di Giovanna Russo
1. Una nuova disciplina per un mercato sempre più redditizio
La prostituzione è una questione complessa intrinsecamente legata alle diseguaglianze di genere. In Italia nel secondo dopoguerra la legge Merlin, alla conclusione di una lunga battaglia parlamentare (1), abolì le case chiuse, mediante le quali lo Stato autorizzava e controllava lo sfruttamento sessuale delle donne, e stabilì di non punire né la vendita né l’acquisto delle prestazioni sessuali ma di sanzionare le condotte collaterali (lenocinio, favoreggiamento, adescamento, ecc.). Il suo modello normativo “abolizionista” si basava sull’idea che lo Stato non dovesse criminalizzare le donne cadute nella trappola della prostituzione ma che dovesse contrastare l’organizzazione di un fenomeno, ritenuto ineliminabile, per poterne almeno contenere l’ampiezza (2).
Attualmente nell’agenda parlamentare italiana sono iscritte diverse proposte di legge di modifica della legge Merlin, che mostrano di che tenore sia il dibattito presente in materia di prostituzione e quali siano i suoi riferimenti ad una realtà sociale in continua evoluzione. Alcune proposte mirano a riconoscere e regolamentare il fiorente mercato dei servizi sessuali, altre intendono, invece, combattere il fenomeno sanzionando non solo gli sfruttatori e i trafficanti ma anche il cliente, in quanto partecipe di una forma di violenza sulla prostituta (3). Un’analoga contrapposizione si riscontra in altri Paesi europei, alcuni dei quali (Austria, Germania, Paesi Bassi, Svizzera, Grecia, Ungheria e Lettonia) hanno già legalizzato la prostituzione circoscrivendone l’esercizio alle case di tolleranza o quartieri a luci rosse; altri, invece, (Svezia, Islanda, Norvegia e Irlanda del Nord) hanno introdotto il reato di acquisto di servizi sessuali, con il cosiddetto “modello nordico”. Questo modello è raccomandato dalla Risoluzione del Parlamento Europeo 2013/2103 (INI) su “Sfruttamento sessuale e prostituzione e loro conseguenze per la parità di genere”, approvata il 26 febbraio 2014, che sta trovando diffusione in altri Paesi.
In Italia la pressione sociale per regolamentare quella che viene vista come professione liberamente scelta, è molto forte. Le ordinanze di sindaci per allontanare le prostitute appellandosi alla difesa del “decoro urbano”, le proposte di creazione di uno zoning cittadino a luci rosse sul modello degli Stati più permissivi, l’idea di creare registri per l’iscrizione professionale delle prostitute, le promesse di esponenti politici, generalmente di destra, di adoperarsi per la riapertura delle case chiuse ammiccando implicitamente a nuovi investimenti in un lucroso settore di attività, prendono a pretesto la necessità dei controlli sanitari, della tassazione fiscale e addirittura la tesi che la legalizzazione possa migliorare le condizioni di lavoro delle prostitute, difendendole dalla criminalità organizzata: ma le inchieste sulle esperienze degli Stati che hanno liberalizzato il business della prostituzione mostrano risultati completamente diversi sia sul piano della condizione soggettiva delle donne, sia su quello del legame stretto tra prostituzione e tratta internazionale gestita dalla criminalità organizzata (4).
La questione rappresenta un nodo critico anche nel mondo femminista. Sono nati collettivi di prostitute che si sentono imprenditrici di se stesse, rivendicano la dignità e il riconoscimento di quello che considerano una forma volontaria di lavoro, chiedendo tutele da parte dello Stato e garanzie di diritti (5); di conseguenza si è aperto – più che un dibattito – uno scontro tra gruppi femministi che appoggiano le rivendicazioni dei collettivi in nome dell’autodeterminazione delle donne, ed altri che pensano che la prostituzione rappresenti sempre e comunque una manifestazione estrema di violenza di genere, intrinsecamente indotta dalla subordinazione patriarcale. Le tesi contrapposte vengono espresse solitamente con toni ultimativi, le differenze si dimostrano insanabili (6): chi pensa che la prostituzione non possa essere frutto di una libera scelta, viene accusata di moralismo e di vecchiume ideologico, mentre chi sostiene le richieste delle cosiddette sex workers (7) é accusata di rendersi complice del sistema patriarcale e di danneggiare le altre donne confermando l’idea che il corpo femminile sia una fonte, sempre disponibile, di intrattenimento maschile.
