di Antoine Larrache, dalla Rivista L’Anticapitaliste n°135 (maggio 2022)
Siamo entrati in una nuova fase di ricomposizione della sinistra politica. Dobbiamo trarre tutte le conseguenze, inserirci in questa battaglia per portare avanti le idee rivoluzionarie.
I risultati di Mélenchon sono indiscutibili. È un voto di classe, con il 50, 55 o addirittura il 60% dei voti nei quartieri popolari e un sostegno massiccio, ottenuto grazie al posizionamento contro Macron e contro l’estrema destra, agli slogan sociali e a un discorso rinnovato contro il razzismo e l’islamofobia. Decine di migliaia di persone si stanno attivando, anche se bisognerà verificare che ciò si mantenga nel tempo. Si è aperta una fase in cui si stanno facendo esperimenti massicci sul terreno della militanza, certo elettorale, ma che non è più – in questa fase – limitata agli apparati ossificati della sinistra istituzionale…
Una corrente che rompe con la gestione passata del capitalismo
Non stiamo certo osservando una rivolta di milioni di persone, ma “[la scienza esige] che si tenga conto di tutte le forze: gruppi, partiti, classi e masse che agiscono nel Paese, invece di determinare la politica unicamente sulla base dei desideri e delle opinioni, del grado di coscienza e della disponibilità alla lotta di un singolo gruppo o partito” (come diceva nel 1920 Lenin in “L’estremismo malattia infentile del comunismo”). La situazione deve essere analizzata alla luce dei rapporti di forza globali, ovvero l’ascesa dell’estrema destra e del pericolo fascista, le politiche ultraliberiste e autoritarie di Macron e la debolezza delle mobilitazioni sociali.
I margini di manovra che consentivano un capitalismo paternalistico e redistributivo si stanno riducendo, nonostante – e a causa – delle centinaia di miliardi investiti durante la crisi sanitaria per evitare il naufragio economico, e questo sta portando a un intenso logoramento degli apparati di gestione che sono il Partito Socialista e la i Repubblicani (LR, il centrodestra).
L’ostilità degli editorialisti borghesi dimostra che la classe dominante non vuole integrare Mélenchon e la NUPES nella gestione dei suoi affari. La [scrittrice “femminista, ndt] Caroline Fourest denuncia così “ciò che separa una sinistra radicale, piuttosto identitaria, ostile all’Unione europea e ai suoi trattati, e una sinistra più responsabile, repubblicana, laica e universalista”. Questo discorso si combina con tutte le sfumature di un’offensiva razzista, dall’affare Taha Bouhafs alla campagna contro l’autorizzazione del burkini a Grenoble, mostrando fino a che punto il razzismo sia uno strumento per attaccare le classi lavoratrici e le loro rappresentanze politiche.
Il tentativo di accordo tra l’NPA e la NUPES
È in questo contesto che l’NPA voleva un accordo con l’Unione Popolare. Per accompagnare la ricostruzione della coscienza di classe che sta avvenendo attraverso il voto di Mélenchon, per agire all’interno del movimento reale e non come critico esterno.
Questo approccio, per noi insolito, non è nuovo nel movimento operaio rivoluzionario. Ne La malattia infantile, Lenin difende una posizione simile: “Dal fatto che la maggioranza degli operai in Inghilterra segue ancora i Kerensky o gli Scheidemann inglesi; dal fatto che non ha ancora avuto l’esperienza del governo di questi uomini, esperienza che è stata necessaria in Russia e in Germania per realizzare la transizione di massa degli operai al comunismo, ne consegue […] con certezza, che i comunisti inglesi devono partecipare all’azione parlamentare, devono aiutare dall’interno del parlamento le masse lavoratrici a giudicare il governo Henderson-Snowden dalle sue azioni, devono aiutare gli Henderson e gli Snowden a sconfiggere Lloyd George e Churchill insieme. Fare diversamente significa ostacolare l’opera della rivoluzione, perché se non c’è un cambiamento di prospettiva nella maggioranza della classe operaia, la rivoluzione è impossibile; e questo cambiamento si ottiene con l’esperienza politica delle masse, mai con la sola propaganda”.
