rachel Keke ha sempre vissuto e vive nel contesto della sterminata periferia parigina ed è stata per anni immersa in quel contesto, con le sue dinamiche intercomunitarie, con la comprensibile avversione nei confronti del disprezzo degli arabi per le nere e i neri. Per anni, anche e soprattutto nei quartieri popolari, da decenni abbandonati dalla sinistra ufficiale, Marine Le Pen è apparsa quella che la cantava più chiara contro il potere delle elite, certo immeritatamente ma anche grazie al battage mediatico mainstream che la presentava come l’unica opposizione al liberismo criminale di Holalnde e poi di Macron. Così per Assad, percepito come il difensore delle minoranze contro l’Islam che aveva cercato di cancellare le culture africane e che appariva in opposizione contro l’imperialismo USA e quello francese.
Rachel Keke non è un’intellettuale; certo, questa è una debolezza ma è anche la sua grande forza. La sua legittimità deriva dalla lotta che ha condotto a Batignolles a fianco anche di donne arabe, persino di donne velate, altro che islamofobia (di cui l’accusano i siti macroniani).
Confermiamo perciò che siamo molto felici di vederla nel parlamento, nella sua crescita politica e culturale, ma con intatto il suo lato cospiratore, amaro, il suo coraggio, la sua generosità, l’istinto per una giustizia concreta.
Cogliamo l’occasione per pubblicare qui sotto uno scritto di Marcuss, un blogger del sito francese Mediapart, che ne commenta appunto l’origine proletaria e smonta la tesi borghese dell’incompetenza, della incapacità di persone di origine popolare di occuparsi di politica.
Rachel Keke, l’operaio e il borghese
di Marcuss, da blogs.mediapart.fr
Introduzione
Il 19 giugno 2022, Rachel Keke è stata eletta deputata nelle liste della NUPES nella settima circoscrizione di Val-de-Marne, sconfiggendo Roxana Maracineanu, ex ministro dello Sport di Emmanuel Macron. Il giorno dopo, è stata oggetto di un gran numero di commenti classisti su vari social network. I commenti erano di questo tono: la classe operaia avrebbe un’inettitudine quasi congenita alla politica istituzionale a causa del suo scarso bagaglio culturale. I lavoratori sono così ridotti alla passività politica, costretti a farsi governare da chi ha i capitali giusti per gestire gli affari politici. Questo articolo si propone di decostruire questa idea, con la nuova deputata come filo conduttore. In primo luogo, presenterò l’itinerario di Rachel Keke dallo sciopero politico al suo arrivo all’Assemblea nazionale. Poi decostruirò la presunta inadeguatezza della classe operaia alla politica istituzionale. Concludo questo pezzo con una lettera aperta alla nuova parlamentare NUPES.
Una figlia della classe operaia ivoriana
Nata nel 1974 in Costa d’Avorio, ad Abobo, uno dei comuni più popolosi del distretto di Abidjan, sua madre era una venditrice di vestiti e suo padre un autista di autobus. Dopo la morte improvvisa della madre all’età di 12 anni, non poté riprendere il percorso scolastico “per tristezza” e si dedicò all’educazione dei suoi quattro fratelli e sorelle. Dopo il colpo di Stato del 1999, l’anno successivo è emigrata in Francia, nella regione di Parigi. Come la maggior parte degli immigrati, ha avuto un inizio difficile. Si spostava regolarmente di residenza, alternando gli edifici occupati agli appartamenti dei parenti. Solo grazie alla legge sul diritto all’alloggio (la Loi DaLo del 2007 che riconosce il diritto a un alloggio dignitoso e indipendente per coloro che risiedono in Francia in modo stabile e regolare e che non possono accedere o mantenere tale alloggio con i propri mezzi, ndt), ha trovato un alloggio permanente. Ha svolto una serie di lavori precari come parrucchiera, cassiera, assistente domiciliare per gli anziani, prima di stabilizzarsi come addetta alle pulizie nel 2003 e poi come governante. È in questa professione che lei e i suoi colleghi hanno intrapreso la più grande lotta sociale nella storia dell’industria alberghiera.