La prostituzione nella società contemporanea è certo un fenomeno multiforme, dai confini spesso sfuggenti e diverse implicazioni identitarie che le letture semplificatorie non aiutano a decifrare. Proviamo a fare qualche considerazione, per quanto sicuramente non esaustiva (8), mettendo a fuoco l’oggettiva dimensione del mercato dello scambio “sesso-denaro”, l’evoluzione delle sue forme e le relazioni globali entro cui prende forma la vendita della merce donna nell’epoca contemporanea, con l’obiettivo di aprire uno spazio di analisi e di discussione che investa la riflessone politica più ampia
2. Valore e struttura dei mercati del sesso
La prostituzione è la terza industria illegale del mondo per fatturato, dopo quella delle armi e della droga.
Se l’economia internazionale è in affanno per le crisi economiche, sanitarie, ambientali ed ora anche militari, i mercati del sesso non mostrano affatto segnali di recessione e, anzi, tendono all’espansione.
Per quanto sia difficile indagare questo tipo di business, per le fonti informative poco stabili e spesso distorte che lo caratterizzano, l’Istat stima che in Italia la spesa per i servizi sessuali a pagamento nel 2019 (prima del covid) ammontava a 4,7 miliardi di euro di consumi finali, con 4 miliardi di valore aggiunto (detratte, cioè, le spese di realizzazione) (9). Il business si è mantenuto mediamente stabile nel quadriennio 2016-2019, con una crescita media annua dello 0,8 per cento. Con l’arrivo del coronavirus, il mercato non ha subito contrazioni ma ha registrato una modifica nella tipologia delle prestazioni: se la prostituzione in strada si è fermata durante il lockdown, in cambio è aumentato il ricorso alle webcam (+60% rispetto al 2019) con lo sviluppo degli annunci pubblicati sul web ed è cresciuta fortemente la quota di prostituzione indoor. Sebbene diversi casi di attività individuale indipendente in questa fase abbiano subito un rallentamento, complessivamente il valore del mercato non ha subito ribassi, la domanda é rimasta sempre attiva sollecitando l’offerta a superare i limiti imposti dalle circostanze.
Al momento dell’approvazione della legge Merlin, le “case chiuse” erano 560 e ospitavano circa 2.700 prostitute; nelle condizioni materiali dell’epoca la prostituzione non generava un rilevante giro di affari. Oggi l’attività è svolta da 90mila operatrici stabili, di cui il 55% di straniere provenienti principalmente dai paesi dell’Europa dell’Est e dall’Africa, il 10% minorenne, alle quali bisogna aggiungere almeno 20mila precarie, casalinghe o studentesse che vendono prestazioni sessuali per coprire spese occasionali (affitti, bollette, abbigliamento ecc.). Il mercato é alimentato da una domanda di circa 3 milioni di consumatori; le tariffe sono fortemente variabili: dai pochi euro per una videochiamata a luci rosse ai 500 euro ad ora per le escort che offrono servizi più esclusivi (10). Inoltre i processi di globalizzazione e l’accrescersi della frammentazione sociale all’interno delle stesse società occidentali, hanno indotto un’esplosiva moltiplicazione dei luoghi e delle forme di vendita del sesso: si dovrebbe più adeguatamente parlare di “prostituzioni”, come fenomeno non omogeneo e articolato su più livelli. L’attività si svolge, oltre che in strada o nei classici appartamenti, nei più diversi luoghi, dai ristoranti ai club e ai centri massaggi, dai locali a luci rosse agli alberghi ad ore ecc.; le nuove tecnologie hanno consentito la nascita delle videocassette hard, delle webcam, delle chat erotiche e dei siti porno (11). Ne derivano fondamentali differenze di condizioni tra le donne che esercitano la prostituzione.