L’accordo inizialmente proposto dall’Unione Popolare assomigliava a quello che Lenin propone di seguito: “Il Partito Comunista propone agli Henderson e agli Snowden un ‘compromesso’, un accordo elettorale: marciamo insieme contro la coalizione di Lloyd George e dei conservatori; ci dividiamo i seggi parlamentari in proporzione al numero di voti dati dagli operai o al Partito Laburista o ai comunisti (non alle elezioni, ma in una votazione speciale); manteniamo, da parte nostra, la più completa libertà di propaganda, agitazione, azione politica”.
Per noi si trattava di aiutare la vittoria di una sinistra ricomposta, che non si percepisce come partecipe della gestione del capitalismo, di accompagnare questa dinamica, di collegarci a un ambiente molto ampio che vuole influenzare la situazione, cambiare i rapporti di forza e imporre richieste sociali, per prolungare questa dinamica nella costruzione delle lotte.
Purtroppo, l’accordo non è stato raggiunto perché la leadership dell’UP ha preferito un accordo con il PS. Ciò è dovuto alla volontà, indicata fin dall’inizio dalla leadership dell’UP, di “costruire una dinamica maggioritaria”. Avevamo ingenuamente interpretato – ma in politica l’ingenuità è una qualità, una forma di ottimismo della volontà se non si trasforma in opportunismo – questa formula come una volontà di conquistare la maggioranza all’Assemblea, cosa che ci trovava d’accordo, mentre in realtà ci veniva chiesto di essere pronti al compromesso con chi avrebbe accettato Mélenchon come primo ministro. Ciò ha portato alla ricerca di compromessi sempre più a destra, prima con l’EELV (i Verdi, ndt), poi con il PS, sia sui rapporti di forza che sulle questioni programmatiche.
Accettazione del quadro di riferimento del sistema
Il programma dell’UP è stato costruito sulla base di discussioni all’interno di gruppi di lavoro, elaborati da intellettuali riformisti radicali, sindacalisti, ricercatori e attivisti, sulla base di ciò che hanno analizzato come bisogni sociali. C’è una distanza tra questi ultimi e gli attivisti, la moderna aristocrazia operaia (per utilizzare la definizione usata da Engels nella “Prefazione all’edizione tedesca del 1892 de La situazione della classe operaia in Inghilterra”), sinceramente preoccupata per i bisogni sociali delle classi lavoratrici, ma che tuttavia beneficia di condizioni di vita più favorevoli ed è più integrata nel capitalismo grazie al suo posto nella società.
Questo rapporto con il sistema si è concretizzato dallo slogan “Mélenchon primo ministro”. Questo slogan mira a mantenere lo slancio elettorale delle elezioni presidenziali. Ma opera una continuità tra la funzione presidenziale, altamente antidemocratica, e la ricerca di una maggioranza parlamentare, cancellando nel processo le critiche sovversive rispetto alla Quinta Repubblica inscritte nel programma di Mélenchon per una “Sesta Repubblica”. Abolizione della carica presidenziale, piena rappresentanza proporzionale, ecc.
Durante le discussioni programmatiche con l’Unione Popolare, l’NPA ha proposto un aumento uniforme dei salari. Questa proposta è stata rifiutata con la stessa motivazione che questo non rientra nelle prerogative del Primo Ministro, del governo e dell’Assemblea, ma che si dovrebbe organizzare una conferenza sociale tra i sindacati e il Medef per discuterne…
In sostanza, la trasformazione dell’UP in NUPES, sotto la pressione della posta in gioco delle elezioni legislative e del desiderio di essere credibili in queste elezioni, corrisponde a livello programmatico a un livello superiore di accettazione del quadro istituzionale della Quinta Repubblica.