Lo sciopero IBIS di Batignolles
Rachel Keke lavora all’hotel Ibis Batignolles, gestito dal gruppo alberghiero Accor. L’azienda subappalta la manutenzione dei locali alla società STN. Nel 2019, la STN sta cercando di trasferire tredici lavoratori la cui salute è peggiorata in un altro hotel, senza adattare le condizioni di lavoro. Come ogni attività lavorativa, il lavoro di pulizia indebolisce, deteriora e distrugge gradualmente il corpo dei lavoratori. Come testimonia Rachel Keke, la durezza dei ritmi di lavoro, la pressione del capo, la ripetizione quotidiana degli stessi movimenti hanno conseguenze fisiche importanti: mal di schiena, piedi gonfi, lussazioni della spalla, tendiniti, sindrome del tunnel carpale, dolori al polso e al ginocchio che richiedono interventi medici. La sua stessa esperienza lo testimonia. È stata costretta all’inattività per 6 mesi per uno spostamento del disco intervertebrale, poi per 4 mesi per una tendinite.
Di fronte all’indifferenza dell’azienda STN, che cerca a tutti i costi di trasferire i tredici lavoratori indeboliti in barba alle loro malattie professionali, i lavoratori – 17 camerieri, due governanti e un membro dell’équipe – decidono di mobilitarsi contro questo sistema di dominio che li sfrutta in quanto lavoratori, immigrati e persone razzializzate. La lotta inizia il 17 luglio 2019 e termina il 16 marzo 2021. Accompagnati dalla CGT, di cui Rachel Keke è attivista, i lavoratori hanno lottato per 22 mesi, di cui 8 di picchetto. Hanno resistito alle minacce del datore di lavoro, in particolare alla minaccia di licenziamento, e alle intimidazioni e agli insulti provenienti da ogni parte. Dopo 22 mesi di lotta, gli scioperanti hanno ottenuto giustizia. La maggior parte delle loro richieste è stata accettata: l’aumento degli stipendi (da 250 a 500 euro al mese), che verranno pagati il 5 del mese anziché l’11; la riduzione dei ritmi di lavoro per gli addetti alle pulizie; l’installazione di un orologio per consentire il pagamento degli straordinari, che prima non venivano pagati; la riduzione del ritmo di ispezione per gli addetti alle pulizie da 100 a 80 camere al giorno; l’ottenimento di due divise di cotone all’anno, la cui manutenzione è gestita dalla società di subappalto STN; un buono pasto di 7,30 euro al giorno; il ripristino dei due contratti a tempo determinato interrotti durante lo sciopero e l’annullamento del trasferimento dei 10 lavoratori affetti da malattia professionale; e infine una permesso sindacale di 15 ore.
Come leader di questa vittoriosa lotta sociale, Rachel Keke è diventata una figura emblematica della sinistra delle recenti lotte sindacali, soprattutto perché la sua lotta va oltre la classe. In quanto immigrata, razzializzata e lavoratrice, Rachel Keke sta conducendo una lotta contro il capitalismo razzista e patriarcale, lotta che ora vuole continuare sui banchi dell’Assemblea.
Una donna della classe operaia sui banchi dell’assemblea
Al secondo turno delle elezioni legislative, Rachel Keke è stata eletta deputata nella settima circoscrizione di Val-de-Marne nelle liste NUPES, battendo l’ex ministro dello Sport, la macronista Roxana Maracineanu. La donna che si definisce “guerriera”, “femminista”, “difensore dei Gilet gialli”, aspira a portare la voce dei lavoratori invisibilizzati, disprezzati, (sovra)sfruttati: “L’Assemblea Nazionale tremerà!” si legge sul suo account twitter. Dallo sciopero politico all’Assemblea nazionale, Rachel Keke persegue lo stesso obiettivo: “vogliamo solo la nostra dignità”. Una dignità che è stata erosa, se non negata, dal capitalismo razzista e patriarcale.
Dopo l’annuncio della sua vittoria, si sono moltiplicati i commenti razzisti e classisti per stigmatizzare la nuova deputata a causa della sua categoria etno-razziale, della sua doppia nazionalità e soprattutto della sua condizione di classe. In termini pratici, come può una donna delle pulizie essere coinvolta negli affari politici? Rachel Keke si aspettava questo tipo di critiche sulla sua “mancanza di formazione” in politica: “Le persone conoscono il livello di una cameriera, sanno che non ho una laurea (…) Dico quello che sento. Se mi viene posta una domanda su qualcosa che non capisco, non rispondo. I media devono abituarsi a questo (…) Se mi parli usando la lingua francese dell’università, io ti rispondo in francese di periferia!”
Sebbene l’umiltà di Rachel Keke sia da lodare, la classe operaia è costantemente sottoposta a una forma di svalutazione a causa del suo minore bagaglio culturale e simbolico. Si dice che noi, classe operaia, siamo privi di capacità politiche, come se fossero innate, e che ci riduciamo all’espressione di un’esperienza individuale o collettiva. La condizione operaia e la politica istituzionale sarebbero quindi antinomiche.