Il segmento maggioritario è costituito da donne e ragazze vittime della tratta, reclutate da individui o gruppi criminali nella disparità crescente tra le aree del pianeta, spinte del bisogno economico, dalla ricerca di occasioni di vita migliori, dall’inganno di una promessa di lavoro seguita poi da richieste di pagamenti esorbitanti per superare le frontiere della “fortezza Europa” erette contro gli immigrati, e per sfuggire all’espulsione (12). Complici le politiche nazionali securitarie, le donne, prive dei requisiti richiesti per il permesso di soggiorno, non possono sfuggire ai brutali ricatti di una violenza che si traduce in uno sfruttamento ai confini con la riduzione in schiavitù.
La Fondation Scelles, che pubblica rapporti mondiali sulla prostituzione, alcuni anni fa stimava che la tratta a scopo di sfruttamento sessuale investe da 40 a 42 milioni di persone nel mondo (0,6% della popolazione), al 90 % sotto il controllo di uno sfruttatore. Su 10 vittime della tratta 5 sono donne adulte, 2 ragazze, il resto maschi adulti e minori. Il numero di bambine e bambini è crescente. Il giro globale di affari si aggira intorno a 186 miliardi di dollari all’anno (13). Questa massa immigrata, che ha bisogno di essere continuamente rinnovata per sostituire le persone logorate dalla violenza degli abusi continui, ha cambiato il quadro tradizionale della prostituzione: per dirla con Monica Massari, l’immagine classica della prostituta, una volta conosciuta con il suo nome, legata ad un luogo, con una storia ed una connotazione specifica, è stata sostituita da una prostituta-massa senza nome né storia : le Albanesi, le Romene, le Nigeriane… corpi usa e getta, di scarso valore, inferiorizzati dal ruolo e dalle rappresentazioni razziste (14).
Condizioni di lavoro assai simili riguardano anche le autoctone, generalmente appartenenti agli strati sociali più marginali, che si trovano coinvolte in una storia di prostituzione per mancanza di alternative in un contesto di vita di grave disagio economico e sociale, di personale fragilità socio-relazionale, di tossicodipendenza. Le testimonianze delle poche che riescono ad uscire dalla rete parlano di gravi ricadute sulla salute, per le patologie connesse all’abuso di alcool e sostanze stupefacenti, malattie, aborti non sicuri, e di gravi disturbi psichici da stress post-traumatico: la stessa classe di trauma di cui soffrono le vittime di tortura o di guerra.
Difficile in questi casi parlare di libera scelta e autodeterminazione individuale.
In altre circostanze, invece, le donne hanno margini di autonomia e di capacità decisionale. Nei mercati del sesso contemporanei sono nate figure di prostituzione ibride, di ambigua collocazione per le dinamiche di origine e le peculiari modalità con cui si realizzano: le escort, ad esempio, possono selezionare i clienti e i contesti più favorevoli, anche di lusso, ed ottenere guadagni considerevoli; le nuove tecnologie mettono in grado di gestire senza intermediari l’offerta di prestazioni sessuali, anche saltuarie o temporanee. Anche nell’ambito della prostituzione immigrante, a fianco al fenomeno del traffico destinato coercitivamente alla prostituzione, si sono sviluppate correnti di donne adulte e di transessuali che si spostano da un paese all’altro per lavorare con maggiore autonomia nel mercato del sesso (15).
Le donne occupano posizioni materialmente diverse nella società capitalistica: la prostituzione ne riproduce le disuguaglianze, inscindibile com’è dalla struttura delle relazioni, dalle culture, dalle caratteristiche individuali di partenza che contribuiscono a determinare le traiettorie personali. Di conseguenza un fronte che dovrebbe essere unito contro un ordine sociale che mercifica i rapporti sessuali e assoggetta le donne in un ruolo subalterno e schiavizzante, si divide e la parte (relativamente) privilegiata chiede la liberalizzazione dell’attività per potervi accedere in modo più favorevole, senza pensare a come si potrebbe riverberare sulla condizione di chi è più sfruttata e più vulnerabile. E’ quello che accade anche in altri casi: per esempio, il tema della gravidanza conto terzi, o utero in affitto, genera le stesse contrapposizioni, per la diversità delle collocazioni di classe, delle storie personali, per la difficoltà a riconoscersi in un’esperienza comune.