Il rapporto della NUPES con le lotte sociali
L’Unione Popolare è riuscita a federare gran parte degli attivisti delle ultime lotte significative: esponenti degli scioperi del gruppo di imprese turistiche TUI, dell’ Hotel Ibis Batignolles e delle metropolitane parigine, ad esempio, che nel corso delle loro azioni avevano comunque creato legami con l’estrema sinistra. Anche la maggior parte degli intellettuali della sinistra radicale si è unito alle file dell’UP, contribuendo alla sua solidità programmatica.
Ma, in pratica, sono naturalmente gli strati superiori a dominare il parlamento dell’UP: insegnanti, funzionari eletti, funzionari politici o sindacali, perché il posto dei lavoratori in fondo alla scala è meccanicamente ridotto dalla debolezza delle lotte sociali, e devono affrontare l’impossibilità di liberare tempo da investire in discussioni strategiche.
Questa tendenza è rafforzata dal metodo di definizione dei candidati alle elezioni legislative: l’apparato nascente deve dare spazio a figure militanti che si sono investite, che animano le strutture e che aspirano ad avere un posto nell’animazione politica, cosa che un posto nel parlamento nazionale consente. Così, il NUPES non sfugge alla tendenza abituale delle organizzazioni di sinistra di paracadutare figure in circoscrizioni popolari e facilmente conquistabili, indipendentemente da eventuali gruppi militanti esistenti in loco. La contraddizione è ancora più forte quando i candidati provengono dal Partito Socialista, o addirittura dal riciclaggio del macronismo.
Fino al punto in cui verificano delle rotture: Jérôme Lambert, contrario al matrimonio per tutti, ha dovuto essere scartato in Charente, mentre diversi candidati, tra cui Hubert Julien-Laferrière nella Rhône, consentono candidature alternative sostenute da settori del PCF e della France insoumise. Ma a farne le spese è un collettivo come “On s’en mêle”, che nota come il posto dei candidati e dei gruppi di attivisti provenienti dai quartieri popolari si sia notevolmente ridotto4.
Il rapporto con gli attivisti delle lotte è quindi contraddittorio: da un lato, la NUPES si nutre delle lotte, dà loro voce ed è un’occasione per dare fiducia alle classi lavoratrici per crearle; dall’altro, ne assorbe alcune e ne allontana altre, il che ci riporta alla funzione integrativa della democrazia borghese, capace di portare le proteste all’interno delle istituzioni per farle uscire dalle piazze.
Da questo punto di vista la partita non è ancora chiusa, perché ci sono delle controtendenze, come quella di Danièle Simonnet, che in un’assemblea generale di circoscrizione spiega che saranno necessarie delle lotte, che il NUPES vinca o meno, perché “il sistema resisterà”, o quella di Rachel Kéké, che vuole portare la voce di chi viene dal basso nell’Assemblea.
L’apparato statale attacca la NUPES su due fronti
Il primo è l’assorbimento di migliaia di persone nella gestione quotidiana: deputati, addetti parlamentari dopo i consiglieri regionali o dipartimentali, sindaci, consiglieri comunali, sono tutti attivisti distaccati dal loro ambiente, dai loro legami collettivi e dalle loro lotte. “La fonte del burocratismo risiede nella crescente concentrazione dell’attenzione e delle forze del Partito sulle istituzioni e sugli apparati governativi” (Un nuovo corso, Trotsky, 1923). La radicalità trascinata nelle istituzioni rischia di annegarvi.
Il secondo è l’ingresso del Partito socialista e di Europe Écologie Les Verts, che ha modificato le dinamiche della coalizione elettorale, il suo equilibrio complessivo. Gli eletti del Partito Socialista e gran parte dei Verdi costituiscono una forza ineludibile all’interno del NUPES, soprattutto perché sono i più esperti nell’esercizio istituzionale. È stato il numero di circoscrizioni assegnate al PS a causare concretamente la rottura dei negoziati tra l’NPA e l’UP: Tutto poteva essere discusso in termini programmatici a patto di mantenere la nostra indipendenza, potevamo anche ridurre fortemente il numero di circoscrizioni che ci venivano proposte… ma proporre 70 circoscrizioni al PS e 100 all’EELV significava offrire un terzo dei seggi alle correnti social-liberali, le più integrate con il capitalismo e la gestione degli affari della borghesia, non solo in passato nei governi di Jospin e Hollande, ma anche oggi in molteplici comunità locali. Dare così tante circoscrizioni al PS era una garanzia per l’apparato che sarebbe stato in grado di offrire posizioni alla sua ala più a destra, direttamente borghese. Inoltre, Joël Aviragnet viene appoggiato molto tranquillamente come candidato del NUPES nell’ottava circoscrizione della Haute-Garonne, anche se fa parte della corrente di Carole Delga (presidente della regione dell’Occitania e dirigente del settore più retrivo del PS, ndt), che presenta candidati dissidenti del PS contro il NUPES in altre circoscrizioni della regione!
