Mai come nell’anno trascorso le donne sono state protagoniste di lotte per il rispetto dei diritti di tutta la società. il caso Alaa Salah, sudanese, in lotta per il pane
di Umberto Oreste, da Cantolibre, 30 dicembre 2019
Nel corso dell’anno appena trascorso una serie di rivolte popolari hanno attraversato il mondo: dall’America Latina ai paesi arabi masse enormi di popolo hanno attraversato le strade, occupate le piazze, respinto provvedimenti impopolari, fatto dimettere governi; hanno resistito a repressioni feroci e tutt’ora sono a testimoniare che quando la gente non ne può più non c’è altra soluzione che scendere in strada.
Sono ormai mesi che ad Haiti, in Cile, in Ecuador, in Libano, in Iraq, in Colombia, in Algeria la protesta non si ferma.
Recentemente è ripresa la mobilitazione dei sindacati e dei gilet gialli in Francia per difendere il diritto alla pensione ed in India milioni di persone si stanno opponendo ad una legge discriminatoria per le minoranze religiose; In Iran le manifestazioni contro l’aumento della benzina sono state represse con migliaia di morti. Certo di queste cose si parla poco nei telegiornali e per reperire notizie bisogna cercarle in rete sui siti esteri ma bisogna capire che il basso livello dello scontro sociale in Italia è un’eccezione piuttosto che la regola.
Caratteristiche delle mobilitazioni sono le motivazioni strettamente economiche che le hanno suscitate, quali la difficoltà di trovare lavoro, l’aumento della benzina, l’aumento dei generi di prima necessità, l’aumento dei biglietti dei trasporti pubblici e misure quali diminuzione degli stipendi, soppressione dell’assistenza sanitaria, chiusura di interi settori produttivi.
La gente è scesa in piazza e sta lottando insieme a prescindere dalle differenze di credo religioso, di etnie, di collocazione sociale. Studenti e insegnanti, lavoratori dei servizi e della produzione, giovani e anziani, uomini e donne stanno lottando insieme contro il sistema dominante. In tutto ciò, i più attivi si sono dimostrati i giovani, i residenti nelle periferie delle megalopoli, e le donne.
Come mai in precedenza le donne, soprattutto le giovani donne sono state le protagoniste delle mobilitazioni. Una studentessa di ingegneria Alaa Salah ha dato inizio alla rivolta in Sudan salendo sul cofano di un auto nella piazza centrale della capitale arringando la folla contro il raddoppio del prezzo del pane. In Sudan è stato calcolato che i due terzi dei manifestanti erano donne che hanno dovuto sopportare le offese, gli arresti, le violenze sessuali da parte delle forze governative. Infine dopo l’allontanamento del capo del governo hanno anche ottenuto la destituzione della giunta militare che aveva preso il potere, per un governo di “uguaglianza civile”.
Il 14 maggio si è aperto un periodo di transizione condotto da una amministrazione fatta dai protagonisti della rivolta. In seguito a nuove enormi dimostrazioni finalmente il 3 agosto i militari hanno ceduto il potere ad un “Consiglio sovrano”, espressione delle “Forze per la libertà e il cambiamento” che in tre anni e tre mesi cambierà il sistema paese; quattro donne siedono al governo tra le quali la ministra degli esteri.
Anche in Iraq la rivolta, iniziata ai primi di ottobre con grandi manifestazioni di giovani disoccupati, ha portato il primo dicembre alle dimissioni del premier Al Mahdi. Le mobilitazioni hanno visto una massiccia presenza femminile animata dalla Organization of Women’s Freedom in Iraq guidata da Yanar Mohammed.
Le donne sono state in prima linea nelle proteste,iniziate il 17 ottobre, che hanno portato alle dimissioni del governo libanese del premier Hariri. Esse oltre a lottare contro la disoccupazione i servizi sociali carenti, la corruzione, lottano contro il sistema patriarcale che agisce a livello culturale e a livello politico perché la costituzione garantisce “il diritto di sostenere i valori religiosi di ciascuna confessione”. Il risultatoè che molte delle diverse comunità religiose sostengono il patriarcato come un diritto costituzionalmente obbligatorio. È diventato simbolo della sfida femminile un video, divenuto virale, che filmava un calcio sferrato da una ragazza ad una guardia del corpo di un ministro durante una manifestazione.Lo slogan gridato nelle piazze dalle femministe è: “Oh patriarchalpowers, women’srights are not a footnote”.
L’ultimo venerdì del 2019 è stato il 45° venerdì di proteste in Algeria dall’inizio del “Hirak” (rivolta) che ha portato alle dimissioni del presidente Bouteflika e contesta l’attuale presidente Abdelmadjid Tebboune, eletto in una elezione boicottata dalla maggioranza del paese. Sin dall’inizio, in seguito alle chiamate dei collettivi femministi, la mobilitazione delle donne è stata molto importante. Ogni venerdì ad Algeri, le donne organizzano la propria piazza femminista all’interno dell’evento. Chiedono l’abolizione del codice della famigliaestremamente discriminatorio nei confronti delle donne. Le lotte delle donne in Algeria hanno un’antica storia, a cominciare dal “decennio nero” (guerra civile negli anni ’90), raccontato dal punto di vista delle donne nel film Pepicha, della regista MouniaMeddour, attualmente censurato in Algeria. El violador eres tù (lo stupratore sei tu) il potente inno femminista, che denuncia la violenza sulle donne, che risuona in Messico, Colombia, Francia, Spagna, è stato lanciato da un collettivo femminista cileno di Valparaiso, nel corso delle enormi mobilitazioni popolari contro il presidente Pinera e la sua politica economica neoliberista. Il movimento è esploso il 18 ottobre quando gli studenti di Santiago in segno di protesta hanno distrutto una obliteratrice della metropolitana e sono stati incriminati come terroristi. La portavoce del CONES (Coordinadora National de EstudiantesSecundarios) collettivo di studenti medi che ha iniziato la rivolta è una ragazza di 19 anni, Valentina Miranda, che, prelevata da un palazzo senza aver neppure violato il coprifuoco, è stata portata in commissariato, dove i carabineros, dopo averla colpita e trascinata per i capelli, le hanno gettato in faccia gas al peperoncino.
Analogamente ad Haiti contro le misure iperliberiste del presidente Moise, in Colombia contro il “paquetazo” (legge che taglia i servizi essenziali per ridurre le tasse ai ricchi), in Marocco negli scioperi degli insegnanti e della sanità, in Bolivia contro il colpo di stato di destra, le donne giocano un ruolo di primo piano. Da ricordare infine le lotte sindacali delle lavoratrici palestinesi soggette negli insediamenti israeliani a retribuzioni al di sotto del salario minimo, a nessuna busta paga e a licenziamenti arbitrari, e la resistenza armata delle donne curde nel Rojava che hanno introdotto un nuovo più avanzato modello di società. In tutte loro è riposta la speranza del mondo
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