Ma davvero può esserci una scelta libera o la violenza è introiettata così profondamente da non essere più riconosciuta?
3. Il lavoro sessuale è un lavoro “come gli altri”?
Nello scenario descritto, sembra poco utile ricercare una definizione univoca di fenomeni dalle forme e dalle dinamiche così diverse: piuttosto ci sarebbe bisogno di inquadrarle in una cornice teorica che ne spieghi le relazioni con la struttura sociale, con i modi di produzione e riproduzione, con le modificazioni avvenute nel corso del tempo.
Qualche sintetica e parziale osservazione in questo senso.
1. Se nei mercati del sesso le donne si trovano sempre a rappresentare l’offerta e gli uomini sempre la domanda, una spiegazione ci deve essere, a meno che non si ritenga che questa posizione sia iscritta nella natura biologica… La sciocca affermazione per cui la prostituzione sarebbe “il mestiere più antico del mondo”, naturalizza la sottomissione sessuale come carattere tipico della femminilità e mistifica quello che è, invece, un rapporto di potere. L’agire umano non è guidato da una immodificabile struttura psichica fisicamente connotata, ma dalla realtà modificabile dei rapporti sociali.
E’ vero che la prostituzione si è presentata a partire dalle società umane più antiche, ma nella storia sono cambiati il suo significato e la sua funzione, ed è mutata la logica di intervento da parte del potere politico. La sua nascita risale alla doppia categorizzazione delle donne da parte di un potere patriarcale: da una parte nella famiglia monogamica le mogli e madri della discendenza, nei ruoli della riproduzione biologica e di cura, dall’altra le prostitute a disposizione della sessualità maschile fuori del matrimonio. Nei secoli si sono susseguite fasi di accettazione – addirittura di rispetto, nel caso della prostituzione “sacra”, sia maschile che femminile, delle antiche società agricole, ispirata a visioni collegate al rito della fertilità – e fasi di riprovazione morale, di proibizione o di tentativi di regolamentazione, in cui l’ordine giuridico è intervenuto a garanzia degli equilibri sociali in rapporto alle condizioni materiali e ideali dell’epoca. Nella società capitalistica, la vendita di servizi sessuali è ancora e sempre prodotto dell’antica diseguaglianza di potere che si coniuga con i principi dell’ordinamento del mercato.
2. La legge del capitale che si invera nella pratica dello scambio – servizio sessuale contro denaro – rimane nascosta, perché il carattere feticista della merce nasconde i rapporti sociali. Scriveva Marx a proposito della merce prodotta dal lavoratore: “Il carattere misterioso della forma-merce consiste nel fatto che la merce riflette le caratteristiche sociali del lavoro dell’uomo come caratteristiche oggettive dei prodotti stessi del lavoro, come proprietà socio-naturali degli oggetti” …
Anche in questo caso, la merce – la prestazione sessuale, che è il corpo stesso della prostituta – appare come qualcosa di estraniato e separabile dal proprio sé. Nella prostituzione non si compra un’attività che ha come supporto il corpo (come ogni altra attività manuale o intellettuale), si compra il supporto stesso, un corpo di cui in quel momento l’acquirente si sente padrone perché ne ha pagato l’uso: ma non é il denaro che crea la merce (l’oggetto sessuale), è l’essere merce che fa sì che un corpo umano possa essere comprato.