La “carenza intellettuale” della classe operaia
Il capitalismo è riuscito a costruire un assetto istituzionale in cui la politica istituzionale è riservata a una piccola élite che, possedendo il giusto habitus, il giusto capitale e le giuste credenziali accademiche, può legittimamente garantirsi le posizioni di potere. La debolezza del capitale culturale della classe operaia giustificherebbe quindi la sua esclusione. Questa discriminazione di classe si basa su un’idea quasi biologica della conoscenza intellettuale, una sorta di “immaginario del sangue”, e non come prodotto delle relazioni sociali. Negando il fatto che la politica, in tutte le sue forme, è un apprendistato quotidiano fatto di iniziazioni, incontri, pratiche ed esperienze multiple, è un’intera fascia di popolazione che non sarebbe in grado di esercitare la politica istituzionale, salvo qualche disertore per valorizzare il sistema meritocratico.
Questa convinzione dell’incapacità della classe operaia di gestire la cosa pubblica non è una disfunzione mentale o cognitiva casuale, ma un dominio organizzato consapevolmente dalla borghesia, i cui contorni sono stati perfettamente tracciati da Pierre Bourdieu grazie al suo concetto di “violenza simbolica”. Come scrive il sociologo, “la violenza simbolica è una violenza che deriva dalla rappresentazione sociale, è una violenza a cui si partecipa in prima persona, riconoscendo un dominio come giustificato”. Questa partecipazione inconscia avviene attraverso un fenomeno di introiezione, cioè la persona dominata fa propri i dati esterni imposti dai dominatori che giustificano la sua svalutazione: “La persona dominata vede se stessa attraverso le categorie mentali (gli “occhiali”) dei dominatori, e quindi spesso partecipa alla propria dominazione (dominando se stessa)”. In altre parole, la violenza simbolica è l’interiorizzazione da parte dei dominati delle strutture di dominio che li dominano.
È un processo insidioso che permette di rinnovare e giustificare le disuguaglianze sociali ed economiche senza ricorrere alla violenza fisica. La scuola meritocratica è l’istituzione principale per giustificare questa riproduzione sociale sulla base del possesso o meno di titoli accademici (Ena, Sciences Po, Polytechnique, ecc.), riconosciuti come mezzo legittimo per ottenere posizioni di potere politico, economico e finanziario. Il razzismo dell’intelligenza, altro concetto del pensiero bourdieusiano, si basa su questo capitale educativo. Può essere definita come la produzione, da parte dei dominanti, di una naturalizzazione dei loro privilegi per dare forma a una giustificazione dell’ordine sociale che dominano: “È ciò che fa sì che i dominanti si sentano giustificati nell’esistere come dominanti; che si sentano di un’essenza superiore (…) [il loro] potere riposa in parte sulla posizione dei titoli che, come i titoli accademici, si suppone siano garanzie di intelligenza”.
La nostra società sceglie quindi i “migliori” sulla base di una presunta intelligenza giustificata da titoli scolastici e accademici, ma anche sulla base di particolari abitudini (modo di parlare, di camminare, di stare in pubblico, ecc.) che permettono a chi le detiene di sentirsi l’unico legittimato a occuparsi di affari politici. La mancanza di fiducia della classe operaia, delle sue capacità e potenzialità, si basa in parte su questo razzismo dell’intelligenza borghese e sull’incorporazione di questa violenza simbolica che ci delegittima e che favorisce comportamenti di autoesclusione.
Inoltre, qual è il legame tra il livello di istruzione e la capacità di prendere le decisioni politiche necessarie per ridurre gli effetti negativi delle strutture economiche e sociali sui corpi sociali? L’élite politicamente “istruita” che ci ha governato per troppo tempo ci ha lasciato in eredità, alla fine di ogni mandato, milioni di disoccupati, un’insicurezza sociale ed economica sempre maggiore, nonché un aumento osceno della ricchezza della borghesia, un diritto del lavoro più destrutturato del giorno prima e sistemi sociali, sanitari, assistenziali ed educativi ancora più asfittici, ecc.
D’altra parte, quali misure hanno adottato i lavoratori quando hanno avuto un certo potere nella politica istituzionale? Torniamo alla sequenza storica 1945-1947 con cinque ministri comunisti e operai – Marcel Paul, Ambroise Croisat, Maurice Thorez, François Billoux, Charles Tillon – dopo la vittoria del PCF alle elezioni legislative del 1945. In due anni, il loro lavoro ha portato alla creazione del Regime Generale di Sicurezza Sociale con quattro rami: pensione, assicurazione sanitaria, famiglia (assegni familiari), infortuni sul lavoro e malattie professionali. C’è stato anche uno sviluppo senza precedenti della medicina del lavoro, la creazione di comitati per la salute e la sicurezza, l’istituzione di comitati aziendali, lo status dei minatori, dei lavoratori del gas e degli elettricisti, la regolamentazione degli straordinari, il miglioramento del codice del lavoro, la sicurezza del posto di lavoro nel servizio pubblico e altre riforme sociali che non ho lo spazio per elencare.