Un governo NUPES subirebbe la pressione diretta di queste correnti, senza le quali non ci sarebbe una maggioranza parlamentare, e, attraverso questa, dei ministri. In questa discussione ritroviamo più o meno lo slogan “fuori i ministri borghesi”, tradizionalmente proposto dai trotskisti per sottolineare i compromessi delle organizzazioni operaie con il Partito Radicale, rappresentante di una borghesia di sinistra, difensore indefesso della proprietà privata e dell’apparato statale. L’integrazione dell’ala destra del PS nella coalizione è come un cappio che l’UP si è avvolto intorno al collo per impedirgli di portare avanti il suo programma. Come disobbedire all’UE condividendo il potere con il PS? Come controllare gli alti funzionari e l’apparato di repressione con una corrente così legata alle politiche liberali e repressive degli ultimi decenni?
Un parere sulla crisi in arrivo
I possibili esiti di queste elezioni legislative sono molteplici. La cosa più probabile è che Macron acquisisca la maggioranza per continuare le sue politiche distruttive. La cosa meno probabile è che il NUPES ottenga la maggioranza, anche se non possiamo escludere questa possibilità a causa della dinamica militante che esiste su questo versante quando l’estrema destra sembra rallentata dalla sconfitta delle elezioni presidenziali e Macron in difficoltà a formare un nuovo governo. Una terza possibilità è una configurazione senza precedenti in cui non ci sarebbe una maggioranza nell’assemblea. La pressione sarebbe quindi massima sui membri del PS e dell’EELV eletti nel NUPES per formare un governo di Unione Nazionale con Macron sotto la pressione dell’estrema destra. In ogni caso, nei prossimi mesi si verificheranno eventi importanti e la polarizzazione tra i tre blocchi – l’estrema destra, la sinistra ricomposta e il bonapartismo di Macron – è una rappresentazione della crescente instabilità della situazione e del fatto che stanno nascendo acuti conflitti di classe.
Per i rivoluzionari, la vittoria della sinistra sarebbe un elemento importante per acuire le contraddizioni della situazione e accelerare i chiarimenti. Innanzitutto, non siamo indifferenti a una vittoria o a una sconfitta dei macronisti alle elezioni legislative. Se vinceranno, inizieranno la loro politica di rottura sociale.
Mentre se il NUPES dovesse vincere, o almeno impedire a Macron di ottenere la maggioranza nell’Assemblea, l’iniziativa politica si sposterebbe in direzione delle classi lavoratrici – l’estrema destra e la borghesia sarebbero disorientate.
Per intervenire in questo contesto, dobbiamo partire da una contraddizione che riassume la nostra situazione. Philippe Poutou è la seconda figura più popolare tra gli elettori di sinistra dopo Jean-Luc Mélenchon … ma il suo punteggio è stato dello 0,77% alle elezioni presidenziali. La nostra capacità di riorganizzazione, di guida, è estremamente limitata nonostante la simpatia che si esprime intorno a noi.