3. La frattura interna al mondo femminista è anche generazionale. Negli anni Settanta del Novecento, il movimento femminista della cosiddetta “seconda ondata” diede vita ad un soggetto di lotta collettivo che rivendicò il diritto di disporre del proprio corpo ma, poiché non cambiarono in profondità i rapporti sociali, l’enorme capacità del capitalismo di recuperare in seguito ciò che ha dovuto in un certo momento concedere, ha capovolto quella rivendicazione in una idea di individualismo consumistico. Il femminismo di nuova generazione, influenzato dal post modernismo, guarda alla condizione individuale senza riferimento ad un’analisi del potere sociale e vede nella prostituzione un lavoro come un altro, che si può scegliere liberamente: tutto è lecito, se è frutto di una “scelta”, come se lo scambio sui mercati del sesso fosse un contratto tra individui uguali, liberi e indipendenti, e non esistessero condizioni economiche, sociali, culturali che riproducono in modo sistemico le diseguaglianze e i diversi ruoli delle donne e degli uomini.
Il potere non sempre ha modalità apertamente impositive, può affidarsi alla dinamica del mercato e permettere ad un certo numero di donne di stare in un’area di condizioni relativamente più accettabile, mentre si allarga la riserva di dominio brutale sulla massa delle più sfruttate (16). Divide et impera, come si diceva nell’antichità.
4. Essere oggetto sessuale è un dato comune alla generalità delle donne, a prescindere dalla loro collocazione nel campo dell’appropriazione sessuale pubblica o in quello del privato familiare, si manifesta nei comportamenti, nel linguaggio, nel modello di sessualità predatoria, nell’idea di possesso fino all’estrema violenza del femminicidio. È questa condizione che deve essere eliminata affinché si elimini il “mestiere” della prostituta. Perciò vediamo i limiti di normative che pure intendono contrastare la legittimità della riduzione delle donne a oggetto sessuale, solleviamo la questione che non è possibile una liberazione che sfugga realmente alle forme patriarcaliste e proprietarie del potere, senza il rilancio di una lotta generale e collettiva contro l’intero ordine sociale imposto della classe dominante, in cui si intrecciano strutturalmente molteplici assi di dominio. Tanto più che oggi, al contrario, vediamo rilanciare il controllo sul corpo delle donne, sul loro potere riproduttivo nell’ambito di una sessualità rigorosamente eterosessuale, un attacco ai diritti di libertà già conquistati, come il diritto all’assistenza e alla gratuità dell’aborto insieme a quello della salute riproduttiva, che le politiche della classe dominante e l’avanzata delle destre nel mondo stanno mettendo pesantemente in discussione.
La conclusione non può che essere amara.
La lotta delle donne potrà andare avanti in maniera unitaria solo se saprà vedere qualcosa di comune per tutte, nonostante la diversa collocazione lungo la catena delle diseguaglianze sociali, senza dimenticare la posizione dei soggetti più vulnerabili, se riuscirà a condividere un’analisi critica radicale della società e dei rapporti strutturali di potere che condizionano la nostra soggettività, dandosi l’obiettivo del capovolgimento del sistema dello sfruttamento e dell’oppressione … altrimenti proseguirà secondo strade sempre più separate, soffrendo di una maggiore e dolorosa debolezza.
Note
1) Il disegno di legge fu presentato dalla senatrice Lina Merlin il 16 agosto 1948 e diventò legge dello Stato 10 anni dopo, il 20 febbraio 1958, con il parere contrario dei missini e dei monarchici. Ciò che valse a superare definitivamente le opposizioni parlamentari fu la necessità di ratificare la Convenzione dell’ONU che riteneva la prostituzione e la tratta ai fini di prostituzione «incompatibile con la dignità e il valore delle persone umane» (Preambolo alla Convenzione, 1949).
2) Il modello “abolizionista” è espressione di un processo di cambiamento della visione ottocentesca che circondava di disprezzo le meretrici, le riteneva massimo esempio di devianza sociale femminile, rinchiudendole nelle “maisons clauses” di Bonaparte che il Regolamento Cavour diffuse gradualmente in tutta Italia. Cfr. Villa, Renzo 1981, Corbin, Alain 2011.