In altre parole, non c’è alcun legame tra la famosa intelligenza della borghesia o dei suoi rappresentanti ultra-maggioritari nell’Assemblea e le “giuste” decisioni politiche per la classe operaia. L'”intelligenza” di tutti questi “sapienti” della nostra società è solo una costruzione sociale e politica messa al servizio della difesa degli interessi del capitalismo globalizzato, talvolta nazionalista.
Rachel Keke è altrettanto, se non più, legittimata a occuparsi di questioni politiche. Imparare la politica istituzionale, senza caricaturizzarne o relativizzarne la complessità, è un processo alla portata di tutti i lavoratori che desiderano lavorare sulla conflittualità sociale istituzionalizzata. Come già espresso da Marx nel XIX secolo, le persone si trasformano durante l’attività politica. Quando i lavoratori sono spinti dalle relazioni sociali di dominio a entrare nella lotta sociale, si osservano cambiamenti nella coscienza (classe per sé), nella percezione (cambiamento delle rappresentazioni e attenuazione/abolizione dei pregiudizi), nonché lo sviluppo del potenziale politico e della conoscenza. Per convincersene, basta apprezzare alcune mobilitazioni popolari come il Maggio 68, gli scioperi del 1995, l’effervescenza deliberativa sul referendum sulla Costituzione europea del 2005, i Gilets-Jaunes, o l’insieme delle esperienze di educazione popolare nelle SCOP o nei collettivi dei quartieri popolari.
Lettera aperta a Rachel Keke
Rachel Keke, come comunista rivoluzionario, la politica istituzionale non mi interessa molto. Preferisco la politica popolare, operaia, quella che tu conosci bene, quella che si svolge nelle aziende, quella che organizza picchetti, quella che si svolge nelle strade, nei sindacati, nelle organizzazioni comuniste e anarchiche, nei collettivi di educazione popolare, negli cooperative o nei quartieri popolari. Tuttavia, l’investimento della classe operaia nelle strutture politiche istituzionali è sempre una porta aperta interessante. Se sono convinto che non è tra le mura delle istituzioni che conquisteremo la nostra emancipazione collettiva, in questo luogo è in gioco anche la difesa delle nostre conquiste sociali.
Se i lavoratori sono rari nell’Assemblea nazionale, con la tua vittoria è la prima volta che mi sento rappresentato. La mia bianchezza e il mio genere dominante non cambiano nulla, mi ritrovo in te molto più che in un’assemblea composta principalmente da uomini bianchi dell’alta borghesia. Condivido con te questa condizione di classe. Anch’io faccio parte di “quelli che non sono niente”, questo proletariato invisibile, (sovra)sfruttato, disprezzato, mercificato. Lavorando come assistente di alunni disabili, faccio parte del 5% dei lavoratori più poveri in Francia. Esisto solo grazie alla persona che mi sfrutta. Se possiamo esistere diversamente, collettivamente, come classe per sé, come diceva Marx, prendendo coscienza che i nostri interessi comuni sono antagonisti a quelli di chi ci opprime, dobbiamo ammettere che purtroppo non ci siamo.
Tuttavia, tu puoi farci esistere, con le tue parole, i tuoi discorsi, i tuoi progetti di legge, il tuo sostegno alle lotte che conduciamo ogni giorno per le nostre condizioni di lavoro, per i nostri salari, contro lo sfruttamento che ci espropria di noi stessi e mutila la nostra dignità. Presto sarai in questa arena dove si fa politica, quella della borghesia, dei carrieristi, degli opportunisti, dove regnano il conservatorismo, la demagogia e la collusione tra i partiti. Sarai la nostra voce di classe operaia indisciplinata! Gli habitués dell’assemblea, i carrieristi e gli opportunisti, avendo una maggiore conoscenza dell’assetto e del funzionamento della politica istituzionale, delegittimano tutti coloro che non sono iniziati, cioè la classe operaia. Mostra la tua/nostra legittimità di classe operaia!
Durante la vostra vittoriosa lotta contro il gruppo Accor, sei stata, con le/i tue/tuoi compagne/i, lavoratrici e lavoratori partiti all’assalto del cielo. Nell’Assemblea, fai del tuo meglio per non abbassare la mira.