Dopo la campagna presidenziale, c’è stato anche il rischio di rimanere chiusi in una logica di autocostruzione che si è già rivelata inutile: rispetto alla LCR, abbiamo registrato un forte calo dell’integrazione del partito all’interno delle masse, perdendo un gran numero di militanti inseriti in organizzazioni di massa – sindacati, associazioni come la DAL, la FCPE, Act Up o Agir contre le chômage, strutture di sostegno ai migranti irregolari e tutte le altre strutture di quartiere, strutture di solidarietà internazionale, eccetera – che si sono peraltro a loro volta indebolite. Il tutto a scapito della conoscenza delle lotte reali condotte dal proletariato. La nostra attività si limita spesso alla propaganda e alla partecipazione – a volte anche dall’esterno – alle lotte sindacali.
Il nostro impianto rischia di seguire la tendenza degli attivisti di strati medi o alti della società a intervenire, dall’esterno e come coloro che non praticano in prima persona la lotta di classe, sia nelle fabbriche che nei quartieri popolari. È allora che si sviluppa una visione ideologica della politica, che consiste nel discutere di politica a partire da un’analisi teorica lontana dalla realtà della coscienza, incoraggiando un linguaggio militante riservato agli iniziati, incapace di collegarsi alle masse e di rispondere alle grandi questioni politiche. Abbiamo bisogno di uno shock che ci ricolleghi alle preoccupazioni e alle reali modalità di azione delle classi lavoratrici.
Nel 20° arrondissement di Parigi, ad esempio, stiamo cercando di integrarci nella campagna di Danièle Simonnet, che combina momenti di dibattito collettivo con un lavoro sistematico di incontro con gli abitanti di questo quartiere molto popolare, distribuendo volantini davanti alle scuole e andando porta a porta la sera. Gli attivisti dell’LFI stanno cercando di ricostruire un tessuto politico che è scomparso con la caduta del PCF, con responsabili di fabbricato, incontri nelle sale condominiali, il più vicino possibile alla popolazione.
Condurre le battaglie politiche
L’adesione al movimento attuale non deve portare alla nostra dissoluzione politica. Manteniamo il nostro programma rivoluzionario, la nostra convinzione che l’essenziale per cambiare la società venga dalle mobilitazioni e dal confronto con lo Stato e la proprietà, che si traduce nella difesa di diversi slogan. L’abbiamo fatto poco a livello nazionale (forse troppo poco), perché UP ci garantiva l’indipendenza e il diritto di esprimerci. Abbiamo preferito colpire il punto chiave del rapporto con i social-liberali, e quindi il rifiuto di diluire il programma dell’UP nell’alleanza con il PS e l’EELV. Abbiamo perso questa battaglia totalmente impari, ma siamo riusciti a spiegare la nostra posizione su larga scala. I militanti hanno capito che il programma era stato tagliato, in particolare sulle pensioni con il rafforzamento dell’ambiguità sulla possibilità di penalizzazioni nel contesto del pensionamento a 60 anni, sul salario minimo (anche se Mélenchon ha poi unilateralmente alzato il cursore a 1.500 euro…), sulla posizione nei confronti dell’Unione Europea. Quest’ultimo punto è sintomatico: ci è stato spiegato che, dato che il programma deve essere portato avanti per un periodo di cinque anni, non aveva davvero senso rafforzare gli elementi di rottura con l’UE. Il rispetto del quadro istituzionale comporta inevitabilmente degli adattamenti.
Ma soprattutto non siamo stati integrati nell’accordo perché UP ha ritenuto che non potessimo essere integrati, che non potessimo essere disciplinati. Non c’è mai stata la possibilità di offrire a Philippe Poutou un collegio elettorale vincente, perché l’UP non vuole che si esprima una politica troppo diversa da quella della sua leadership. Per ragioni analoghe il collettivo “On s’en mêle” non è stato integrato, perché l’UP voleva limitare la sua indipendenza politica.
Avendo perso questa battaglia, l’NPA ha deciso di appoggiare le candidature del NUPES laddove rompono con il liberalismo e di cercare di costruire candidature alternative laddove non lo fanno.