3) Sono state presentate numerose proposte di regolamentazione, tra le più annose quella avanzata dieci anni fa da Livia Turco per la riapertura delle case chiuse; tra i disegni di legge recenti basati sull’esempio del modello nordico, le iniziative della senatrice Caterina Bini (PD) e della senatrice Alessandra Maiorino (M5S).
4) La Risoluzione del Parlamento Europeo 2013/2103 (INI) del 2014 riconosce che la criminalità organizzata svolge un ruolo di rilievo laddove la prostituzione è legale. Cfr. anche “Non sono in vendita”. Prostituzione e tratta. Dossier contro la proposta di regolamentazione della prostituzione in Italia.
5) In Italia il “Comitato per i diritti civili delle prostitute”, nato a Pordenone nel 1982, ha prodotto i primi discorsi rivendicativi sulla prostituzione come lavoro per chi si prostituisce in condizioni di libertà.
6) Un episodio per tutti: a Roma, alla Casa internazionale delle donne di Roma, il 12 ott 2017, la presentazione del libro di Rachel Moran, una ex prostituta oggi attivista dei diritti civili, dal titolo Stupro a pagamento. La verità sulla prostituzione, nel quale l’autrice denuncia le vicende di violenza da lei stessa vissute, è stata interrotta dall’irruzione del collettivo Ombre rosse, attivo nella lotta per il riconoscimento delle sex workers come soggettività autodeterminate. Cit. in Abbatecola, Emanuela 2018.
7) Il termine è stato proposto da Carol Leight alla fine degli anni 1970 in sostituzione di quello stigmatizzante di “prostituta”. Cfr. Leigh, Carol 2004.
8) In particolare non ci soffermiamo sulla prostituzione maschile e omotransessuale, che è molto meno diffusa di quella femminile ed investe problematiche specifiche.
9) Istat, Report sull’economia sommersa, 18 ottobre 2021.
10) Questa informazione in particolare è frutto un’indagine campionaria effettuata dal Codacons in tre grandi città: Milano, Roma e Napoli.
11) Cfr Massari, Monica 2009.
12) A proposito di forme di ricatto, nel caso delle Nigeriane, il gruppo più numeroso in Italia, molte ragazze prima di partire vengono sottoposte a un rito vudù nel quale promettono di estinguere il loro debito di viaggio, altrimenti ne andrà la vita dei famigliari.
13) Fondation SCELLES (2012) Rapport mondial sur l’exploitation sexuelle: La prostitution au cœur du crime organisé; UNODC (United Nations Office on Drags and Crime), Global Report on Trafficking in persons. Havocscope (global black market information) havocscope.com
14) Cfr. Massari, Monica cit.
15) Cfr Abbatecola,E. cit.
16) Cfr. Rudan, Paola 2020
Bibliografia
Abbatecola, Emanuela Trans-migrazioni. Lavoro, sfruttamento e violenza di genere nei mercati globali del sesso, Rosenberg & Seller 2018
Corbin, Alain Les filles de noces. Misère sexuelle et prostitution au XIXe et XXe siècle
Faludi, Susan American Electra: feminism’s ritual matricide», in Harper’s magazine, 10/2010
Friso, Arianna La prostituzione nel mondo capitalistico occidentale tra problema morale e questione sociale. Traiettorie, voci, analisi in Balthazar n.1/2020
Leight, Carol Unrepetant Whore:Collected Works of Scarlot Harlot, Last Gasp,San Francisco 2004
Massari, Monica The Other and her Body: Migrant Prostitution, Gender Relations and Ethnicity , Cahiers de l’Urmis 2009, on line http://journals.openedition.org/urmis/787
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Pasqualini, Arianna Feminist Sex Wars in Diacronie. Studi di storia contemporanea, disponibile in https://doi.org/10.4000/diacronie.6742
Rudan, Paola Donna. Storia e critica di un concetto polemico, Il Mulino 2020
Villa, Renzo Sul processo di criminalizzazione della prostituta nell’Ottocento, in Movimento Operaio e Socialista Anno IV (Nuova Serie) n. 3 luglio-settembre 1981