di Umberto Oreste
Le guerre sono state sempre terribili, ma, questa attuale è una guerra iniziata in un momento di crisi globale del pianeta: le crisi economiche, sociali, ambientali, sanitarie, si sono intrecciate tra di loro e la crisi militare attuale le collega tutte.
Le miserie generate dalla guerra sono in primo luogo la dolorosa perdita di vite umane, sia tra i militari sia tra civili incolpevoli; a queste si aggiungono le incolmabili perdite materiali che distruggono la quotidianità della vita e, soprattutto, la perdita della ragione, che genera mostri, alimenta l’odio per il nemico, il desiderio di vendetta, la pazzia della violenza.
Ai danni del vivere civile bisogna poi aggiungere gli irreparabili danni all’ambiente. Non bisogna dimenticare che, anche in tempo di pace, il settore militare è tra le principali cause del degrado ambientale. La produzioni di armamenti, è infatti tra i settori più energivori, dovendosi avvalere di trattamenti termici di leghe metalliche particolarmente resistenti. A causa di particolari misure di sicurezza, i controlli ambientali sono pressoché inesistenti, lo smaltimento dei rifiuti della produzione, altamente tossici, richiedono procedure particolari non sempre rispettate; tutto il settore è praticamente secretato.
Le armi prodotte vengono poi stoccate e trasportate, step che richiedono grandi dispendi di energia. Quando poi, sono usate, consumano quantità enormi di carburante fossile: il Pentagono è il maggior consumatore di petrolio del mondo. Da notare che nonostante la sua elevatissima impronta ambientale, il contributo del militare alle emissioni di gas serra non è contabilizzato e risulta esente dalle restrizioni decise con gli accordi Parigi 2015.
Già in tempo di pace attività militari, quali le esercitazioni periodiche della NATO, lasciano distruzioni ambientali che durano a lungo, ma in tempo di guerra, le distruzioni sono catastrofiche, anche rimanendo nell’ambito degli armamenti convenzionali, cioè escludendo le armi chimiche, nucleari, batteriologiche. Da ricordare anche i danni ambientali provocati dalla distruzione di industrie chimiche, impianti petroliferi, centrali elettriche, oleodotti, miniere, siti dove si usano materiali radioattivi, dighe e canali.
In Ucraina, già nel 2018 si erano verificati gravi episodi di squilibri ambientali con lo sversamento nel fiume Dniepr di oltre 6000 tonnellate di fosfati, provenienti da scarti industriali che avevano provocato fioriture algali pericolose con danni enormi alle specie acquatiche. La rottura degli impianti idrici in superficie ha provocato l’allagamento della miniera di carbone Yunkom, nel Donnbass, usata in passato per esperimenti nucleari, che potrebbe rilasciare acqua contaminata nelle falde. I livelli di inquinamento dell’aria sono crescenti in tutte le zone di combattimento; da tener presente che l’Ucraina era già in tempo di pace uno dei paesi europei con la peggiore qualità dell’aria: la concentrazione di polveri sottili PM2.5 erano sui 20 g/m3, il doppio del valore considerato pericoloso dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Gli incendi stanno distruggendo le foreste esistenti da dove rischiano di scomparire, dopo i grandi mammiferi, anche quelli di piccola taglia. Da ricordare che alla COP26 dell’anno scorso, il governo ucraino si era impegnato ad un gran piano di riforestazione.
Sui danni ambientali causati dai conflitti ricordiamo che essi non sono limitati alla sola area geografica del combattimento, ma le correnti aeree, quelle marine e lo scorrere dei fiumi, sono in grado di portare i loro effetti anche in nazioni non interessate allo scontro armato; inoltre, i danni ambientali sono destinati a protrarsi anche dopo la fine delle ostilità perché rimangono nel terreno enormi quantità di residuati bellici ed inquinanti chimici che rendono inutilizzabili i prodotti dell’agricoltura a cominciare dalle fondamentale cerealicoltura.
I danni ambientali diretti degli scontri militari in Ucraina sono, però, minimi rispetto ai danni indiretti che riguardano l’intero pianeta. I governi direttamente o indirettamente coinvolti nella guerra, stanno rivedendo le pur minime misure di riconversione energetica: invece di limitare il consumo dei fossili, si stanno promuovendo nuove perforazioni, riaprendo miniere di carbone chiuse da tempo, si da grande impulso alle centrali a gas, si distolgono verso l’acquisto di armi fondi utili alla salvaguardia del territorio, si costruiscono sempre più armi che provocheranno sempre più danni alla vita della umanità e della biosfera tutta. Il quadro già fosco sul futuro dell’ambiente diventa, con l’attuale guerra in Ucraina, ancora più nero.