La partecipazione alle campagne NUPES si combina con alcuni punti su cui possiamo marcare la nostra differenza senza che si crei una dinamica negativa. Rifiutiamo qualsiasi deriva sulle funzioni del pubblico, che concretizzano in modo grossolano il rapporto con l’apparato statale, essendo particolarmente attenti a ciò che si esprime sulla polizia, l’esercito, le frontiere e l’imperialismo. In particolare, difendiamo la regolarizzazione degli immigrati privi di documenti e il diritto di voto per gli immigrati. Ci proponiamo di fare anche una campagna democratica, il cui contenuto non deve essere deciso dai candidati e dai loro responsabili della campagna, ma da quadri collettivi che coinvolgano il maggior numero possibile di persone. Infine, insistiamo sulla necessità di costruire lotte sociali e che i collettivi militanti costruiti durante la campagna possano diventare strumenti di lotta anche dopo la campagna, in particolare per la difesa delle pensioni e dei salari. L’NPA sta difendendo questa politica in diverse decine di circoscrizioni e presto saremo in grado di trarre le conclusioni.
L’NPA sta presentando liste alternative in una decina di circoscrizioni, in particolare contro i candidati NUPES del Partito Socialista, EELV… e persino ex macronisti. Le squadre sono comprese, spesso supportate in modo più o meno discreto da attivisti di LFI o PCF. Dobbiamo evitare il tranello di costruire liste che mirino a denunciare i riformisti, anche se si tratta di unire coloro che rifiutano il social-liberismo e che sono pronti a combattere con noi i compromessi fatti dalla dirigenza dell’UP su questo terreno. Non è facile posizionarsi tra l’estremismo, l’oltranzismo rivendicativo, e la debolezza di adeguarsi al programma nazionale della NUPES. La nostra bussola in questa attività è l’approccio transitorio: le richieste non sono radicali o riformiste in sé, la questione è se pongono il problema dell’azione, del controllo dei lavoratori sul capitale e dell’indipendenza dalle istituzioni. Vogliamo anche approfittare dell’esperienza delle circoscrizioni in cui sosteniamo la NUPES per costruire campagne alternative con un contenuto militante che sia più vicino alle masse e che promuova un funzionamento democratico.
Attivismo per cambiare la coscienza
Dobbiamo portare avanti attivamente le esperienze in corso, perché sono test per orientarci nel prossimo periodo. La fase di ricomposizione del movimento operaio è appena iniziata. Tutte le questioni si porranno per decine, persino centinaia di migliaia di attivisti: il rapporto con lo Stato, il rapporto tra istituzioni e lotte, il legame tra sindacati e partiti (alcuni sindacati si stanno concretamente ponendo il problema di chiedere il voto per la NUPES), la lotta contro il fascismo, l’articolazione tra unità e costruzione dei diversi partiti e, come abbiamo già visto, il rapporto con le oppressioni.
Per agire su questo processo, che è cruciale per il proletariato, è necessario potersi collegare ad esso, esserne un elemento. Posizionarsi al di fuori di esso significherebbe sia rallentare la dinamica che è eminentemente collettiva, e quindi politicizzante e in grado di far uscire il movimento operaio dal suo attuale crollo, sia tagliarsi fuori da ciò che esso può offrire come spazio politico per la difesa delle idee rivoluzionarie. Per dirla con Lenin, “il cambiamento […] nel modo di pensare della maggioranza della classe operaia […] si ottiene con l’esperienza politica delle masse, e mai con la sola propaganda”.
Commentare, criticare in modo sdegnoso, rifiutarsi di agire per non compromettersi è un privilegio che non possiamo più permetterci in questi tempi in cui la crisi ecologica e l’ascesa del fascismo danno nuova rilevanza all’alternativa “socialismo o barbarie”.
Il partito di cui abbiamo bisogno nel prossimo periodo deve essere pronto ad entrare in azione, con un programma che prepari la rivoluzione, ma che sappia anche dialogare con le masse, sperimentare con loro, e quindi essere pronto a varie, a volte insolite, svolte tattiche. L’NPA è riuscito a farlo con la campagna di Poutou o durante i negoziati con la NUPES, dobbiamo riuscire a farlo nella configurazione attuale, trasformando in forza militante le idee che riusciamo a formulare astrattamente.